Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine951-976

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. un., 12 giugno 2009, n. 24468 (c.c. 26 febbraio 2009). Pres. Carbone - Est. Milo - P.M. Iacoviello (diff.) - Ric. Rizzoli

Esecuzione in materia penale - Procedimento di esecuzione - Poteri del giudice - Sentenza di condanna per bancarotta fraudolenta di società in amministrazione controllata - Abolitio criminis - Revoca della sentenza di condanna - Fonti del diritto - Legge penale - Successione di leggi - Abrogazione di una norma incriminatrice - Riconducibilità del fatto oggetto dell’incriminazione abrogata ad altra norma preesistente - Condizioni - Fonti del diritto - Legge penale - Successione di leggi - Modifica strutturale della norma incriminatrice - Valutazione dell’eventuale abolitio criminis - Criteri

L’abrogazione dell’istituto dell’amministrazione controllata e la soppressione di ogni riferimento ad esso contenuto nella legge fallimentare (art. 147 D.L.vo n. 5 del 2006) hanno determinato l’abolizione del reato di bancarotta societaria connessa alla suddetta procedura concorsuale (art. 236, comma secondo, R.D. n. 267 del 1942). Conseguentemente, qualora sia intervenuta condanna definitiva per tale reato, il giudice dell’esecuzione è tenuto a revocare la relativa sentenza. (C.p.p., art. 673; c.p., art. 2; R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 223) (1).

In caso di abrogazione di una norma incriminatrice, per accertare se le tipologie di fatti in essa comprese siano riconducibili ad altra disposizione generale preesistente, è necessario procedere al confronto strutturale tra le due fattispecie astratte, integrando all’occorrenza tale criterio attraverso una valutazione dei beni giuridici rispettivamente tutelati, al fine di verificare l’eventuale intenzione dell’intervento abrogativo di non attribuire più rilievo al disvalore insito nella fattispecie incriminatrice soppressa. (C. p., art. 2) (2).

In materia di successione di leggi penali, in caso di modifica della norma incriminatrice, per accertare se ricorra o meno abolitio criminis è sufficiente procedere al confronto strutturale tra le fattispecie legali astratte che si succedono nel tempo, senza la necessità di ricercare conferme della eventuale continuità tra le stesse facendo ricorso ai criteri valutativi dei beni tutelati e delle modalità di offesa, atteso che tale confronto permette in maniera autonoma di verificare se l’intervento legislativo posteriore assuma carattere demolitorio di un elemento costitutivo del fatto tipico, alterando così radicalmente la figura di reato, ovvero, non incidendo sulla struttura della stessa, consenta la sopravvivenza di un eventuale spazio comune alle suddette fattispecie. (C.p.p., art. 673; c.p., art. 2; R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 236) (3).

    (1) La sentenza in rassegna risulta ben motivata in punto di diritto. Cfr. Cass. pen., sez. I, 12 aprile 2005, Spadola, in questa Rivista 2006, 570, che ha affermato l’impossibilità per il giudice dell’esecuzione, con riferimento all’ipotesi di abrogazione di una norma incriminatrice, di procedere ad accertamenti ulteriori al fine di stabilire se il fatto per il quale era stata pronunziata condanna costituisca o meno reato, dovendo egli limitarsi ad interpretare il giudicato e quindi ad accertare se nella contestazione risultino gli elementi costituenti la nuova categoria dell’illecito; la verifica, invero, demandata al giudice dell’esecuzione consiste nel confronto del fatto contestato nell’imputazione e accertato nella sentenza con gli elementi specializzanti introdotti dalla nuova normativa.

    (2, 3) L’attuale decisione delle Sezioni unite penali conferma quanto affermato in precedenza da Cass. pen., sez. un., 16 giugno 2003, Giordano, in questa Rivista 2004, 105. In dottrina, cfr. GHIZZARDI NICOLANGELO, Osservazioni sulla continuità normativa del reato di bancarotta fraudolenta impropria all’esito della pronuncia delle sezioni unite n. 25887/03, ivi 2004, 720.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. 1. – A seguito dell’entrata in vigore del D.L.vo 9 gennaio 2006 n. 5, che, con l’art. 147, ha abrogato il titolo IV del regio decreto 16 marzo 1942 n. 267, rubricato «Dell’amministrazione controllata», e soppresso tutti i riferimenti a tale istituto contenuti nella stessa legge fallimentare, Angelo Rizzoli avanzava richiesta al Tribunale di Milano, quale giudice dell’esecuzione, per ottenere la revoca, ex art. 673 c.p.p., della sentenza 15 giugno 1993 del medesimo tribunale, con la quale era stato dichiarato colpevole, nella qualità di vice presidente e amministratore delegato della «Rizzoli Editore Spa», società posta in amministrazione controllata con decreto 21 ottobre 1982 dal Tribunale di Milano, del reato di bancarotta fraudolenta impropria, per avere distratto, occultato, dissipato somme per un ammontare complessivo di oltre 85 miliardi di lire e di oltre tre milioni di dollari Usa, nonché per avere falsificato i bilanci 1976/1982 attraverso imputazioni artificiose di parte di tali somme ai conti economici, compensazioni artificiose nello stato patrimoniale e indicazione di inesistenti componenti negative del reddito (capo A: artt. 81 cpv. c.p., 236 cpv. n. 1, 223, 216 primo comma n. 1, 219 primo e secondo comma n. 1 R.D. n. 267/1942 e 2621 c.c.). La sentenza del tribunale era stataPage 952 riformata in parte dalla Corte d’appello di Milano che, con sentenza in data 11 novembre 1997, esecutiva il 20 aprile 1998, aveva ridotto ai sensi dell’art. 599 quarto comma c.p.p. la pena irrogata per il citato reato, assorbendo in esso anche il falso in bilancio di cui al capo T; aveva, inoltre, dichiarato non doversi procedere nei confronti del Rizzoli per i reati di falso in bilancio rubricati sub L e M, perché estinti per prescrizione.

Il Rizzoli, a giustificazione dell’incidente attivato, prospettava la tesi dell’intervenuta abrogazione per effetto della richiamata novella legislativa, del reato di bancarotta impropria connessa all’amministrazione controllata.

  1. – Il giudice dell’esecuzione, con ordinanza 20 novembre 2007, rigettava la richiesta, sostenendo che non poteva trovare applicazione, nel caso specifico, il disposto del secondo comma dell’art. 2 c.p., in quanto i fatti di bancarotta di cui all’art. 236 legge fall. non erano divenuti, a seguito della citata novella, penalmente irrilevanti, «ma solo naturalisticamente non realizzabili per l’abrogazione dell’istituto dell’amministrazione controllata».

    Il tribunale faceva leva, in particolare, sulla disposizione transitoria di cui all’art. 150 D.L.vo n. 5/06, che, pur prevedendo la definizione secondo la legge anteriore delle sole procedure di fallimento e di concordato fallimentare attivate o pendenti alla data di entrata in vigore della riforma, doveva ritenersi estesa «a tutti gli eventi concorsuali avviati prima» di tale data e, quindi, anche all’amministrazione controllata, con l’effetto che eventuali illeciti commessi nell’ambito di quest’ultima procedura dovevano ritenersi tuttora configurabili e, a maggior ragione, non poteva fondatamente sostenersi la revocabilità del giudicato di condanna per gli stessi illeciti.

    Aggiungeva, come argomento ad abundantiam e a confutazione del contrario assunto sostenuto dal richiedente, che sussisteva continuità normativa tra la fattispecie soppressa e quella relativa ai fatti di bancarotta rimodellato dalla riforma, considerato che il nuovo profilo di tale procedura rivelerebbe l’intenzione del legislatore di unificare in essa tutte le procedure concorsuali «minori» contemplate in precedenza nella legge fallimentare, dal che si evincerebbe il conservato disvalore penale dell’illecito oggetto della condanna riportata dal Rizzoli e, quindi, l’infondatezza della richiesta di revoca della medesima condanna.

  2. – Ha proposto ricorso per cassazione, tramite i propri difensori, il Rizzoli e ha censurato l’ordinanza di cui al punto che precede sotto tre profili: a) violazione di legge (artt. 2, secondo comma c.p., 147 D.L.vo n. 5/06, 236 L. fall.) e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell’intervenuta abrogatio criminis, che non può, invece, essere negata, considerato che l’ammissione alla soppressa procedura di amministrazione controllata integrava un elemento costitutivo del reato di cui al capoverso n. 1 dell’art. 236 L. fall., norma che disciplinava due distinte e autonome fattispecie, aventi ad oggetto – l’una – la bancarotta impropria ancorata all’amministrazione controllata e – l’altra – la bancarotta impropria connessa al concordato preventivo; b) violazione di legge (artt. 2, secondo comma c.p., 147, 150 D.L.vo n. 5/06, 236 L. fall., 14 delle preleggi) e vizio di motivazione per l’erronea applicazione in via analogica all’amministrazione controllata della disciplina transitoria dettata dal richiamato art. 150 D.L.vo n. 5/06, norma questa che, per sua natura, non può tollerare interpretazioni estensive e, meno che mai, analogiche; c) violazione di legge (artt. 2, quarto comma c.p., 147 D.L.vo n. 5/06, 236 L. fall.) e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta continuità normativa tra l’abrogata fattispecie incriminatrice della bancarotta impropria connessa all’amministrazione controllata e quella della bancarotta impropria concordataria, continuità che deve, invece, essere negata, essendo diversi i presupposti per l’accesso alle due procedure, la struttura e la finalità delle stesse.

  3. – Il procuratore generale ha concluso, con articolata requisitoria scritta, come da epigrafe.

    Il requirente, dopo avere premesso che andavano attivati e integrati tra loro tutti i criteri ermeneutici, sia di fonte legale che giurisprudenziale, per ricostruire l’effettivo significato del fenomeno della successione di leggi penali, sostiene che il nucleo essenziale del reato di cui al testo previgente dell’art. 236 cpv. n. 1 L. fall. è sostanzialmente unitario e prescinderebbe dalla specifica procedura concorsuale nella quale s’inserisce la condotta di bancarotta, nel senso che la tipologia di procedura non...

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