Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine983-1020

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. un., 16 ottobre 2001, n. 37140 (ud. 30 maggio 2001). Pres. Vessia - Est. Cognetti - P.M. Toscani (parz. diff.) - Ric. Galiero ed altri.

Stampa - Diffamazione commessa col mezzo della stampa - Diritto di cronaca - Pubblicazione di intervista su un quotidiano - Riproduzione di dichiarazioni lesive dell'altrui onore - Applicabilità della scriminante del diritto di cronaca - Sussistenza - Condizioni.

In tema di diffamazione a mezzo stampa, la condotta del giornalista che pubblicando il testo di un'intervista, vi riporti, anche se "alla lettera", dichiarazioni del soggetto intervistato di contenuto oggettivamente lesivo dell'altrui reputazione, non è scriminata dall'esercizio del diritto di cronaca, in quanto al giornalista stesso incombe pur sempre il dovere di controllare veridicità delle circostanze e continenza delle espressioni riferite. Tuttavia, essa è da ritenere penalmente lecita, quando il fatto in sè dell'intervista, in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, alla materia in discussione e al piu' generale contesto in cui le dichiarazioni sono rese, presenti profili di interesse pubblico all'informazione tali da prevalere sulla posizione soggettiva del singolo e da giustificare l'esercizio del diritto di cronaca, l'individuazione dei cui presupposti è riservata alla valutazione del giudice di merito che, se sorretta da adeguata e logica motivazione sfugge al sindacato di legittimità. (C.p., art. 595) (1).

    (1) Soluzione di contrasto giurisprudenziale sorto con riferimento alla questione relativa alla configurabilità o meno della responsabilità penale del giornalista che riporti il testo di una intervista nella quale il soggetto intervistato abbia rilasciato dichiarazioni lesive della reputazione di terzi. Per utili ragguagli sugli opposti orientamenti giurisprudenziali si rinvia ai numerosi precedenti citati in sentenza.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. 1. - Con sentenza in data 7 dicembre 1998, il Tribunale di Napoli dichiarava Galiero Giovanni, quale intervistato e Di Vincenzo Margherita, giornalista intervistatrice, colpevoli del delitto di diffamazione a mezzo stampa per avere pubblicato sul quotidiano «Il Giornale di Napoli», l'intervista avente per oggetto tale D'Orazio Carmine, all'epoca presidente dell'Assomercati, con la quale si offendeva l'onore e il decoro di quest'ultimo, il quale veniva definito come un «faccendiere» ed «un opportunista che cerca solo intrallazzi». Il Galiero veniva condannato alla pena di lire 1.500.000 di multa e la Di Vincenzo alla pena di lire 1.000.000 di multa, con la pena accessoria della pubblicazione della sentenza su «Il Giornale di Napoli», ed entrambi venivano altresì condannati a risarcire i danni alla parte offesa, costituitasi parte civile.

  1. - A seguito di appello degli imputati, che chiedevano, in tesi, l'assoluzione con formula ampia e, in ipotesi, la riduzione della pena, la Corte d'appello di Napoli, con sentenza in data 14 marzo 2000, confermava l'impugnata decisione. Riteneva la corte di merito conformemente a quanto affermato dai primi giudici, sussistere l'elemento soggettivo del reato nella condotta così come contestata agli imputati nel capo d'imputazione in relazione alle posizioni rispettivamente rivestite: il Galiero per avere rilasciato l'intervista; la Di Vincenzo per averla effettuata e per avere scritto il relativo articolo poi pubblicato sul quotidiano.

    Il giudice di appello evidenziava come il Galiero avesse consapevolmente e volontariamente usato, all'indirizzo del D'Orazio, le espressioni ascrittegli, la cui portata offensiva era indubitabile, rilevando che ai fini della sussistenza del reato in contestazione è sufficiente il dolo generico e negando rilevanza ai motivi addotti dall'imputato quale esimente e cioè che egli neppure conosceva personalmente la parte offesa e che si era limitato a riferire quanto appreso sul suo conto da altre fonti giornalistiche.

    Quanto alla Di Vincenzo, la corte di merito osservava che nessuna rilevanza esimente poteva assumere il fatto che essa si fosse limitata a riportare tra virgolette un giudizio del tutto personale del Galiero, richiamando la giurisprudenza di questo Supremo Collegio secondo cui la pubblicazione, anche fedele, delle dichiarazioni di terzi che sono lesive della reputazione altrui, costituisce veicolo tipico della diffusione della diffamazione, alla quale il giornalista partecipa con apporto causale predominante e ne risponde a titolo di concorso nel reato, quando il fatto non sia giustificato dall'esercizio dello jus narrandi, collegato al limite della verità della notizia, che egli ha il dovere giuridico di controllare per evitare che la stampa, deviando dalla sua funzione informativa, si trasformi in cassa di risonanza dell'offesa alla reputazione; a nulla rilevando che il giornalista non sia d'accordo con le opinioni manifestate dall'intervistato, essendo sufficiente la volontà di diffusione della dichiarazione diffamatoria.

  2. - Avverso la suddetta sentenza hanno disgiuntamente proposto ricorso per cassazione la Di Vincenzo e il Galiero.

    La Di Vincenzo denuncia violazione di legge ex art. 606, primo comma lett. b) ed e), c.p.p., per erronea applicazione degli artt. 51 e 595 c.p. in ordine alla disciplina del concorso delle persone nel reato ed alla configurabilità del reato nei confronti della cronista, nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione. La ricorrente, in sostanza, assume che il suo comportamento sarebbe espressione del diritto di cronaca giornalistica, in quanto, tale cronista, si sarebbe limitata a pubblicare giudizi o notizie non di propria provenienza, bensì frutto di valutazioni espresse da altri. A tale proposito richiama una recente sentenza di questa Suprema Corte che avrebbe riconosciuto al cronista una sorta di «esimente da intervista», escludendo quella forma di responsabilità oggettiva, che in passato gli veniva sempre attribuita, per il contenuto delle interviste che gli venivano rilasciate.

    Il Galiero denuncia anch'egli violazione dell'art. 606, primo comma lett. b) ed e), c.p.p. Il ricorrente assume che i giudici di primo e secondo grado non hanno ben valutato le prove addotte a discolpa, insistendo nel sostenere la mancanza di volontà di offendere e contestando quindi la sussistenza del dolo. Aggiunge che la vicenda è improntata a verità, in quanto negli atti processuali è stata esibita la richie-Page 984sta di rinvio a giudizio nella quale si fa riferimento al D'Orazio come colui che ebbe ad essere coinvolto in una vicenda di concussione e corruzione, che ebbe anche a provocare interrogazioni parlamentari. Contesta, infine, la valenza offensiva delle frasi così come riportate.

  3. - I ricorsi suddetti sono stati assegnati alla quinta sezione penale della Corte di Cassazione, la quale, rilevato che il tema proposto dalla ricorrente Di Vincenzo ha dato luogo a decisioni contrastanti, con ordinanza in data 14 marzo 2001, ha rimesso il ricorso alle sezioni unite al fine di dirimere l'evidenziato contrasto giurisprudenziale.

    L'ordinanza di rimessione rileva che la questione giuridica relativa alla condotta del giornalista, che si limita a riportare un'intervista dal contenuto diffamatorio, comporta un delicato bilanciamento tra interesse della collettività alla conoscenza delle informazioni di interesse pubblico e il diritto dei soggetti menzionati nell'intervista alla tutela del loro onore e reputazione. In proposito si osserva che la giurisprudenza prevalente si era attestata decisamente nella direzione di un'affermazione di responsabilità del giornalista, a titolo di concorso con il dichiarante, per la pubblicazione delle dichiarazioni di terzi lesive della reputazione altrui, in quanto a carico del cronista sussiste sempre il limite della verità della notizia che egli ha il dovere giuridico di controllare per evitare che la stampa si traduca in una «cassa di risonanza» delle offese alla reputazione, anche se non condivise dal giornalista; che a tale orientamento si è, peraltro, contrapposto l'indirizzo secondo cui l'obbligo della verità, cui deve attenersi il giornalista, avrebbe ad oggetto solo la fedeltà al testo dell'intervistato e non anche il contenuto delle dichiarazioni rilasciate, purché di interesse pubblico. In tal senso sarebbe configurabile l'esimente putativa dell'esercizio del diritto di cronaca in favore del giornalista tutte le volte in cui la notizia è costituita non solo dal contenuto delle dichiarazioni rese dall'intervistato, quanto dalle qualità di quest'ultimo, idonee a determinare un particolare affidamento sulla veridicità delle sue affermazioni. Così anche nel caso in cui l'intervista consista in giudizi, pure fortemente critici, espressi da personaggi pubblici su altri personaggi pubblici, nell'ambito di un dibattito che interessa la pubblica opinione, il giornalista - secondo tale diverso orientamento - avrebbe il compito di riferire con fedeltà il dibattito nei termini in cui si esprime, senza per questo incorrere nella responsabilità per quanto dichiarato dal personaggio intervistato.

    Il Primo Presidente Aggiunto, con provvedimento del 19 aprile 2001, ha assegnato i ricorsi alle sezioni unite penali, fissando per la trattazione l'odierna udienza pubblica.

    MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. - La questione controversa sottoposta all'esame delle sezioni unite consiste nello stabilire se sia configurabile, e in quali limiti, la responsabilità penale del giornalista che riporti il testo di una intervista nella quale il soggetto intervistato abbia rilasciato dichiarazioni lesive della reputazione di terzi.

    Premesso che la giurisprudenza di questo Supremo Collegio ha delineato nel tempo i criteri guida per individuare i requisiti del legittimo esercizio del diritto di cronaca, rappresentati dalla pertinenza dei fatti narrati rispetto all'interesse pubblico alla loro conoscenza, dalla verità dei fatti narrati e, infine, dalla correttezza della forma espositiva, tali criteri...

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