Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine1065-1087

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 7 agosto 2003, n. 33558 (ud. 6 giugno 2003). Pres. Vitalone - Est. Postiglione - P.M. Albano (parz. diff.) - Ric. Mosca.

Edilizia e urbanistica - Zone sismiche - Violazione delle norme edilizie - Mancato preavviso e deposito di documenti obbligatori - Responsabilità - IndividuazioneConfigurabilità di un reato proprio - Esclusione.

La contravvenzione di cui agli artt. 17, 18 e 20 L. 2 febbraio 1974, n. 64 relativa alle costruzioni in zone sismiche, può essere commessa da chiunque violi o concorra a violare l'obbligo imposto del preavviso al sindaco ed all'Ufficio tecnico della regione o all'Ufficio del genio civile, e del deposito dei progetti e degli allegati tecnici. Ne deriva che il reato configurato non è «proprio» di un singolo soggetto, ma può essere commesso anche dall'appaltatore dell'opera. (Mass. Redaz.). (L. 2 febbraio 1974, n. 64, art. 17; L. 2 febbraio 1974, n. 64, art. 18; L. 2 febbraio 1974, n. 64, art. 20) (1).

    (1) Con la massima in epigrafe, i Giudici sviluppano ulteriormente il conforme orientamento giurisprudenziale di legittimità (v. Cass. pen., sez. III, 27 gennaio 2000, Scardellato, in questa Rivista 2000, 738) sancendo che, oltre al proprietario e/o committente, al direttore dei lavori, all'appaltante ed al progettista, tutti coobbligati ad effettuare la prescritta denuncia in ossequio ai precetti della normativa sismica, anche il titolare della ditta appaltatrice deve verificare che l'adempimento del preavviso sia stato osservato. La sentenza si pone in contrasto con l'isolato precedente di merito della Pret. penale di Siracusa, sez. dist. Noto, 22 gennaio 1996, Buscema, ivi 1996, 496, secondo cui l'esecuzione di costruzioni, riparazioni o sopraelevazioni in zone sismiche in violazione degli artt. 17 e 18 della L. n. 64/74, configura una ipotesi di reato proprio, il cui soggetto attivo è da individuarsi nel committente, persona fisica o legale rappresentante della persona giuridica, non essendo gli obblighi di denuncia e domanda di autorizzazione previsti dalle predette disposizioni delegabili al progettista o al direttore dei lavori o, ancora, ad un terzo estraneo.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Il Tribunale di Ancona, Sezione distaccata di Jesi, con sentenza del 22 novembre 2002 condannava Mosca Claudio alle pane di 140 euro di ammenda per violazione dell'art. 20 L. 64/74.

Contro questa sentenza l'imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo la non configurabilità del reato nei confronti dell'appaltatore ed in via subordinata la prescrizione.

L'art. 17 della legge 64/74 relativa alle costruzioni in zone sismiche obbliga «chiunque» a darne preavviso al sindaco ed all'Ufficio tecnico della Regione o all'Ufficio del Genio Civile, senza specificare che debba essere solo il proprietario od il committente, sicché anche il titolare della ditta appaltatrice deve verificare che l'adempimento sia stato osservato.

L'art. 18 della stessa legge ribadisce che senza la preventiva autorizzazione scritta dell'Ufficio Tecnico della Regione o dell'Ufficio del Genio Civile «non si possono iniziare i lavori», mentre l'art. 20 pone la sanzione penale a carico di «chiunque» violi le prescrizioni della presente legge.

In conclusione il reato contestato non è un reato «proprio» di un singolo soggetto, ma di «chiunque» operi in aree sismiche, per evidenti ragioni di prevenzione della sicurezza individuale e collettiva.

Sussiste, dunque, il reato anche a carico dell'appaltatore dell'opera.

Tuttavia, nel caso in esame, per il principio in dubio pro reo il reato deve ritenersi estinto perché contestato in modo generico relativamente all'anno duemila. Trattandosi di reato istantaneo ad effetti permanenti, la prescrizione opera in tre anni dall'omessa denuncia, quale atto formale. (Omissis).

@CORTE DI CASSAZIONE Sez. VI, 29 luglio 2003, n. 31990 (ud. 6 giugno 2003). Pres. Fulgenzi - Est. Di Casola - P.M. Geraci (conf.) - Ric. P.G. in proc. Rrasa Atrit.

Sicurezza pubblica - Stranieri - Esibizione di un documento d'identità - Richiesta ad opera degli agenti di pubblica sicurezza - Inottemperanza - Disciplina dettata dall'art. 6, comma 3, del D.L.vo n. 286/1998 - Applicabilità nei confronti degli stranieri in condizioni di clandestinità - Inammissibilità.

L'art. 6, comma 3, del D.L.vo 25 luglio 1998 n. 286, in materia di immigrazione, che prevede come reato il fatto che lo straniero, a richiesta degli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza, non esibisca, senza giustificato motivo, il passaporto o altro documento di identificazione, ovvero il permesso o la carta di soggiorno, può trovare applicazione solo con riguardo agli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia, rimanendo esclusa la sua applicabilità nei confronti di coloro che siano entrati nel territorio dello Stato in condizione di clandestinità. (A sostegno di tale affermazione la S.C. ritiene che sarebbe contra ius una qualsiasi norma che, pur ascrivendo l'ingresso clandestino all'area del penalmente irrilevante, imponesse al clandestino di attivarsi per munirsi di un documento di identificazione, che equivarrebbe ad una denuncia del suo stato di clandestinità e porrebbe quindi le condizioni per la sua espulsione). (Mass. Redaz.). (D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286, art. 6) (1).

    (1) Giurisprudenza non pacifica, con prevalente orientamento sviluppatosi recentemente nel senso della massima riportata in epigrafe. Il contrasto giurisprudenziale sorto in sede di legittimità, all'interno peraltro della medesima sezione della S.C., è ben rappresentato dalle sentenze Cass. pen., sez. I, 6 dicembre 1999, Fathi; Cass. pen., sez. I, 6 dicembre 1999, Kalil e Cass. pen., sez. I, 29Page 1066 novembre 1999, Lecheheb, tutte pubblicate in questa Rivista 2000, 232. In dottrina, in termini generali, cfr. V. MUSACCHIO, Manuale pratico di legislazione sugli immigrati, Ed. Cedam, Padova, 2003; PAOLA SCEVI, Manuale di diritto delle migrazioni. La condizione giuridica dello straniero dopo la riforma, Ed. La Tribuna, Piacenza 2002; D. DE VINCENTIIS, La nuova disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, Ed. Simone, Napoli 1998.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECI-SIONE. 1. - Il Giudice monocratico di Firenze ha pronunciato sentenza di applicazione della pena nei confronti di Rrasa Atrit, cittadino albanese, in ordine ai reati di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni aggravate, mentre ha prosciolto l'imputato, con la formula perché il «fatto non sussiste», dal reato previsto dall'articolo 6, comma 4 (n.d.r. comma 3), legge 40/1998, relativo alla omissione di esibizione, senza giustificato motivo, di un documento di identificazione.

  1. - Il P.G. di Firenze propone ricorso con riferimento al proscioglimento dell'imputato. Premesso il richiamo alla giurisprudenza di legittimità, che in casi simili ha statuito il carattere unitario della decisione, il P.G. sostiene l'erronea applicazione della legge penale, in quanto la mancata esibizione del documento - formula più ampia del mero rifiuto di esibizione - si applicherebbe anche agli stranieri clandestini ed a coloro che volontariamente si sono posti nella condizione di non possedere un documento.

  2. - La questione risulta numerose volte affrontata dalla Suprema Corte, con decisioni tra loro difformi, indicative della persistenza di un contrasto giurisprudenziale, che risulta, peraltro, già segnalato.

  3. - In breve, le ragioni addotte a sostegno della configurabilità del reato anche per gli stranieri clandestini sprovvisti di un documento d'identità si sostanziano nelle seguenti articolazioni:

    a) la norma incriminatrice, sanzionando la mancata esibizione, non già il «rifiuto», del documento di identificazione, presuppone che di tale documento lo straniero abbia l'obbligo di munirsi;

    b) per «giustificati motivi» devono intendersi comportamenti non collegabili a comportamenti volontari;

    c) l'articolo 6, comma IV, prevede che lo straniero sia sottoposto a rilievi segnaletici quando vi siano dubbi sulla sua identità personale;

    d) l'articolo 6, comma IX, prevede altresì che sia rilasciato allo straniero un documento di identificazione non valido per l'espatrio.

  4. - Gli indicati argomenti, tuttavia, non convincono.

  5. - Già dalla collocazione della disposizione nell'ambito dell'articolo 6, relativo alle «facoltà ed obblighi inerenti al soggiorno», si evince una chiara scelta di politica criminale, tesa ad applicare la sanzione solo agli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia. Il primo ed il secondo comma di questo articolo recano disposizioni riferibili esclusivamente agli immigrati muniti di permesso di soggiorno. Così anche i commi successivi al comma 3. Una lettura sistematica della norma porta evidentemente ad escludere che solo il comma 3, del tutto fuori contesto, possa essere estensivamente applicabile anche agli stranieri clandestinamente introdottisi in Italia.

  6. - D'altronde, un'interpretazione estensiva del comma 3 agli stranieri clandestini finirebbe con il sanzionare puramente e semplicemente la condizione di clandestinità, contro la chiara volontà del legislatore, quale emerge dai lavori parlamentari, oltre che dal testo legislativo approvato.

  7. - Non possono, poi, essere condivise nello specifico le ragioni poste a fondamento delle decisioni, che hanno sostenuto la configurabilità del reato per gli stranieri clandestini sprovvisti di documenti.

  8. - In primo luogo, va confutata l'affermazione secondo cui lo straniero avrebbe comunque l'obbligo di munirsi di un documento di identificazione. Difatti, posto che il comma 3 non fa alcun cenno al documento di identificazione rilasciabile ai sensi del comma 9 (parla di passaporto o altro documento di identificazione senza operare alcuna specificazione), tale ultima disposizione, nel prevedere il rilascio allo straniero di un documento di identificazione non valido per l'espatrio, non prevede per lo straniero, che ne sia privo, alcun obbligo...

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