Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine697-722

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. II, 22 aprile 2004, n. 18898 (ud. 6 aprile 2004). Pres. Sirena - Est. Fumu - P.M. Febbraro (diff.) - Ric. Santopaolo.

Abusivo esercizio di una professione - Professione forense - Spendita del titolo di avvocato in udienza - Necessità - Esclusione - Predisposizione di atti e ricevimento dei clienti - Sufficienza - Configurabilità del reato contro la fede pubblica ex art. 495 c.p.

L'esercizio abusivo della professione legale non implica necessariamente la spendita, al cospetto del giudice o di altro pubblico ufficiale, della qualità indebitamente assunta, per cui il reato si perfeziona per il solo fatto che l'agente curi pratiche legali dei clienti e predisponga ricorsi, anche senza comparire in udienza qualificandosi come avvocato. Ne deriva che quando quest'ultima condotta si accompagni alla prima, viene leso anche il bene giuridico della fede pubblica tutelato dall'art. 495 c.p., e si configura il concorso di tale reato con quello di cui all'art. 348. (Mass. Redaz.). (C.p., art. 348; c.p., art. 495) (1).

    (1) Nulla in termini.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Santopaolo Antonio ricorre avverso la sentenza della corte di appello confermativa della decisione di primo grado che, all'esito del giudizio abbreviato, lo aveva dichiarato colpevole di vari reati di truffa, anche tentata, ricettazione, esercizio abusivo della professione di avvocato e falso, unificati nel vincolo della continuazione.

Denuncia: - violazione dell'art. 15 c.p. in relazione agli artt. 348 e 495 c.p. nonché vizio della motivazione; rileva il ricorrente come le ipotesi delittuose rubricate sub C) (esercizio abusivo della professione di avvocato) e D) (falsa affermazione della qualità personale di avvocato in atti compiuti davanti a pubblici ufficiali) solo apparentemente concorrono, verificandosi necessariamente l'assorbimento della seconda condotta nella prima, la quale, riferendosi all'attività propria del professionista, implica la spendita anche in udienza della qualifica professionale; e come, altresì, i giudici di merito abbiano erroneamente richiamato in proposito la giurisprudenza formatasi nel vigore dell'abrogato art. 498 c.p.

La doglianza è manifestamente infondata. L'esercizio abusivo della professione legale (art. 348 c.p.), invero, ancorché riferito allo svolgimento di attività riservata al professionista iscritto nell'albo degli avvocati, non implica necessariamente la spendita al cospetto del giudice o di altro pubblico ufficiale della qualità indebitamente assunta, sicché il reato si perfeziona per il solo fatto che l'agente curi pratiche legali dei clienti o predisponga ricorsi anche senza comparire in udienza qualificandosi come avvocato; ne deriva che quando quest'ultima condotta si accompagni alla prima, viene leso anche il bene giuridico della fede pubblica tutelato dall'art. 495 c.p. e si configura - come nella specie - il concorso dei reati de quibus; - violazione dell'art. 491 c.p.; rileva il ricorrente come in mancanza di riscontri oggettivi non sia possibile ritenere la sua responsabilità per la falsità in assegno di cui al capo G) e come, eventualmente, si sarebbe dovuta applicare al fatto ivi rubricato la pena di riferimento prevista dall'art. 489 e non 485 c.p.

La prima parte della censura è del tutto generica, atteso che non contiene alcuna critica nei confronti della risposta fornita nella decisione impugnata ai rilievi formulati in proposito con l'atto di appello, e comunque prospetta questioni di merito; per il resto risulta inammissibilmente proposta per la prima volta in questa sede; - «mancanza della motivazione» sui capi I ed L, in quanto «le fotocopie di documenti e/o certificati - seppur alterate - non sono sufficienti da sole ad integrare i reati di falso».

La doglianza, al limite della comprensibilità, è manifestamente infondata; se con essa si intende infatti sostenere che all'imputato sia stato ascritto un falso insussistente perché commesso su fotocopie di atti, si deve in contrario rilevare che l'imputazione e la condanna concernono la contraffazione dei documenti esibiti al funzionario di banca, le riproduzioni in copia dei quali da quest'ultimo effettuate hanno costituito la base per l'accertamento della falsificazione contestata.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile con le conseguenze di legge. (Omissis).

@CORTE DI CASSAZIONE Sez. II, 22 aprile 2004, n. 18892 (ud. 5 marzo 2004). Pres. Sirena - Est. Fiandanese - P.M. Delehaye (diff.) - Ric. Bufano.

Ricettazione - Circostanze - Attenuante della speciale tenuità del fatto - Riconoscimento anche delle attenuanti generiche - Ammissibilità.

In tema di ricettazione, il riconoscimento della particolare tenuità del fatto, ai sensi dell'art. 648, comma secondo, c.p., non è di per sè ostativo al riconoscimento anche delle attenuanti generiche, atteso che mentre l'attenuante speciale, pur potendosi basare su circostanze di fatto tanto oggettive quanto soggettive, attiene comunque al profilo «fattuale» della gravità in concreto del reato contestato, le attenuanti generiche hanno invece il loro fondamento in quegli elementi che convincano il giudice a ritenere il colpevole meritevole di particolare indulgenza, mediante la utilizzazione di circostanze anche diverse da quelle comuni o speciali. (Mass. Redaz.). (C.p., art. 648) (1).

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    (1) Contra, si veda Cass. pen., sez. VI, 29 ottobre 1992, Castiglia ed altro, in questa Rivista 1993, 892 secondo cui, benché il giudice di merito nell'esercizio del suo potere discrezionale concernente la concessione o il diniego delle attenuanti generiche possa attingere a qualsiasi elemento di valutazione ancorché non esplicitamente contemplato nell'art. 133 c.p. al fine di mitigare il rigore delle pene, tuttavia, qualora un determinato elemento della condotta sia stato preso in considerazione dal giudice in quanto circostanza attenuante tipica prevista dalla legge, non può, poi, lo stesso elemento giovare una seconda volta all'imputato sotto forma di attenuanti generiche, giacché, altrimenti, si giungerebbe all'assurdo logico di ancorare ad un medesimo elemento di fatto non una ma due o più determinazioni favorevoli all'imputato. Nel senso della massima in epigrafe, Cass. pen., sez. I, 5 febbraio 1998, P.M. e Brembilla, in questa Rivista 1998, 617, secondo cui la regola per cui non può tenersi conto due volte dello stesso elemento a favore o contro il colpevole non si applica quando tale elemento non è l'unico rilevabile dagli atti, non è ritenuto assorbente rispetto agli altri ed influisce su diversi aspetti della valutazione, ben potendo un dato polivalente essere utilizzato più volte sotto differenti profili per distinti fini e conseguenze, come il riconoscimento di una circostanza, il giudizio di bilanciamento con altre di segno opposto e la determinazione della pena, senza violare il principio del ne bis in idem sostanziale. (Nella fattispecie, la Suprema Corte, in applicazione del principio di cui in massima, ha ritenuto legittima l'utilizzazione, da parte dei giudici di merito, degli elementi giustificativi delle attenuanti generiche anche nel giudizio di comparizione e nella graduazione della pena). In dottrina, si segnalano: L. BISORI, La commisurazione della pena e le rigidità del modello unitario (nota a sent. Cass. pen., sez. I, 25 ottobre 1996, Lattanzio e altro), in Dir. pen. e proc. 1997, I, 1230; E. DOLCINI, L'art. 133 c.p. al vaglio del movimento internazionale di riforma, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1990, 398.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - La Corte di appello di Lecce - sezione distaccata di Taranto, con sentenza in data 6 febbraio 2002, confermava la condanna pronunciata dal Tribunale di Taranto l'11 giugno 1999 nei confronti di Bufano Giuseppe alla pena di mesi nove di reclusione e lire 900.000 di multa per il reato di ricettazione di assegno bancario nella previsione di cui al capoverso dell'art. 648 c.p.

Propone ricorso per cassazione il difensore dell'imputato censurando il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, motivato dal giudice di appello con la circostanza che non si ravvisava alcuno specifico elemento per la concessione diverso da quelli già considerati per il riconoscimento della forma attenuata di ricettazione di cui al capoverso dell'art. 648 c.p. Il difensore afferma, invece, che gli stessi elementi valutati per la concessione di un'attenuante comune possono essere presi in considerazione sotto il diverso profilo del riconoscimento delle attenuanti generiche.

MOTIVI DELLA DECISIONE. - Il motivo di ricorso è fondato.

La sentenza impugnata sostanzialmente omette qualsiasi valutazione in merito alla richiesta di concessione delle attenuanti generiche, ritenendo che non sussista alcuno specifico elemento diverso da quelli già considerati per la concessione della speciale attenuazione di cui al capoverso dell'art. 648 c.p., sulla base del principio che «la medesima circostanza non può costituire il fondamento di due attenuazioni, l'una specifica l'altra generica, in quanto ciò porterebbe ad una ingiustificata rottura dell'equilibrio che deve esistere fra fatto-reato e pena». Tale affermazione, sebbene trovi riscontro anche in alcune pronunce di questa Suprema Corte (v. sez. VI, 2 luglio -29 ottobre 1992, n. 10376, Castiglia, RV 192109), non può essere condivisa nella sua assolutezza. Infatti, il giudice nell'esercizio del suo potere discrezionale può ben utilizzare più volte lo stesso fattore (a favore ma anche contro l'imputato) per giustificare le scelte operate in ordine agli elementi la cui determinazione è affidata al suo prudente apprezzamento, purché il fattore stesso presenti un significato polivalente, così da rendere legittima la plurima utilizzazione sotto differenti profili per distinti fini e conseguenze (cfr. sez. V, 13 ottobre 1980 -22 gennaio 1981, n. 330, Tirotta, RV 147363; sez. I, 13 ottobre -11 novembre 1981, n. 10140, Sola, RV 150936; sez. V, 15...

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