Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine953-991

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. fer., 27 agosto 2004, n. 35578 (ud. 30 luglio 2004). Pres. Vitalone - Est. Genovese - P.M. (conf.) - Ric. Fantini.

Falsità in atti - In atti pubblici - Falsità ideologica - Errore del pubblico ufficiale determinato da altrui dichiarazione non veritiera - Falso innocuo - Condizioni - Fattispecie relative a planimetria allegata alla domanda di concessione edilizia.

In tema di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale (art. 480 c.p.) determinata da errore per altrui inganno (art. 48 c.p.), è innocuo, in quanto non idoneo alla produzione dell'evento dannoso o pericoloso, il falso della planimetria allegata alla domanda di concessione edilizia, tesa ad ottenere un ampliamento di un edificio abitativo, per omessa riproduzione, in essa, di un fabbricato preesistente, posto sul terreno confinante, a distanza inferiore ai dieci metri, e costituito da una tettoia poggiante su quattro pilastri, ma priva di pareti. Infatti, secondo il diritto vivente, il decreto interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, che all'art. 9 impone la distanza di dieci metri tra «pareti finestrate», non si applica a costruzioni che non siano anche edifici, ossia corpi dotati di pareti. (Mass. Redaz.). (C.p., art. 48; c.p., art. 480; D.I. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9) (1).

    (1) In simile fattispecie, si segnala, nel senso del principio qui esposto, Cass. pen., sez. V, 10 dicembre 2002, Di Giuseppe, in questa Rivista 2003, 233, secondo cui non sussiste il tentativo di falsità ideologica del pubblico ufficiale (artt. 56, 48 e 480 c.p.) allorché quest'ultimo non si sia determinato, in conseguenza delle false dichiarazioni rese dal privato, a porre in essere una condotta qualificabile come atto idoneo e diretto in modo non equivoco alla emissione del provvedimento ideologicamente falso, in quanto solo gli atti del pubblico ufficiale conseguenti all'induzione in inganno possono assurgere ad elemento del tentativo del falso del pubblico ufficiale e non già il mero inganno del privato che può integrare un diverso autonomo reato. Ne consegue che le false dichiarazioni del privato, in ordine alla conclusione dei lavori entro il termine previsto dalla legge per l'applicabilità del condono edilizio, non costituiscono atti idonei ad indurre i competenti organi comunali al rilascio di una falsa concessione in sanatoria allorché l'induzione in errore non si sia verificata e l'autorità competente, lungi dal predisporre (pur senza pervenire all'emissione) il provvedimento di concessione edilizia o, comunque, qualche altra attività preliminare finalizzata all'emissione dello stesso, abbia emesso, a seguito dei necessari accertamenti, ordinanza di demolizione del manufatto.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. 1. - La signora Maccarone Cosetta e il sig. Rinaldo Fantini venivano tratti a giudizio davanti al Tribunale di Chieti per rispondere, in concorso tra loro, del reato di cui gli artt. 48 e 480 c.p. perché, la prima quale proprietaria e committente, il secondo quale progettista, formato e firmato una falsa planimetria allegata alla domanda di concessione edilizia per ampliamento e sopraelevazione di un fabbricato sito nel Comune di Bucchianico, omettendo di «riprodurre un fabbricato preesistente e posto su un terreno confinante di proprietà» del signor Zappacosta Orfeo, che si costituiva parte civile. In tal modo i predetti avrebbero indotto in errore la Commissione edilizia ed il Sindaco del Comune, i quali rilasciavano, rispettivamente, un parere favorevole e, in data 6 febbraio 1997, una concessione edilizia (n. 4 del 1997) assentendo la realizzazione dell'ampliamento del fabbricato della Maccarone a distanza inferiore a quella consentita (8,25 mt. in luogo di 10 mt.) rispetto al fabbricato dello Zappacosta.

A carico della stessa signora Maccarone e del signor Antonio Nanni, direttore dei lavori, si procedeva anche per il reato di costruzione abusiva (artt. 110 c.p. e 20, lett. b, L. n. 47 del 1985) in relazione ai lavori di ampliamento e sopraelevazione del fabbricato in questione.

  1. - Il tribunale, assolto il Nanni dal secondo reato, condannava la signora Maccarone (con il riconoscimento della continuazione fra i due reati a lei attribuiti) ed il signor Fantini alla pena di mesi sei di reclusione ciascuno e al pagamento delle spese processuali nonché al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, e al rimborso delle spese di costituzione e difesa in favore della parte civile Zappacosta Orfeo.

  2. Proponeva appello il difensore dei due imputati.

  3. - La Corte d'appello dell'Aquila, con la sentenza oggi impugnata, dichiarava non doversi procedere nei confronti della signora Maccarone in ordine al reato di costruzione abusiva, perché estinto per prescrizione, e confermava la condanna della medesima e del signor Fantini in ordine al primo delitto, con le attenuanti generiche, alla pena di mesi due di reclusione ciascuno, con i doppi benefici di legge, e alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel grado.

    4.1. - Secondo la Corte territoriale, andava confermata la dichiarazione di colpevolezza degli imputati poiché era incontestabile la falsità ideologica. Infatti, la preesistenza non indicata nella planimetria era costituita da una intelaiatura portante di otto pilastri in muratura di mattoni pieni, legati con malta cementizia, con copertura a tetto a due falde e con perimetrazione priva di pareti. Come tale essa andava qualificata come «fabbricato», non essendo precaria. Inoltre, non era sostenibile una interpretazione dell'art. 11 del P.R.G. di Bucchianico nel senso che, in quella zona, si potesse costruire a distanze inferiori ai dieci metri. Tale prescrizione, riconducibile all'art. 9 del D.M. n. 507 (recte: 1444) del 1968, riguarderebbe le distanze tra «edifici», intesi come sinonimo di «fabbricati» e, dunque, comprensivi anche dei fienili-tettoie di cui si discute.

    In ogni caso, a prescindere da tali considerazioni, ai due imputati incombeva l'obbligo di fornire una rappresentazione fedele della zona, lasciando che poi fosse l'autorità preposta a valutare la rispondenza a legge della costruzione in corso di ampliamento e la necessità o meno dell'osservanza delle distanze legali.

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  4. - Contro tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i due imputati, affidato a due mezzi.

    MOTIVI DELLA DECISIONE. 1.1. - Con il primo motivo (con il quale si dolgono dell'erronea applicazione della legge penale e dell'inosservanza dell'art. 129, comma 2, c.p.p.) i ricorrenti deducono che erroneamente il giudice del gravame ha escluso la sussistenza delle condizioni per l'assoluzione degli imputati nel merito, ai sensi dell'art. 129, comma 2, c.p.p., che pure esistevano ed esisterebbero. In particolare, l'edificio rispetto al quale la distanza era inferiore ai dieci metri prescritti non poteva considerarsi tale, trattandosi di un fienile-tettoia, onde l'inapplicabilità dell'art. 9 del D.M. n. 507 (recte: 1444) del 1968. Ciò anche ai sensi dell'art. 11 del P.R.G. esistente nel Comune di Bucchianico, per il quale non si richiederebbe il rispetto di quella distanza da eventuali manufatti preesistenti. Inoltre, la preesistenza - che non era accatastata - non era neppure segnalata sulle tavole del piano regolatore del comune e il terreno di proprietà della ricorrente era talmente esteso da consentire l'ampliamento dalla parte opposta a quella dove era stata progettata, approvata ed eseguita.

    1.2. - Con il secondo motivo (con il quale si dolgono dell'inosservanza della legge penale - art. 480 in riferimento agli artt. 157 e 160 c.p. - per omessa declaratoria di estinzione del reato p. e p. dall'art. 480 c.p. per intervenuta prescrizione prima della pronuncia della sentenza impugnata) i ricorrenti deducono, subordinatamente alla reiezione del primo motivo, che la Corte territoriale, all'udienza di discussione del 6 febbraio 2004, avrebbe errato nel non emettere la declaratoria di estinzione del reato di falso che sarebbe maturata alcuni mesi prima della pronuncia di appello (il 9 agosto 2003). Infatti, premesso che, ai sensi dell'art. 157, comma 1, n. 4, c.p., il tempo necessario a far prescrivere il reato sarebbe pari ad anni cinque, prorogabili fino ad anni sette e mesi sei in virtù dell'art. 160 ult. comma c.p., qualora, come nella specie, sarebbero intervenuti uno o più atti interruttivi, tale ultimo termine sarebbe spirato in considerazione del fatto che il momento consumativo del reato di falso in esame andrebbe individuato nel giorno 26 luglio 1996, data di presentazione della domanda di rilascio della concessione al Comune di Bucchianico, corredata della planimetria che si assume falsa.

    In accoglimento di tale motivo di ricorso i ricorrenti hanno chiesto l'annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata nella parte in cui non ha riconosciuto l'avvenuta prescrizione anche del reato di falso siccome estinto per l'intervenuta prescrizione, ancor prima della pronuncia della sentenza di appello.

  5. - Il primo dei due motivi di ricorso, specifico e non generico (al contrario di quanto opina la parte civile), è fondato e va accolto.

    La sentenza impugnata contiene, infatti, due rationes decidendi, la prima delle quali è stata investita dalla censura in esame, ma - come si dirà - non senza effetto anche sulla seconda.

    2.1. - Delle plurime ragioni avanzate con il detto mezzo di impugnazione, ha pregio quella che richiama l'inapplicabilità dell'art. 9, primo comma, n. 2, del decreto interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della legge 5 agosto 1967, n. 765).

    Questa disposizione, riguardante i «limiti di...

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