Giurisprudenza di legittimità

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. un., 17 maggio 2004, n. 23016 (c.c. 31 marzo 2004). Pres. Marvulli - Est. Silvestri - P.G. Palombarini (conf.)Ric. Pezzella.

Corte costituzionale - Sindacato di legittimità costituzionale - Giudizio incidentale - Sentenza interpretativa di rigetto - Efficacia erga omnes - Esclusione - Conseguenze. Misure cautelari personali - Estinzione - Termini di durata massima della custodia cautelare - Regresso del procedimento - Computo dei termini - Modalità - Periodi di detenzione imputabili ad altra fase o grado del procedimento - Rilevanza - Limiti.

Le decisioni interpretative di rigetto della Corte costituzionale non hanno efficacia erga omnes, a differenza di quelle dichiarative dell'illegittimità costituzionale di norme, e pertanto determinano solo un vincolo negativo per il giudice del procedimento in cui è stata sollevata la relativa questione. In tutti gli altri casi il giudice conserva il poteredovere di interpretare in piena autonomia le disposizioni di legge a norma dell'art. 101, comma 2, Cost., purché ne dia una lettura costituzionalmente orientata, ancorché differente da quella indicata nella decisione interpretativa di rigetto. (Mass. Redaz.). (Cost., art. 101) (1).

In caso di regresso del procedimento, ai fini del computo del doppio del termine di fase e del conseguente diritto alla scarcerazione dell'imputato detenuto, si deve tenere conto anche dei periodi di detenzione imputabili ad altra fase o grado del procedimento medesimo, limitatamente ai periodi riferibili a fasi o gradi omogenei, secondo il combinato disposto degli artt. 303, comma 2, e 304, comma 6, c.p.p. (Mass. Redaz.). (C.p.p., art. 304; c.p.p., art. 303) (2).

    (1) In merito al principio espresso nella massima in epigrafe, si veda il precedente delle stesse SS.UU. del 24 settembre 1998, Gallieri, in questa Rivista 1998, 539, secondo il quale, sebbene la sentenza interpretativa di rigetto della Corte costituzionale non sia munita di efficacia erga omnes, facendo essa sorgere un vincolo solo nel giudizio a quo, il giudice che, in un diverso giudizio, intenda discostarsi dall'interpretazione proposta nella sentenza costituzionale non ha altra alternativa che quella di sollevare ulteriormente la questione di legittimità, non potendo mai assegnare alla formulazione normativa un significato ritenuto incompatibile con la Costituzione. Si veda anche Tribunale Milano, 25 giugno 1999, in Foro ambrosiano 1999, 456, per il quale le sentenze di rigetto della Corte costituzionale non sono munite dell'efficacia erga omnes propria delle decisioni con le quali viene dichiarata l'illegittimità costituzionale di una disposizione di legge, ma assumono il valore di mero precedente e non sono vincolanti per il giudice di un procedimento diverso da quello in cui la pronuncia è stata resa, potendo questi discostarsene e sollevare una nuova questione di legittimità della medesima disposizione per le stesse ragioni già disattese dalla Consulta.

(2) Quanto al contrasto giurisprudenziale insorto in ordine alla decorrenza dei termini di durata della custodia cautelare ed alle modalità di calcolo della durata massima di fase in caso di annullamento con rinvio e, più in generale, di regresso del procedimento, cfr. la citata pronuncia Cass. pen., sez. un., 29 febbraio 2000, Musitano, in questa Rivista 2000, 137, alla cui ampia nota si rinvia.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - In data 4 agosto Pezzella Francesco presentava al Tribunale di Napoli, nel corso del dibattimento a suo carico, richiesta di scarcerazione per avvenuto decorso del doppio del termine di fase, previsto dall'art. 304, comma 6, c.p.p., deducendo che: 1) in data 23 novembre 1999 era stato sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere per i delitti di cui agli artt. 416-bis c.p., 110 e 629, comma 1 e 2, c.p., aggravati dalla circostanza di cui all'art. 7 della L. n. 203 del 1991, e 12, 14 della L. n. 497 del 1974; 2) il 9 novembre 2000, all'esito dell'udienza preliminare, era stato rinviato a giudizio; 3) in data 14 marzo 2001 il tribunale dibattimentale aveva dichiarato la nullità del decreto che aveva disposto il giudizio, con conseguente regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari; 4) il 17 ottobre 2001 era stato emesso nuovo decreto di rinvio a giudizio. Ciò premesso, l'istante assumeva che, alla data della richiesta di scarcerazione, era ormai trascorso il termine massimo di durata della custodia cautelare per il giudizio di primo grado, la cui scadenza era avvenuta il 24 novembre 2002, dopo tre anni dall'applicazione della misura.

Il Tribunale di Napoli, quale giudice del dibattimento, il 9 agosto 2003 respingeva la richiesta di scarcerazione, ritenendo che non fosse decorso il termine triennale, la cui durata doveva essere computata a partire dal primo decreto di rinvio a giudizio.

Investito dell'impugnazione cautelare ex art. 310 c.p.p., il tribunale della libertà, con ordinanza del 2 settembre 2003, rigettava l'appello, precisando che, secondo la sentenza interpretativa di rigetto della Corte costituzionale n. 292 del 1998, per il computo del doppio del termine di fase la custodia cautelare patita nella fase dibattimentale, prima del regresso, doveva essere sommata, in base ad una fictio iuris, alla fase delle indagini preliminari e non, invece, alla durata del secondo dibattimento, validamente e definitivamente instauratosi. Pertanto, il tribunale riteneva che, in applicazione delle linee della giurisprudenza costituzionale, la data di decorrenza del termine massimo relativo al giudizio di primo grado dovesse essere identificata, ai sensi dell'art. 303, comma 1, lett. b) c.p.p. in quella del 17 ottobre 2001, in cui era stato emesso il secondo decreto che aveva disposto il giudizio, e non già nella data del primo decreto, come aveva erroneamente ritenuto il giudice del procedimento principale col provvedimento di rigetto dell'istanza di scarcerazione, né in quella di inizio della custodia cautelare, come aveva sostenuto l'appellante. Una diversa soluzione - aveva concluso il tribunale - avrebbe condotto «all'aberrante conclusione secondo cui il tempo trascorso dall'esecuzione della misura e fino alla data di emissione del nuovo decreto che dispone il giudizio sarebbe computato due Page 272 volte, sia in relazione alla fase delle indagini preliminari, sia in relazione alla fase successiva».

Avverso l'anzidetta ordinanza il difensore ha proposto ricorso per cassazione, deducendo violazione dell'art. 606, comma 1, lett. c) ed e), in relazione al combinato disposto degli artt. 303, comma 1, lett. b) e 304, comma 6, c.p.p., sull'assunto che l'esatta ricostruzione della portata della citata sentenza n. 292 del 1998 giustifica la conclusione che il limite massimo previsto per la fase dibattimentale era iniziato a decorrere dalla data di esecuzione della custodia cautelare (cioè dal 24 novembre 1999, con scadenza al 24 novembre 2002); sicché l'opinione contraria doveva considerarsi basata sull'errata premessa dell'autonomia dei termini di fase, e quindi sulla non cumulabilità dei periodi di custodia relativi a fasi e gradi diversi, traducendosi in un'opzione difforme dall'interpretazione della Corte costituzionale. Di conseguenza, ad avviso del ricorrente (che, con successiva memoria difensiva, ha ribadito le linee del dissenso), il tribunale, col limitare l'operatività dell'art. 304, comma 6, al cumulo delle sole fasi omogenee, aveva fatto ricadere sulla libertà personale dell'imputato gli effetti negativi di quegli errori od inconvenienti verificatisi nella gestione del processo, che costituiscono causa di nullità e determinano la regressione del procedimento.

Con ordinanza del 22 gennaio 2004, la Seconda sezione di questa Corte ha rimesso la questione alle sezioni unite, rilevando che il quesito relativo alle modalità di computo del termine massimo di fase in ipotesi di regressione del procedimento era stato oggetto di contrasto interpretativo nella giurisprudenza di legittimità, sinora rimasto irrisolto. Il Collegio rimettente ha osservato che la soluzione del contrasto riveste effettiva e concreta rilevanza, posto che la durata della custodia cautelare subita dal Pezzella avrebbe già superato il doppio del termine interfasico relativo al giudizio di primo grado, se la decorrenza fosse fissata alla data del primo decreto di rinvio a giudizio, mentre, qualora dovesse seguirsi l'orientamento che ammette la possibilità di cumulo dei periodi di fase omogenea, il termine ad quem dovrebbe individuarsi nel 14 marzo 2004 (facendosi cioè decorrere i tre anni dal secondo decreto, ma tenendo conto del periodo intercorrente tra il primo decreto e il provvedimento in data 14 marzo 2001 che ne ha dichiarato la nullità); infine, se si dovesse seguire la tesi accolta nell'ordinanza impugnata, la decorrenza del termine massimo coinciderebbe con la data del secondo decreto di rinvio a giudizio e la scadenza avverrebbe soltanto il 17 ottobre 2004.

Con provvedimento del 9 febbraio 2004, il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle sezioni unite e ne ha fissato la trattazione all'odierna udienza in camera di consiglio.

MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. - Le sezioni unite sono chiamate nuovamente a risolvere la questione relativa alle modalità di calcolo del doppio del termine di fase in caso di regresso del procedimento, già decisa con la sentenza 19 gennaio 2000, ric. Musitano, con la quale è stato enunciato il principio di diritto per cui, al fine di accertare se sia stato o non superato il limite della custodia cautelare fissato dall'art. 304, comma 6, c.p.p., devono sommarsi soltanto i periodi di detenzione trascorsi in fasi o gradi omogenei, senza tenere conto del grado intermedio in cui è stato adottato il provvedimento che ha determinato il regresso.

Nel presente procedimento cautelare il tema è stato prospettato sotto il particolare profilo dell'individuazione della data di decorrenza del limite temporale massimo di fase.

Pur...

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