Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine1097-1140

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. II, 26 settembre 2007, n. 35580 (ud. 27 giugno 2007). Pres. Morelli - Est. Zappia - P.M. (conf.) - Ric. D'Angeli.

Reato - Cause di giustificazione - Stato di necessità - Danno grave alla persona - Nozione - Ambito - Fattispecie in tema di occupazione abusiva di immobile dell'Iacp.

Ai fini del riconoscimento dell'esimente dello stato di necessità, nel concetto di danno grave alla persona, secondo la formulazione dell'art. 54 c.p., rientrano anche situazioni che pongono in pericolo solo indirettamente l'integrità fisica in quanto attentano alla sfera dei beni primari collegati alla personalità, tra i quali deve essere ricompresa anche l'esigenza di un alloggio. Tale interpretazione estensiva del concetto di danno grave alla persona, mediante l'inclusione dei diritti inviolabili, impone una più attenta e penetrante indagine giudiziaria, diretta a circoscrivere la sfera di azione della esimente ai soli casi in cui siano indiscutibilmente presenti gli altri elementi costitutivi della stessa, quali i requisiti della necessità e della inevitabilità del pericolo, tenuto conto delle esigenze di tutela dei diritti dei terzi, involontariamente coinvolti, diritti che non possono essere compressi se non in condizioni eccezionali e chiaramente comprovate. (Nella specie è stata annullata con rinvio la decisione del giudice di appello che, nel confermare la condanna dell'imputata per avere occupato abusivamente un immobile di proprietà dell'Iacp, aveva totalmente omesso qualsiasi indagine volta a verificare lo stato di indigenza della medesima, l'esigenza di tutela del figlio minore e la minaccia dell'integrità fisica degli stessi). (Mass. Redaz.). (C.p., art. 54; c.p., art. 633) (1).

    (1) La sentenza in rassegna, pur avendo tenuto largamente banco sui giornali e fra i politici, non è per niente una novità. Ripete, pari pari, quanto la Cassazione ha affermato con la sentenza - richiamata in motivazione - del 4 giugno 2003, Bocchino, in questa Rivista 2004, 471. Ed è inutile dire, su una rivista giuridica, che - pronunziata sul piano penale, ed essenzialmente e sostanzialmente, sull'elemento soggettivo - non ha alcun riflesso sul piano civilistico, sul quale l'occupazione di case rimane comunque illegittima, anche ove ricorra uno stato di necessità.


MOTIVI DELLA DECISIONE. - Con sentenza del 4 febbraio 2005 il Tribunale di Roma condannava D'Angeli Giuseppa, concesse le circostanze attenuanti generiche, alla pena di euro 600,00 di multa, avendola ritenuta responsabile del reato di occupazione abusiva di immobile di proprietà dell'Iacp.

Con sentenza del 1º dicembre 2006 la Corte di appello di Roma confermava la decisione impugnata.

Avverso tale sentenza l'imputata propone ricorso per cassazione lamentando la violazione di legge sotto diversi profili.

Col primo motivo di gravame la ricorrente lamenta violazione dell'art. 606, comma 1, lett. d) ed e) c.p.p., rilevando la mancanza di motivazione in ordine al primo e terzo motivo dell'appello proposto, nonché il carattere solo apparente di tale motivazione in relazione alle questioni di merito poste; e rileva altresì la mancata assunzione di una prova decisiva richiesta ai sensi dell'art. 603 c.p.p.

Osserva in particolare la ricorrente che la corte di appello aveva escluso lo stato di necessità dedotto da essa imputata in relazione alla contestata occupazione di immobile, senza svolgere alcuna indagine specifica in ordine alle effettive condizioni dell'imputata, alla esigenza di tutela del figlio minore, alla minaccia dell'integrità fisica degli stessi, al carattere assolutamente transitorio del ricorso ai servizi sociali; e rileva inoltre che la Corte suddetta non aveva assolutamente motivato in ordine al mancato accoglimento della richiesta di nuova audizione della teste Pozzi Rita (operante di P.G., che aveva effettuato il sopralluogo), che avrebbe consentito un esame esaustivo della fattispecie concreta.

Col secondo motivo di gravame la ricorrente lamenta violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e) c.p.p., rilevando la inconsistenza della motivazione in ordine alla non applicazione dell'art. 54 c.p., quantomeno in relazione all'art. 59 dello stesso codice.

In particolare rileva la ricorrente che la Corte territoriale non aveva adeguatamente valutato la sussistenza dello stato di necessità, rilvante non solo con riferimento al diritto all'abitazione ma anche con riferimento al diritto alla salvaguardia della salute del figlio, diritto fondamentale tutelato dalla Costituzione, non potendosi omettere di evidenziare che lo stato di pericolo per la ricorrente e per il proprio figlio non era imputabile ad una condotta alla stessa riferibile, non era altrimenti evitabile non avendo l'interessata alcuna possibilità di rivolgersi al mercato libero degli alloggi, e che il fatto commesso era proporzionato al pericolo che lo stesso era destinato scongiurare. Ed ha quindi concluso evidenziando che, se pur nel caso di specie la sussistenza dello stato di necessità non poteva essere affermata con obiettiva certezza stante la carenza nell'istruttoria dibattimentale, tuttavia nonPage 1098 poteva nemmeno essere ragionevolmente esclusa, di talché si imponeva l'annullamento dell'impugnata sentenza.

Il ricorso è fondato.

Sul punto ritiene il collegio di dover innanzi tutto evidenziare che, ai fini della sussistenza dell'esimente dello stato di necessità previsto dall'art. 54 c.p., rientrano nel concetto di «danno grave alla persona» non solo la lesione della vita o dell'integrità fisica, ma anche quelle situazioni che attentano alla sfera dei diritti fondamentali della persona, secondo la previsione contenuta nell'art. 2 della Costituzione; e pertanto rientrano in tale previsione anche quelle situazioni che minacciano solo indirettamente l'integrità fisica del soggetto in quanto si riferiscono alla sfera dei beni primari collegati alla personalità, fra i quali deve essere ricompreso il diritto all'abitazione in quanto l'esigenza di un alloggio rientra fra i bisogni primari della persona.

Tale interpretazione estensiva del concetto di danno grave alla persona fa sì peraltro, siccome evidenziato da questa Corte (Cass., sez. II, 19 marzo 2003 n. 24290), che «più attenta e penetrante deve essere l'indagine giudiziaria diretta a circoscrivere la sfera di azione dell'esimente ai soli casi in cui siano indiscutibili gli elementi costitutivi della stessa - necessità e inevitabilità - non potendo i diritti dei terzi essere compressi se non in condizioni eccezionali, chiaramente comprovate».

Nel caso di specie è stata per contro totalmente omessa qualsiasi indagine sia al fine di verificare le effettive condizioni dell'imputata, l'esigenza di tutela del figlio minore, la minaccia dell'integrità fisica degli stessi, sia al fine di verificare la sussistenza sotto il profilo obiettivo dei requisiti della necessità ed inevitabilità che, unitamente agli altri elementi richiesti dall'art. 54 c.p., consentono di ritenere la susisstenza dell'esimente in parola.

Alla stregua di quanto sopra si impone l'annullamento dell'impugnata sentenza, rimanendo in tale pronuncia assorbiti gli ulteriori rilievi sollevati dalla ricorrente, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma. (Omissis).

@CORTE DI CASSAZIONE Sez. Un., 24 settembre 2007, n. 35448 (ud. 28 giugno 2007). Pres. Morelli - Est. Fiale - P.M. Ciani (parz. diff.) - Ric. Scelsi ed altro.

Falsità in atti - In atti pubblici - False attestazioni del privato in atto pubblico - Falso ideologico in atto pubblico ex art. 48 c.p. - Concorso formaleCondizioni - Fattispecie.

Il delitto di falsa attestazione del privato (art. 483 c.p.) può concorrere - quando la falsa dichiarazione del mentitore sia prevista di per sé come reato - con quello della falsità per induzione in errore del pubblico ufficiale nella redazione dell'atto al quale l'attestazione inerisca (di cui agli artt. 48 e 479 c.p.), sempreché la dichiarazione non veridica del privato concerna fatti dei quali l'atto del pubblico ufficiale è destinato a provarne la verità. (Nella specie, è stato ritenuto sussistente dalla Corte anche il reato di cui agli artt. 48 e 479 c.p., poiché le false dichiarazioni degli imputati, già costituenti di per sé reato, si sono poste in rapporto strumentale con atti pubblici successivamente redatti da pubblici ufficiali, pure affetti da falsità ideologiche). (Mass. Redaz.). (C.p., art. 483; c.p., art. 479; c.p., art. 48) (1).

    (1) Le Sezioni Unite ribadiscono innanzitutto il principio espresso con la sentenza Cass. pen., S.U., 24 febbraio 1995, Proietti, pubblicata per esteso in questa Rivista 1995, 900 con ampia nota di richiami giurisprudenziali, secondo cui tutte le volte in cui il pubblico ufficiale adotti un provvedimento, a contenuto sia descrittivo sia dispositivo, dando atto in premessa, anche implicitamente, della esistenza delle condizioni richieste per la sua adozione, desunte da atti o attestazioni non veri prodotti dal privato, si è in presenza di un falso del pubblico ufficiale del quale risponde, ai sensi dell'art. 48 c.p., colui che ha posto in essere l'atto o l'attestazione non vera. Hanno quindi affermato il suesposto principio risolutivo dell'attuale contrasto ampiamente descritto in parte motiva.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - La Corte di appello di Bari, con sentenza del 27 gennaio 2006, confermava la sentenza 3 dicembre 2002 del Tribunale di Foggia, che aveva affermato la responsabilità penale di Scelsi Domenico e Liso Beatrice in ordine ai delitti di cui:

a) agli artt. 110 e 483 c.p., in relaz. all'art. 26 della legge n. 15/1968, perché, in concorso tra loro, nelle qualità di legali rappresentanti, rispettivamente, della Spa Icop e della Srl Elca, società facenti parte del consorzio Sierp - avendo inviato all'Amministrazione provinciale di Foggia, nella richiesta di partecipazione alla procedura di licitazione privata per l'appalto dei lavori di costruzione...

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