Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine1015-1066

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 15 luglio 2008, n. 29161 (c.c. 24 giugno 2008). Pres. Silvestri - Est. Granero - P.M. De Sandro (diff.) - Ric. P.M. in proc. Enobakhare

Sicurezza pubblica - Stranieri - Espulsione - Sentenza di non luogo a procedere ex art. 13, comma 3 quater, D.L.vo n. 286/1998 - Emissione - Casistica.

La sentenza di non luogo a procedere prevista dall'art. 13, comma 3 quater, del D.L.vo 25 luglio 1998 n. 286 per il caso di reati ascritti a straniero extracomunitario nei cui confronti sia stato eseguito un provvedimento di espulsione può essere pronunciata anche in mancanza di un tale provvedimento, ove risulti che lo straniero sia stato semplicemente respinto alla frontiera (nella specie, perché trovato in possesso di un permesso di soggiorno contraffatto, per cui si era instaurato, a suo carico, procedimento penale per il reato di cui all'art. 5, comma 8 bis, del citato D.L.vo n. 286/1998). (Mass. Redaz.). (D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286, art. 13; D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286, art. 5) (1).

    (1) Nulla in termini. Cfr. Cass. pen., sez. I, 1 ottobre 2007, Kamberi, in Ius&Lex dvd, ed. La Tribuna, per la quale la sentenza di non luogo a procedere in esame può essere pronunciata, sulla base di un'interpretazione estensiva della norma che risponda alla sostanziale finalità perseguita dal legislatore, anche quando non vi sia stato esercizio dell'azione penale in alcuna delle forme previste dall'art. 405 c.p.p.

MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. - Il procuratore della Repubblica di Busto Arsizio ricorre avverso la sentenza di proscioglimento emessa dal Gup presso il tribunale della stessa sede nei confronti dell'imputato in epigrafe, tratto a giudizio per rispondere del reato di cui all'articolo 5 comma 8 bis del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 perché, apponendovi la propria fotografia ed i propri asseriti dati, contraffaceva il permesso di soggiorno apparentemente rilasciatogli dalla Questura di Novara, ma in realtà mai rilasciato e confezionato mediante sistemi di stampa difformi e materiale cartaceo non originale.

Il giudice, constatato che lo straniero, dopo il sequestro del falso documento da parte della polizia di frontiera di Malpensa, era stato imbarcato su altro aereo diretto al luogo di provenienza, ha ritenuto - facendone applicazione estensiva anche a questa ipotesi - che al caso fosse applicabile la disposizione prevista dall'articolo 13 comma 3 quater del decreto legislativo citato, che impone al giudice, nei casi in cui sia stata acquisita la prova dell'avvenuta espulsione e non sia stato ancora emesso il provvedimento che dispone il giudizio, di pronunciare sentenza di non luogo a procedere.

  1. - È di contrario avviso il pubblico ministero ricorrente, il quale osserva che il richiamo alla causa di non procedibilità prevista dall'articolo 13 comma 3 quater del testo legislativo non appare corretto, in quanto il presupposto per l'applicazione di quella norma è che vi sia stata un'espulsione amministrativa disposta dal Prefetto ed eseguita dal Questore. In questo caso invece non si tratta di espulsione, ma di mero respingimento alla frontiera - in base alla Convenzione I.C.A.O. di Chicago, che disciplina la navigazione aerea civile - per irregolarità o mancanza dei documenti di viaggio. Rileva inoltre, in linea di fatto, la apoditticità dell'affermazione contenuta nella sentenza, secondo la quale lo straniero non avrebbe messo piede sul territorio nazionale, in quanto immediatamente reimbarcato. Conclude, infine, osservando che in ogni caso sarebbe ravvisabile il reato di cui all'articolo 489 c.p., risultando provato che lo straniero, sbarcato dall'aereo, aveva esibito il falso documento con lo scopo di indurre in errore il personale di polizia preposto ai controlli e ottenere l'ingresso nel territorio nazionale.

  2. - Il ricorso non può essere accolto.

    Infatti, una corretta interpretazione della norma che viene in rilievo, e cioè il già citato articolo 13 comma 3 quater del testo legislativo 286/1998 e successive modifiche, consente di ritenere che il legislatore ha inteso, con tale norma, evitare la celebrazione di giudizi inutili ogni volta che il cittadino extracomunitario sia stato espulso dal territorio nazionale. La giurisprudenza di questa Corte ha già più volte stabilito che la norma stessa, nonostante la sua infelice formulazione, che sembrerebbe far riferimento soltanto alla fase dell'udienza preliminare, possa e debba essere applicata anche in casi di citazione diretta da parte del pubblico ministero (tra le altre, sez. II, 9 novembre 2004; sez. I, 16 settembre 2004; sez. I, 4 maggio 2004).

    Non vi è alcuna ragione per non fare applicazione della stessa regola, sia pure in via analogica (ma è una analogia in bonam partem, che va a favore dell'imputato e che pertanto non può ritenersi preclusa) anche nel caso in cui non sia stato formalmente emesso un decreto di espulsione, perché il cittadino extracomunitario è stato semplicemente respinto alla frontiera. (Omissis).

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    @CORTE DI CASSAZIONE Sez. VI, 8 luglio 2008, n. 27936 (ud. 24 aprile 2008). Pres. De Roberto - Est. Lanza - P.M. Di Casola (conf.) - Ric. X

    Abuso d'ufficio - Estremi - Medico di struttura pubblica che solleciti a recarsi presso proprio ambulatorio privato - Configurabilità del reato. Abuso d'ufficio - Estremi - Nozione di «ingiusto vantaggio patrimoniale» - Contenuto - Valutazione. Abuso d'ufficio - Elemento psicologico - Dolo generico - Necessità.

    Integra il delitto di abuso d'ufficio il medico specialista di una struttura sanitaria pubblica che, dopo aver effettuato una visita ambulatoriale, inviti il paziente a recarsi nel suo laboratorio privato per un approfondimento diagnostico invece che indirizzarlo ad uno dei contigui presidi ospedalieri, perché tale condotta viola il dovere di astensione di cui all'art. 6 del D.M. 31 marzo 1994 e realizza un ingiusto vantaggio patrimoniale in favore del medico che non cessa di esercitare l'attività di pubblico rilievo nella fase del dopo-visita. (Mass. Redaz.). (C.p., art. 323) (1).

    Ai fini dell'integrazione del reato di abuso d'ufficio (art. 323 c.p.) è necessario che sussista la cosiddetta doppia ingiustizia, nel senso che ingiusta deve essere la condotta, in quanto condotta da violazione di legge, ed ingiusto deve essere l'evento di vantaggio patrimoniale, in quanto non spettante in base al diritto oggettivo regolante la materia. Ne consegue che occorre una duplice distinta valutazione in proposito, non potendosi far discendere l'ingiustizia del vantaggio conseguito dalla illegittimità del mezzo utilizzato e quindi dalla accertata esistenza dell'illegittimità della condotta, ed essendo possibile, in teoria, che il reato non rimanga integrato se, pur essendo illegittimo il mezzo impiegato, l'evento di vantaggio (o di danno) non sia di per sé ingiusto. (Mass. Redaz.). (C.p., art. 323) (2).

    Il reato di abuso d'ufficio di cui all'art. 323 c.p. per essere integrato necessita della presenza del dolo generico, sia pure caratterizzato da un'intenzionalità che esclude il dolo eventuale. (Mass. Redaz.). (C.p., art. 323) (3).

      (1) Conforme Cass. pen., sez. VI, 13 giugno 2001, Caminati, in questa Rivista 2002, 2069. Si veda anche Trib. pen. Torino 5 dicembre 2006, C., in Corriere del merito 2007, 490, secondo cui il medico in servizio presso una Asl, il quale propaganda abusivamente il proprio studio privato, non commette abuso d'ufficio se il vantaggio patrimoniale, pur perseguito in iure (cioè non astenendosi in presenza di un interesse proprio e, comunque, in violazione di una norma di regolamento), non risulta di per sé contra ius, vale a dire in contrasto con una specifica norma vigente.

      (2) Pressoché in termini la citata Cass. pen., sez. VI, 23 ottobre 2006, Moro, pubblicata per esteso in questa Rivista 2007, 160 e in Cass. pen. 2007, 2459 con nota di DE BELLIS.

      (3) In aggiunta ai precedenti citati in motivazione si veda Trib. pen. Pavia 24 maggio 2000, in Foro ambrosiano 2000, 443 con nota di ZAVATARELLI.

    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Va preliminarmente osservato, ai fini di una corretta comprensione dei termini della vicenda, che nei capi di imputazione per cui vi è stata duplice conforme affermazione di responsabilità (capo a, esclusi i fatti del 1995 e capo b), la violazione dell'art. 323 c.p.:

    - non è stata fatta derivare dalla mera violazione delle norme di cui al D.M. 31 marzo 1994, come sostituito dal D.M. 28 dicembre 2000 (Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni), ed in particolare dalla specifica e reale inottemperanza ai principi di imparzialità e indipendenza, nonché alla regola dell'obbligo dell'astensione, così come fissati dai disposti degli artt. 2 e 6 D.M. 28 dicembre 2000;

    - ma è stata fondata pure sull'inottemperanza al dovere di astensione, il quale si imponeva - a giudizio della Corte toscana - anche e indipendentemente da norme specifiche che (come quelle citate) prevedessero tale obbligo di astensione, ogniqualvolta si potesse profilare in concreto un conflitto latente tra interessi pubblici e privati.

    In buona sostanza, per i giudici di merito, l'interesse privato del dott. X. è entrato in stridente conflitto con quello pubblico «atteso che, quand'anche le attrezzature del presidio ospedaliero di N. non avessero consentito l'esecuzione dell'esame del fondo dell'occhio, nulla autorizzava il ricorrente ad indirizzare i pazienti al suo studio privato (p. 10 sentenza corte di appello), con ciò perseguendo e lucrando intenzionalmente un ingiusto vantaggio patrimoniale, rappresentato dalle somme versategli dai clienti, visitati nel suo studio privato.

    Con un primo motivo di impugnazione la ricorrente difesa deduce la violazione dell'art. 606.1 lettera b) per inosservanza o erronea applicazione della legge penale, con riferimento gli artt. 323 (abuso d'ufficio), 357 (nozione di pubblico ufficiale), 358 (nozione di persona incaricata di pubblico...

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