Giurisprudenza di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine1115-1143

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 15 luglio 2009, n. 28853 (ud. 16 giugno 2009). Pres. Chieffi - Est. Vecchio - P.M. Febbraro (diff.) - Ric. L.T

Molestia o disturbo alle persone - Estremi - Atteggiamento biasimevole o petulante - Assenza - Inconfigurabilità del reato - Fattispecie in tema di ripetute citofonate all’inquilino soprastante al fine di verificare l’origine di perdite d’accqua.

Non è configurabile il reato di molestia o disturbo alle persone previsto e punito dall’art. 660 c.p., per difetto del requisito della petulanza o del biasimevole motivo, a carico di colui il quale suoni ripetutamente il campanello, il citifono o bussi più volte alla porta di casa dell’inquilino dell’appartamento soprastante per verificare la causa e l’origine di perdite d’acqua dalle tubature. (Mass. Redaz.). (C.p., art. 660) (1).

    (1) Si veda Cass. pen., sez. VI, 30 giugno 1978, Ciconi, in Ius&Lex dvd n. 5/2009, Ed. La Tribuna, che ricomprende nella generica dizione di cui all’art. 660 c.p. «col mezzo del telefono» anche la molestia e il disturbo recati con altri analoghi mezzi di comunicazione a distanza (citofono ecc.). Sulla necessaria ricorrenza del requisito del «biasimevole motivo» per la configurabilità del reato de quo, si veda Cass. pen., sez. I, 2 marzo 2004, Calabretta, pubblicata per esteso in questa Rivista 2004, 630.

MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. – Con sentenza, deliberata il 3 novembre 2008 e depositata il 2 gennaio 2009, il Tribunale di Siena, in composizione monocratica, ha condannato alla pena di euro trecento – concesse circostanze attenuanti generiche – L.T., ritenuta responsabile della contravvenzione di molestia o disturbo alle persone, continuati, ai sensi degli articoli 81 e 660 del codice penale, così riqualificata l’originaria imputazione di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone, per avere «con più azioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, arrecato disturbo a F.A., suonando ripetutamente il campanello o bussando più volte alla porta di casa», in Siena l’11 gennaio 2005.

Il tribunale ha motivato: intorno alle 18,00 dell’11 gennaio 2005 la L. aveva suonato «più volte in maniera prolungata e sgarbata» il campanello della abitazione della F., abitante al piano soprastante dello stesso edificio in cui dimora l’imputata; la F. non aveva né aperto, né risposto, in quanto considerava la L. persona «aggressiva e dispettosa»; L., allora, aveva battuto i pugni sulla porta «in maniera forte»; quindi, uscita fuori del palazzo, aveva suonato col campanello del citofono del portone; e, infine, aveva staccato la luce, lasciando al buio l’appartamento della F.; costei era stata costretta a uscire per ripristinare l’alimentazione della corrente; il marito della persona offesa, P.M., richiamato a casa dalla moglie, aveva intimato alla L. di rivolgere loro per iscritto ogni sua richiesta; la L. aveva, quindi, chiesto l’intervento della polizia per accedere all’appartamento dei coniugi P.-F. allo scopo di verificare la causa e l’origine di una perdita dalla tubature; il giorno seguente l’imputata aveva, tramite l’avvocato Antonio Ciacci, diffidato con telegramma i P. a consentire l’accesso; successivamente il tecnico di fiducia della L. aveva verificato che dall’appartamento dei P. non provenivano perdite di acqua; non è credibile la versione della L. di aver suonato solo tre volte, a distanza di dieci minuti, l’una dall’altra, il campanello del citofono del portone; quindi, una sola volta, quello della porta interna, bussando, poi, con la mano delicatamente sul battente, senza tirare pugni; di non poter percuotere alcunché per una malattia alle ossa; di non aver staccato la alimentazione elettrica dell’edificio; gli è che la imputata non ha documentato l’asserita infermità invalidante e ha, peraltro, ammesso di aver toccato l’interruttore per controllarne il funzionamento; l’episodio si inquadra nel contesto della annosa sequela dei dispetti, delle aggressioni verbali, delle accuse «gratuite e strampalate» di cui la L. aveva fatto oggetto i P., i quali intrattenevano rapporti civili con tutti gli altri condomini, compresi gli stessi parenti della imputata; costei, «sfruttando l’apparente giustificazione delle percolazioni di acqua», piuttosto che telefonare, ha posto in essere atti «oggettivamente molesti, petulanti, gratuiti e dolosamente preordinati a creare disagio ai P.»; poi ha provocato l’intervento della polizia e, il giorno seguente, ha perpetrato «la vessazione» della diffida telegrafica con l’avvocato.

  1. – Ricorre per cassazione l’imputata, personalmente, mediante atto recante la data del 23 gennaio 2009, depositato il 5 febbraio 2009, col quale sviluppa due motivi.

    2.1. – Con il primo la ricorrente denunzia, ai sensi dell’articolo 606, comma 1, lett. b), c.p.p., inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in relazione all’articolo 660 c.p., sotto il profilo che, essendo il teatro della condotta compreso all’interno degli spazi condominiali di un edificio di privata dimora, difetta il requisito della fattispecie penale la quale prevede che la molestia sia arrecata in luogo pubblico o aperto al pubblico.

    2.2. – Con il secondo motivo la ricorrente denunzia, ai sensi dell’articolo 606, comma 1, lett. e), c.p.p. mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicitàPage 1116 della motivazione, censurando: il tribunale ha omesso di valutare il dato assolutamente pacifico – non contestato dalla denunziante e dal coniuge di lei – che l’intervento di essa L. fu determinato dalla necessità di verificare la causa delle «percolazioni di acqua» che interessavano l’edificio; inoltre, affatto illogicamente, ha motivato che l’imputata avrebbe dovuto telefonate alla F., piuttosto che recarsi a sua sua e bussare, e che la legittima richiesta formulata col ministero dell’avvocato, il giorno seguente, costituisse una vessazione.

  2. – Il ricorso è, nei termini che seguono, fondato.

    3.1. – Giova premettere che priva di pregio è la tesi della ricorrente circa l’asserita inosservanza della norma penale, sotto il profilo della carenza del requisito della fattispecie in relazione alla previsione contenuta nella norma del «luogo pubblico o aperto al pubblico».

    Innanzi tutto questa Corte, con specifico riferimento alla contravvenzione in esame, ha fissato il principio di diritto secondo il quale «si intende aperto al pubblico il luogo cui ciascuno può accedere in determinati momenti ovvero il luogo al quale può accedere una categoria di persone che abbia determinati requisiti. Devono, pertanto, essere considerati luoghi aperti al pubblico l’androne di un palazzo e la scala comune a più abitazioni – applicazione in tema di contravvenzione per molestia alle persone» (sez. Vi, 6 giugno 1975, n. 9888, Tona, mass. n. 131021).

    Peraltro, nella specie, risulta pacificamente in punto di fatto che la ricorrente azionò anche il campanello del citofono, posto sul portone esterno dell’edificio, essendo uscita, fuori dal palazzo, nella pubblica via.

    E, in proposito, soccorre l’affermazione dell’ulteriore principio di diritto secondo il quale per integrare il requisito della pubblicità del luogo di commissione del reato è sufficiente che, indifferentemente, il soggetto attivo, ovvero quello passivo, si trovi – almeno uno di essi – in luogo pubblico o aperto al pubblico (Cass., sez. I, 24 aprile 1986, n. 11524, Formenti, massima n. 174068: «Ai fini del reato di cui all’art. 660 c.p., il requisito della pubblicità del luogo sussiste tanto nel caso in cui l’agente si trovi in luogo pubblico o aperto al pubblico ed il soggetto passivo in luogo privato, tanto nell’ipotesi in cui la molestia venga arrecata da un luogo privato nei confronti di chi si trovi in un luogo pubblico o aperto al pubblico»).

    Conclusivamente la condotta della ricorrente si è sviluppata in luogo pubblico e il luogo aperto al pubblico; sicché risulta pienamente integrato tale requisito della fattispecie incriminatrice.

    3.2. – Difetta, invece, palesemente il requisito della «petulanza» o del «biasimevole motivo».

    Sul piano oggettivo è, innanzi tutto, assolutamente pacifico – e fuori discussione – che l’edificio fosse interessato da perdite di acqua.

    E altrettanto inconfutabile è la circostanza che l’intervento della ricorrente presso l’abitazione della denunziante fosse motivato dalla esigenza di accertare l’origine delle ridette perdite.

    A tal fine la L. chiese, infatti, immediatamente dopo, l’intervento della Polizia di Stato e il giorno successivo con il ministero del proprio avvocato inviò, una diffida ai coniugi P.-F.; costoro concordarono successivamente con l’imputata l’accesso di un tecnico nella loro abitazione per la verifica.

    Tanto esclude, alla evidenza, che il lamentato «disturbo» fosse frutto di petulanza o di motivo biasimevole.

    3.3. – Consegue l’annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste. (Omissis).

    @CORTE DI CASSAZIONE Sez. VI, 13 luglio 2009, n. 28553 (c.c. 18 marzo 2009). Pres. Di Virginio - Est. Paoloni - P.M. Di Casola (conf.) - Ric. O.M

    Misure cautelari personali - Misure interdittive - Divieto temporaneo di esercitare attività imprenditoriali - A seguito di comportamenti mobizzanti da partre del dirigente - Ammissibilità.

    Il dirigente che assuma comportamenti mobilizzanti verso i dipendenti, minacciandoli di demansionamento e sanzioni disciplinari al fine di ottenere l’acquiescenza alle carenze degli impianti di sicurezza e di prevenzione di infortuni, può soggiacere alla misura cautelare interdittiva del divieto temporaneo di esercitare attività imprenditoriali. (Mass. Redaz.). (C.p., art. 610; c.p.p., art. 290) (1).

      (1) Si veda Cass. pen., sez. VI, 21 settembre 2006, Riva, in questa Rivista 2007, 702.

    MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. – Nel quadro di articolate indagini su estese manifestazioni di mobbing in ambiente lavorativo verificatesi presso l’A.S.M. Spa di (omissis) azienda municipalizzata per lo smaltimento dei rifiuti urbani, scandite da molteplici...

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