Giudizio abbreviato e reati condizionali

AutoreGiancarlo Allegri
Pagine589-592

Page 589

@1. Il problema della non sospendibilità del giudizio abbreviato nei reati sottoposti a condizione obiettiva di punibilità (bancherotte prefallimentari) ancora incompiuta.

La legge Carotti del 16 dicembre 1999 n. 479, con gli artt. 27 e 28, rispettivamente manipolativo il primo e abolitivo il secondo degli artt. 439 e 440 del c.p.p., ha espunto dal tessuto codicistico l'ordinanza di fattibilità o di rigetto del rito abbreviato, attribuendo efficacia vincolante alla richiesta semplice del rito speciale, svolta dall'imputato prima della formulazione delle conclusioni nell'udienza preliminare. Non essendo più richiesto il consenso del P.M., viene meno nel rito abbreviato anche la connotazione di giustizia contrattata.

Il punto è quello della limitazione della sospendibilità del processo per bancarotta prefallimentare, in pendenza della condizione obiettiva di punibilità (fallimento opposto) al solo dibattimento.

Prima della riforma c.d. Carotti, definibilità a stato d'atti significativa chiedersi se il materiale raccolto potesse incrementarsi in modo significativo attraverso l'istruzione dibattimentale, oppure questa dovesse ritenersi molto probabilmente inutile ai fini probatori (la prova ex art. 187 c.p.p. si riferisce non solo all'imputazione, ma anche alla punibilità).

Ne discendeva che la pendenza della c.o.p. (comunque essa fosse intesa), caratterizzata nella specie dall'incertezza derivante dalla pregiudizialità (se non in senso tecnico, quanto meno in senso logico) era tale da non consentire lo svolgimento del rito abbreviato, inclinando il Giudice ad emanare ordinanza di non fattibilità, a celebrare l'udienza preliminare e, se del caso, a rinviare a giudizio, con conseguente vigenza, nel successivo snodo processuale, dell'art. 479 c.p.p. e cioè della sospensione del dibattimento.

Invece e per contro, dopo la legge di riforma, l'ammissibilità del rito abbreviato non si pone più in chiave di incompatibilità con lo svolgimento di attività di acquisizione probatoria.

Se ne trae che l'ordinanza di non decidibilità secondo il rito abbreviato è ormai del tutto residuale, riservata all'ipotesi che la richiesta del rito deflattivo sia condizionata dalla prospettazione di indagini suppletive, ritenute dal Giudice non necessarie e collidenti con le esigenze di economia processuale inerenti al rito speciale.

Poiché nel post Carotti il rito abbreviato non è più a prova bloccata (cristallizzazione degli elementi raccolti dal P.M. nelle indagini preliminari) il rito deflattivo a richiesta semplice non è più subordinato alla possibilità di definizione a stato d'atti e si pone come un giudizio al quale l'imputato ha diritto.

Quand'anche l'imputato, oppostosi in civile alla declaratoria fallimentare, formuli istanza di abbreviato complessa, intesa a fare accertare i motivi dell'opposizione in civile e lo stato della causa, il Gup recepirà tale richiesta e il problema rimane; problema ricorrente - si badi - dal momento che - come bene è stato detto 1 - l'udienza preliminare si avvia ormai ad essere la stanza di propaganda del rito abbreviato.

Ne discende che, qualora si tratti di reati sottoposti a condizione obiettiva di punibilità in pendenza di condizione il Gup non può emanare ordinanza di non fattibilità dell'abbreviato; poiché gli artt. 441 e 442 non richiamano l'art. 479, dettato soltanto per il dibattimento, il giudice non può neppure sospendere il processo e, previa ammissione del giudizio abbreviato, deve decidere.

@2. Le soluzioni proposte; la cognizione occasionale del giudice penale a proposito della c.d. pregiudiziale fallimentare; o l'antecedenza necessaria dell'elemento sostanziale.

Le possibili soluzioni sono due:

a) ritenere configurabile la cognitio incidenter tantum del giudice dell'abbreviato; 2 questo permetterebbe al giudicante di considerare la sentenza dichiarativa del fallimento impugnata come mero elemento di prova; di valutare i motivi dell'opposizione civile; di assolvere l'imputato quando quei motivi siano di forte spessore e appaiano dirimenti dalle carte processuali; di condannare il giudicabile, con il beneficio premiale, nel caso dell'inconsistenza delle ragioni poste a fondamento dell'esperita opposizione (si paret condemnato, si non paret absolvito).

b) Riconoscere la priorità all'antecedenza necessaria dell'elemento sostanziale 3; la declaratoria fallimentare consolidata, non più sottoposta a revoca, integra la fattispecie bancarottiera; poiché il reato in pendenza di condizione sostanziale non si è integrato, o in un suo elemento di perfezione (c.o.p. intrinseca o impropria), o di efficacia (c.o.p. estrinseca o propria), il Giudice dell'abbreviato deve necessariamente assolvere l'imputato, rilevata l'incertezza sulla causa di non punibilità (ex art. 530 primo e secondo comma ovvero terzo comma c.p.p., richiamato dall'art. 442 c.p.p.).

Al fine di optare per l'una o per l'altra soluzione, è opportuno illustrare brevemente i termini del problema.

In sintesi, o il fallimento non è stato opposto e in tal caso la c.o.p. si è compiuta; o il fallimento è stato opposto e allora l'integrazione della c.o.p. non può poggiare sulle deboli fondamenta di una pronuncia che, per il meccanismo stesso dell'opposizione, non vincolerebbe neppure il giudice civile che l'ha emessa 4.

A questa conclusione è giunta la S.C., a partire dalla storica sent. a sez. un. 29 gennaio 1958, stabilendo il principio che sino a quando la declaratoria fallimentare è soggetta a revoca (art. 21 L. fall.), essa non può costituire un elemento certo, su cui fondare una pronuncia di condanna per bancarotta; non quindi la sentenza dichiarativa di fallimento, seppure provvisoriamente esecutiva in civile (art. 216 L. fall.), ma la declaratoria non più soggetta a revoca può costituire il presupposto della punibilità del reato 5. Si tratta di un punto fermo, sia in giurisprudenza, sia in dottrina, sulla tormentata materia della pregiudiziale fallimentare.

Altra considerazione comunemente condivisa è che nel c.p.p. del 1989 la qualità del...

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