Garanzie costituzionali e ordinamento penitenziario: legittimo il trattamento previsto per la criminalità mafiosa?

AutorePompeo Pizzini
Pagine771-774

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@1. Il principio costituzionale di uguaglianza come imprescindibile criterio-guida della potestà punitiva statale.

Il principio costituzionale di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost., come è noto, se da un lato preclude al Legislatore ordinario arbitrarie discriminazioni di situazioni uguali, dall'altro gli impone di non dettare arbitrarie assimilazioni tra situazioni diverse (concetto di uguaglianza relativa), con la conseguenza che solo finalità di tutela dell'interesse pubblico fondano la c.d. ragionevolezza di eventuali deroghe a siffatti limiti 1.

Tale importante funzione garantistica svolta dal principio in oggetto raggiunge la sua massima estensione con riferimento a quel delicato settore dell'ordinamento giuridico che è il diritto penale, istituzionalmente deputato, attraverso l'eventuale accertamento di responsabilità tipiche dei sin goli e la comminazione della relativa sanzione, alla salvaguardia degli interessi fondamentali della collettività. La superiorità del fine perseguito giustifica la peculiare natura dello strumento penale, limitativo, appunto, della libertà personale degli individui.

In particolare, il principio di uguaglianza relativa deve connotare ogni fase della risposta punitiva dello Stato: dall'irrogazione della sanzione all'attuazione della pena e, cioè, all'intero regime penitenziario. Proprio in questo senso, la Corte Costituzionale, nella celebre sentenza n. 306 del 1993, anche richiamandosi ad altre sue precedenti pronunce 2, ha precisato che uguaglianza di fronte alla pena significa esattamente «"proporzione" della pena rispetto alle "personali" responsabilità ed alle esigenze di risposta che ne conseguono».

Con queste parole la Corte ha chiarito che in uno Stato di diritto, come è il nostro, l'esecuzione penale deve essere informata ai c.d. principi della proporzionalità e della individualizzazione della pena, entrambi direttamente discendenti dal principio generale di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. e costituenti ineliminabile premessa dell'accettazione psicologica di un trattamento diretto a favorire nel condannato il recupero della capacità di apprezzare i valori tutelati dall'ordinamento giuridico 3.

Ciò perché, giova ricordare, in virtù del collegamento sistematico tra l'art. 25, secondo comma, Cost. (principio di legalità) e l'art. 27, terzo comma, Cost. (finalità rieducativa della pena), il nostro è un diritto penale del fatto, che subordina l'affermazione della responsabilità penale all'accertamento di un fatto criminoso materialmente posto in essere e proprio al disvalore espresso dal singolo fatto di reato impone di commisurare la pena. Solo rispettando scrupolosamente tale corrispondenza, da un lato, si eviterà che la minaccia di una pena sproporzionata provochi sentimenti di insofferenza nel potenziale trasgressore ed alteri nei consociati la percezione di quella corretta scala di valori che dovrebbe riflettersi nel rapporto tra i singoli reati e le relative sanzioni 4; dall'altro, il destinatario potrà rendersi conto del crimine commesso ed avvertire come giusta e proporzionata alla propria responsabilità la sanzione che gli è stata inflitta 5.

@@1.1. Segue: ... e l'art. 4 bis, primo comma, primo periodo della legge 26 luglio 1975, n. 354 recante norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà.

L'art. 4 bis, primo comma, primo periodo, della legge di ordinamento penitenziario notoriamente disciplina, in senso restrittivo, rispetto alla generalità dei detenuti, la concessione dei benefici penitenziari ai condannati per determinati gravi reati - in particolare delitti di criminalità organizzata o ad essi rapportabili - tra i quali sono compresi i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare le associazioni mafiose nonché i delitti di associazione a delinquere di tipo mafioso.

Ebbene, tale disposizione si appalesa in aperto contrasto con i suindicati principi costituzionali poiché, non differenziando (per mere ragioni di politica criminale ampiamente criticate, come si dirà più avanti, dallo stesso Giudice delle leggi e dalla dottrina più accorta) il trattamento penitenziario in base alle diverse forme di responsabilità penale in cui si concretizza la criminalità mafiosa, irragionevolmente - per avere determinato l'"obliterazione" della finalità rieducativa della pena (v. infra, sub 2.1) - sottopone i relativi condannati ad un identico regime penitenziario.

Non potendosi in questa sede, ovviamente, trattare le singole condotte criminali del fenomeno mafioso imprudentemente assommate dal Legislatore nella fase esecutiva, si considera di seguito in modo particolare - per identità dei motivi di critica che ci si appresta ad esporre - la forma di contributo delinquenziale che grande rilievo riveste nella prassi giudiziaria: il concorso esterno in associazione a delinquere di tipo mafioso.

Per effetto della norma de qua, appunto, che nessuna esclusione di applicabilità contempla al riguardo, il condannato per concorso esterno in associazione a delinquere di tipo mafioso ex artt. 110 e 416 bis c.p. è sottoposto allo stesso rigoroso trattamento penitenziario previsto per il colpevole di associazione a delinquere di tipo mafioso ex art. 416 bis c.p.

Il risultato, come appare chiaramente, è l'illegittima perequazione, ai fini esecutivi, di due incriminazioni aventi elementi costitutivi - oggettivi e soggettivi - diversi, per le quali il Legislatore ordinario, correttamente, avrebbe dovuto stabilire un differenziato regime di esecuzione della pena 6.

Tali diversità strutturali, come è noto, sono state evidenziate anche dalla Suprema Corte di Cassazione, secondo la quale: «nel delitto di cui all'art. 416 bis c.p. l'elemento materiale del reato è costituito dalla condotta di partecipazionePage 772 ad associazione di tipo mafioso, intendendosi per partecipazione la stabile permanenza del vincolo associativo tra gli autori - almeno in numero di tre - del reato allo scopo di realizzare una serie indeterminata di attività tipiche dell'associazione e per "tipo mafioso" la sussistenza degli elementi indicati nel comma 3 del citato articolo, qualificanti tal genere di organizzazione criminosa, mentre quello soggettivo è rappresentato dal dolo specifico caratterizzato dalla cosciente volontà di partecipare a detta associazione con il fine di realizzarne il particolare programma e con la permanente consapevolezza di ciascun associato di far parte del sodalizio criminoso e di essere disponibile ad operare per l'attuazione del comune programma delinquenziale con qualsivoglia condotta idonea alla conservazione ovvero al rafforzamento della struttura associativa» 7.

Per la configurazione del concorso esterno nell'associazione a delinquere di tipo mafioso, invece, il Giudice di legittimità ha, pure di recente, chiarito che è sufficiente che una persona, anche «priva dell'affectio societatis e non inserita nella struttura organizzativa del sodalizio, fornisca un contributo concreto, specifico, consapevole e volontario, a...

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