Brevi considerazioni in tema di forma del vaglio di ammissibilitá della richiesta di revisione

AutoreVincenzo Dina
Pagine749-753

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  1. - Com'è noto, il codice di procedura penale del 1988 ha profondamente riformato l'istituto della revisione. In particolare, nel precedente sistema la richiesta di instaurazione del procedimento straordinario veniva presentata alla Corte di cassazione, la quale, se la riteneva ammissibile e non manifestamente infondata, annullava la sentenza di condanna, rinviando alla corte di appello il compito di esaminare nel merito la richiesta di parte. Era pertanto nettamente distinguibile un giudizio rescindente, nel quale veniva rimossa la precedente sentenza definitiva di condanna, da un giudizio rescissorio, nel quale si effettuava la rinnovazione del giudizio.

    L'attuale sistema normativo ha eliminato tale ripartizione e ha cumulato le due fasi direttamente nel giudizio di merito devoluto alla corte d'appello individuata secondo i criteri di cui all'art. 11 c.p.p., prevedendo, però, un preliminare procedimento nel quale accertare la mera ammissibilità della richiesta di revisione 1. In pratica, si è passati da un sistema bifasico ad un procedimento unitario, scandito da due distinti momenti: il primo in cui si vaglia l'ammissibilità del procedimento e il secondo avente a oggetto la successiva fase di merito 2. Non è più prevista, pertanto, una separata fase del giudizio nella quale si perviene alla rescissione del giudicato, bensì sussiste esclusivamente un procedimento delibativo nel quale viene consentito o negato l'accesso al giudizio. In tale fase, trova quindi la sua naturale collocazione la valutazione circa l'ammissibilità della richiesta e l'eventuale ordinanza che ne dichiari l'inammissibilità è soggetta a ricorso per cassazione.

    L'art. 634 c.p.p. disciplina analiticamente le cause di inammissibilità della richiesta di revisione. È agevole rendersi conto che tale disposizione presenta rilevanti peculiarità rispetto all'art. 591 c.p.p., norma di portata generale inserita nelle disposizioni comuni sulle impugnazioni. In particolare, quest'ultima norma applica la sanzione dell'inammissibilità ai vizi inerenti la legittimazione attiva o l'interesse ad impugnare, l'inoppugnabilità del provvedimento, l'inosservanza delle forme previste da disposizioni precedenti e la rinuncia all'impugnazione. È intuitivo che si tratta di patologie rilevabili ictu oculi e, pertanto, è più che naturale che per tale fase del procedimento non sia prevista esplicitamente alcuna forma di contraddittorio, essendo stata preferita a questo, in un'ottica di semplificazione del rito, una semplice procedura de plano. Il contraddittorio, infatti, nulla aggiungerebbe o toglierebbe ad un controllo riguardante dati obiettivi e di facile riscontro. Onde rimediare eventuali errori, la norma concede poi lo strumento del ricorso per cassazione avverso l'ordinanza che dichiara l'inammissibilità dell'impugnazione e stabilisce che l'invalidità de qua possa essere rilevata in ogni stato e grado del procedimento.

    Al contrario, l'art. 634 c.p.p. detta una disciplina maggiormente articolata, in cui, oltre ai vizi appartenenti al genere precedentemente indicato, annovera, ad esempio tra le cause di inammissibilità la manifesta infondatezza dell'impugnazione e l'idoneità degli elementi addotti al fine dell'ottenimento di una sentenza di proscioglimento 3. Tali elementi, diversamente da quelli precedentemente descritti, comportano un'attività di valutazione da parte dell'organo giudicante 4. Infatti, con grande approssimazione e seguendo fedelmente il disposto dell'art. 631 c.p.p., si può affermare che il giudice deve compiere un giudizio prognostico 5, in cui, una volta constatato che la richiesta del condannato rientra tra i «casi» dell'art. 630 c.p.p., deve dare per avverato, se realizzabile, il risultato prospettato dall'impugnante e valutare se in tale ipotesi è doverosa una sentenza di proscioglimento. Ed è proprio in questo caso che pare inopportuno privare l'organo giudicante del supporto dialettico delle parti, le quali sono certamente in grado di fornire elementi utili ai fini del procedimento 6. Anche l'art. 634 c.p.p., infatti, al pari dell'art. 591 c.p.p., omette di menzionare esplicitamente il rito in camera di consiglio di cui all'art. 127 c.p.p.

  2. - Opportunamente sono stati introdotti dei correttivi, sia a opera del legislatore che della giurisprudenza. Sotto il primo aspetto, avverso l'ordinanza che dichiara l'inammissibilità del procedimento straordinario è esperibile il ricorso per cassazione. In tal modo si realizza un contraddittorio differito sull'impugnazione che, secondo parte della dottrina, recupera la garanzia difensiva di cui le parti sono state private nel procedimento de plano 7. Pertanto, il contributo delle parti alla correttezza della decisione viene fornito attraverso il controllo sulla preliminare decisione negativa 8.

    In particolare, anche prima della riforma operata dalla legge 20 febbraio 2006, n. 46, si riteneva che il controllo operato dalla Corte di cassazione sulla declaratoria di ammissibilità non si limitasse alla mera coerenza logica ed al rigore formale della motiva-Page 750zione, nei limiti di quei vizi che erano rinvenibili nel testo della stessa, secondo la prescrizione del vecchio art. 606 lett. e) c.p.p.; al contrario, la dottrina riteneva ammissibile un esame completo fondato anche sugli atti del procedimento, in quanto la manifesta infondatezza attiene ai requisiti di ammissibilità della domanda e quindi riconducibile sotto l'alveo dell'art. 606 lett. c) c.p.p. Dovendo indagare sulla correttezza della decisione operata nel preliminare procedimento delibativo, la Suprema Corte ben poteva operare un controllo sul merito, in quanto finalizzata a valutare l'osservanza di una norma stabilita a pena di inammissibilità 9. La stessa giurisprudenza della Suprema Corte ritiene che in presenza di un vizio in procedendo, la Corte di cassazione diventa giudice del fatto, potendo accedere agli atti 10.

    A seguito della novella dell'art. 606 lett. e) c.p.p., è ben possibile senza più alcun ostacolo investire la Suprema Corte del mero controllo della parte motiva dell'ordinanza di inammissibilità, poiché è caduta la originaria limitazione che richiedeva la rilevabilità del vizio mediante il solo esame del provvedimento impugnato. Attraverso l'introduzione del vizio della contraddittorietà della motivazione è stato opportunamente esteso e chiarito l'ambito del controllo della Corte di cassazione, che, come prima enunciato, inevitabilmente deve coinvolgere un esame sul merito in caso di ritenuta manifesta infondatezza della richiesta di revisione. Attenta dottrina, infatti, giustamente attribuisce al vizio della contraddittorietà il significato di contrasto tra il provvedimento del giudice e gli atti del processo. Le sentenze, ma più in generale i provvedimenti del giudice, hanno un contenuto logico e un contenuto informativo: la contraddittorietà riguarda quest'ultimo aspetto, in quanto è il contrasto relativo alle informazioni poste a base del ragionamento, e, cioè, «una contraddittorietà tra le premesse dell'argomentazioni e il contenuto informativo degli atti del processo» 11. Essendo, quindi, un vizio extratestuale, osservabile esclusivamente attraveso l'esame delle «carte» processuali, è naturale che il legislatore abbia consentito al ricorrente di indicare gli atti dai quali emerge la contraddittorietà.

    In pratica, si vuole affermare che, allo stato attuale della legislazione, sia attraverso la lettera c), sia attraverso la lettera e) dell'art. 606 c.p.p., il controllo della Suprema Corte si svolge con una ampiezza uguale rispetto a quella consentita alla corte di appello, con l'unica differenza che, a norma dell'art. 611 c.p.p., è finalmente previsto un contraddittorio, seppure cartolare, fra le parti.

    In secondo luogo, sempre al fine di ovviare alle difficoltà risultanti dalla mancanza di contraddittorio, la giurisprudenza ritiene che la pronuncia di inammissibilità è emendabile anche nel corso del giudizio di revisione dopo l'emissione del decreto di citazione, a norma dell'art. 636 c.p.p., e persino all'esito del giudizio, con la pronuncia conclusiva 12. Secondo tale orientamento nessun ostacolo di natura legislativa si frappone a siffatta conclusione.

    Sebbene trattasi di giurisprudenza ormai consolidata, una parte della dottrina ritiene deboli dal punto di vista teorico le argomentazioni a sostegno, in quanto si sottolinea come l'attuale impostazione legislativa distingua nettamente la fase in cui vagliare l'ammissibilità della richiesta di revisione, da quella successiva di merito. Pertanto, tale suddivisione di momenti sarebbe vanificata da una commistione di giudizi non avallata dal dettato legislativo. In ogni caso si riconosce un'indubbia utilità pratica all'orientamento giurisprudenziale, che, in tal modo, sopperisce alla mancanza iniziale di contraddittorio 13.

    Altra parte della dottrina, al contrario, riconosce anche una base teorica alle conclusioni della giurisprudenza, in quanto l'art. 591 c.p.p., che prevede la rilevabilità di una causa di inammissibilità in ogni stato e grado del procedimento, si pone come norma di portata generale sulle impugnazioni, che, pertanto, può trovare applicazione anche nel procedimento de quo. Inoltre, atteso che l'art. 634 c.p.p. dispone che l'inammissibilità può essere dichiarata «anche d'ufficio», è lecito ritenere che il potere di richiesta di una tale decisione deve essere attribuito, altresì, alle parti. Poiché tale disposizione deve necessariamente avere un senso, l'unico momento in cui le parti possonorealmente contribuire a una simile pronuncia è proprio quello del giudizio di merito 14.

    In terzo luogo, in tema di impugnazione per prospettazione di una «prova nuova», la giurisprudenza ha cercato di «appiattire» le complesse valutazioni in tema di inidoneità e di manifesta infondatezza, rendendole simili alle altre cause di inammissibilità. In questo senso, si è affermato che le valutazioni che deve compiere l'organo giudicante devono...

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