Firmitas e rescissione del giudicato penale

AutoreIgnazio Augusto Santangelo
Pagine19-26
19
dott
Rivista penale 1/2016
DOTTRINA
FIRMITAS E RESCISSIONE
DEL GIUDICATO PENALE
di Ignazio Augusto Santangelo
1. In ogni provvedimento giurisdizionale – e, maxi-
me, nella sentenza – si dispiega una forza vincolante ed
ispessita dalla valenza normativa della decisione la quale,
mediante il def‌initivo percorso processuale, dà materia
all’istituto del giudicato. Posto sia a regolamento inelu-
dibile nei rapporti inter partes, sia a canone obbligatorio
nel giudicare in futuro sull’eadem res, è stato interpretato
nell’alveo della cultura liberale come il limite all’interven-
to dello Stato nella sfera individuale e come la funzionale
garanzia contro la prosecuzione giudiziaria per il medesi-
mo fatto (1), assurgendo quindi nella proposizione ideolo-
gica dello Stato totalitario ad una infallibilità della pretesa
punitiva in cui l’irrevocabilità della sentenza si elevava a
valore assoluto e resistente al def‌icit di verif‌ica sull’erro-
re (2). Tale concezione ha resistito sino al mutamento di
prospettiva realizzato dalla Costituzione, attraverso l’op-
zione codicistica apprestata alla sua f‌lessibilità (3), in fa-
vore della centralità della persona e della salvaguardia di
ineludibili diritti soggettivi.
Se la tutela dell’equità processuale diviene il campus
sperimentale ed al contempo critico del suo dogma, pre-
minente è il valore accordato al giudicato penale, quale
categoria giuridica che involge la certezza e la stabilità
delle decisioni giudiziarie (artt. 13, 24 comma 4 e 111
comma 2 Cost.) (4). Su tale aspetto è intervenuta la Con-
sulta affermando che – oltre alla funzione costituzionale
(5) – la res iudicata esprime l’esigenza di certezza di rap-
porti esauriti (6), cosicché nel tessuto garantista ut supra
pref‌igurato la stabilità del decisum giudiziario non è dun-
que un valore assoluto e non si dissolve con il formarsi del
giudicato, ma consente di apprestare rimedi alla def‌initiva
condanna ingiusta (7), una conclusione innervata nell’art.
24 comma 4 Cost.
Le esigenze di certezza sono la base dogmatica del giu-
dicato penale, che ritrae fondamento dalla Costituzione
sia per quanto attenga ai meccanismi di formazione, sia
per alcuni effetti, ma se la sua esistenza è subordinata
all’avvenuto (od al mancato) esperimento di un mezzo di
impugnazione, l’essenza è riconducibile al sistema delle
garanzie, così ribadendo la necessità ed il valore della def‌i-
nitività come il frutto della necessaria esistenza di un con-
trollo sulla fondatezza della decisione di condanna. L’art.
27 comma 2 Cost., in particolare, non soltanto è orien-
tativo nell’individuare il soggetto che debba farsi carico
dell’onere della prova nel processo, ma altresì è indicativo
del limite temporale che assiste la non considerazione di
colpevolezza e la cessazione degli effetti di questa garan-
zia che ricopre l’accusato nell’arco procedimentale, subor-
dinandola alla presenza di una condanna def‌initiva a guisa
che la pena potrà applicarsi solo per essersi state addotte
prove che la travolgono. La def‌initività tuttavia non è un
mero dato formale a cui attenersi per individuare il mo-
mento della eseguibilità della decisione giudiziale, bensì
l’espressione di un valore sostanziale di giustizia secondo
una precisa ideologia che, dall’esistenza di controlli sulla
decisione e dalla possibilità di una concreta esperibilità,
fa discendere la maggior probabilità che la decisione stes-
sa si avvicini al vero (e quindi al giusto), pur restando non
completamente resecabile il rischio che si verif‌ichi l’erro-
re giudiziario.
2. Muove da queste premesse l’analisi strumentata a
coniugare le preminenti f‌inalità di giustizia del processo
penale con le esigenze della certezza, poiché la dicotomia
tra verità reale e processuale non può essere esclusa – ed
a fortiori in ambito giudiziario ove é considerato il tributo
dell’umana limitatezza alla natura inesorabile – e ricono-
sce che l’errore, insito nel sistema giudiziario, impone che
si predispongano rimedi per eliminarlo e riconducano la
decisione ai canoni della giustizia. La f‌irmitas, in quanto
valore immanente del giudicato penale e delle esigenze
di certezza ad esso sottese, diviene quindi la base dialet-
tica per la disamina di istituti (come la revisione) che,
collocandosi in via eccezionale, rispondono alle esigenze
di giustizia a base dell’accertamento giudiziario (8).
Il consolidato equilibrio dinamico tra la f‌irmitas del
giudicato penale e l’emersione del novum diviene poi te-
matica discussione per l’irrompere di rivoluzionarie pro-
spettive de iure condendo miranti a recuperare al sistema
dei rimedi straordinari di revoca del dictum non solo altre
e rilevanti situazioni giuridiche endordinamentali, ma
anche fattispecie giudiziali di matrice extrastatuale di-
rettamente incisive sulla sfera soggettiva dei cittadini. Si
impone quindi nella cultura giuridica di saggiare il tradi-
zionale principio di irrefragabilità del giudicato, al f‌ine di
coglierne le potenzialità inespresse ed i limiti invalicabili,
tentando così di delineare il prisma dei rapporti tra cer-
tezza del diritto ed esigenza euristica di verif‌ica straordi-
naria del dictum penale.
Le decisioni adottate in materia penale, quali ne siano
la natura e la forma (di sentenza, di ordinanza e di decre-
to), diventano irrevocabili con il passaggio in giudicato il
cui effetto è di considerare non riproponibile (per lo stare
decisis) il relativo giudizio, sia qualora sopravvenissero le
prove dell’errore nell’affermazione oppure nella denega-
zione di fatti fondanti la pronunzia, sia nell’interpretazio-
ne e nell’applicazione della legge. Il divieto di ne bis in
idem, sebbene conf‌iguri il limite non esondabile alla reite-
razione dell’azione penale, non preclude tuttavia a modi-
f‌iche in melius del giudicato a fronte della protezione dei
diritti verticisticamente contemplati, sicché ogni relativa
problematica s’innerva nel bilanciamento tra la custodia
di quanto costituzionalmente riconosciuto e l’esigenza di
certezza conclusiva nel giudizio (9).

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