La «morte per fallimento» della società. Note a margine di una pronuncia in tema di responsabilità «da reato» delle persone giuridiche

AutoreFrancesco Paolo Di Fresco
Pagine798-800

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  1. - La sentenza in epigrafe (della quale non constano precedenti) pone sul tappeto il problema - finora affrontato solo marginalmente - dell'applicabilità delle norme del decreto 231/2001 all'ente che nel corso del processo sia dichiarato fallito, suggerendo soluzioni tranchant che, forse, avrebbero reclamato un più cospicuo corredo argomentativo.

    A destare perplessità è, in particolare, la pretesa equiparazione tra morte della persona fisica e dichiarazione di fallimento della società, in realtà più intuitiva che rigorosamente motivata. Invero, la tesi secondo cui il fallimento darebbe luogo ad «una vicenda nella sostanza estintiva dell'ente» - sicché la società fallita non sarebbe più assoggettabile alla disciplina prevista dal decreto legislativo - si fonda su un'argomentazione a contrario, originata da un'interpretazione delle norme del decreto 231/2001 incapace di coglierne appieno la ratio ispiratrice. Al riguardo, va premesso come il principio generale sancito dall'art. 27, secondo cui «dell'obbligazione per il pagamento della sanzione pecuniaria risponde soltanto l'ente con il suo patrimonio o con il fondo comune», trovi un significativo temperamento nelle successive disposizioni comprese fra gli artt. 28 e 33 D.L.vo 231/2001 che - sia pure con cadenze diverse - configurano la responsabilità da reato anche nell'ipotesi in cui, a seguito di una delle vicende modificative espressamente individuate dalla legge (trasferimento, fusione, scissione e cessione d'azienda), l'ente abbia mutato la propria soggettività giuridica. Il Legislatore, infatti, allo scopo di evitare che le operazioni di riassetto societario si risolvano in modalità di elusione della responsabilità da reato, ha previsto che in caso di trasformazione, fusione (anche per incorporazione) e scissione (limitatamente all'ente scisso) resti ferma la responsabilità per i reati commessi anteriormente alla data in cui è avvenuta la modificazione; mentre nel caso di scissione, conferimento e cessione di azienda ha previsto obblighi in solido al pagamento delle sanzioni a carico dei soggetti estranei all'illecito (gli enti beneficiari della scissione e il cessionario d'azienda).

    Come si vede, l'elenco delle ipotesi modificative redatto dal Legislatore non contempla affatto le procedure concorsuali, sicché, secondo il giudice palermitano, la dichiarazione di fallimento non potrebbe non coincidere con la sostanziale estinzione della persona giuridica. Un'affermazione così recisa sembra, però, risentire di un pregiudizio di fondo: e cioè che la dichiarazione di fallimento comporti necessariamente una discontinuità soggettiva tra l'ente originario e l'ente assoggettato alla procedura concorsuale. In effetti, se l'ente sottoposto a liquidazione fosse diverso da quello originario, l'alternativa si restringerebbe a due ipotesi: fallimento come trasfigurazione dell'ente in una diversa persona giuridica (e cioè quella sottoposta alla procedura concorsuale) o fallimento comePage 799 estinzione dell'ente originario. In tal senso, la tesi sostenuta nella sentenza in epigrafe sarebbe senz'altro plausibile, giacché, escluso il carattere modificativo del fallimento, non resterebbe che prendere atto della sua natura estintiva.

    Sennonché, è proprio la discutibilità della premessa a costringere il...

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