Ecopiazzole: la cassazione ribadisce la necessità del titolo abilitativo

AutoreLuca Ramacci
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Con la sentenza in rassegna la Corte di cassazione conferma, ancora una volta, il suo discusso orientamento in tema di «ecopiazzole» o «isole ecologiche».

Nella fattispecie in esame la vicenda riguarda la predisposizione di un piazzale per la collocazione degli «scarrabili» destinati al deposito ed allo stoccaggio di rifiuti speciali derivanti dalla raccolta differenziata. Di situazioni analoghe la Corte si era già occupata in passato, come si è detto, optando per una rigorosa lettura della normativa applicabile che non è tuttavia condivisa dalla migliore dottrina.

In una pronuncia 1, riferita però ad una legge regionale della Lombardia (L.R. 21/1993), veniva operata una distinzione tra «piattaforme» e «piazzole», ritenendo necessario solo per le prime uno specifico titolo abilitativo.

Successivamente 2, occupandosi del sequestro di un'area di circa 400 mq. contenente rifiuti urbani ingombranti e rifiuti speciali, in parte anche pericolosi, conferiti dalla ditta appaltatrice del servizio di raccolta o direttamente dai cittadini, veniva riconosciuta la responsabilità di un sindaco per il reato allora previsto dall'art. 51, comma 1, lettere a) e b) del D.L.vo 22/ 1997 3 quale conseguenza di un illecito stoccaggio di rifiuti in quanto effettuato in assenza della necessaria autorizzazione.

L'attività era stata posta in essere sulla base di direttive emanate dalla Provincia di Savona, fondate sul combinato disposto degli artt. 6 e 21 del D.L.vo 22/ 1997 e ritenendo spettante ai Comuni il potere di regolamentare la gestione dei rifiuti, intesa come attività di raccolta, trasporto, recupero e smaltimento dei rifiuti stessi, comprensiva del controllo delle relative operazioni. Ne derivava, quale conseguenza, la qualificazione delle ecopiazzole quali centri di raccolta dei rifiuti urbani che i Comuni possono gestire in regime di privativa e disciplinare con regolamento e, quindi, in assenza di autorizzazione.

La tesi veniva però ritenuta giuridicamente infondata, rilevando che la competenza all'esercizio in regime di privativa della gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, allora attribuita ai Comuni dall'art. 21, comma 1, D.L.vo 22/ 1997, non escludeva l'osservanza della disciplina generale in materia di gestione dei rifiuti anche con riferimento al titolo abilitativo richiesto per il lecito esercizio della stessa.

Sulla base di tale premessa la Corte qualificava la ecopiazzola come centro di stoccaggio (ai sensi dell'art. 6, comma 1, lett. l, D.L.vo 22/1997) presso il quale venivano effettuate attività di deposito preliminare in vista di altre operazioni di smaltimento definitive o attività di recupero, consistenti nella messa in riserva di rifiuti per sottoporli a una operazione definitiva di recupero, con la conseguenza che dette attività avrebbero richiesto l'autorizzazione o il ricorso alle procedure semplificate.

Conclusioni analoghe venivano tratte in una ulteriore pronuncia 4 relativa ad un'area comunale di circa 2.000 mq., recintata e pavimentata, presso cui venivano conferite dai cittadini varie tipologie di rifiuti in forma differenziata.

In tale occasione la difesa sosteneva l'equivalenza tra il conferimento dei rifiuti domestici nei «cassonetti» collocati nella pubblica via e quello effettuato nella piazzola ecologica allestita dal Comune, entrambi effettuati dagli stessi cittadini residenti, limitandosi l'Ente locale ad organizzare il deposito temporaneo nella piazzola ecologica in attesa delle successive operazioni di smaltimento o di recupero. La tesi difensiva veniva però confutata sulla base della prevedibile e logica osservazione che il luogo in cui avviene la produzione (e la raccolta) dei rifiuti domestici è la civile abitazione e non la piazzola ecologica dove i rifiuti vengono successivamente conferiti. Ciò portava all'ulteriore, ovvia, conclusione che nella fattispecie non poteva ipotizzarsi un deposito temporaneo per la mancanza dei presupposti di legge, tra i quali è, appunto, previsto che il deposito temporaneo debba essere effettuato nel luogo in cui avviene la produzione dei rifiuti.

In seguito 5, l'indirizzo sopra riportato veniva ulteriormente consolidato con riferimento ad una fattispecie riguardante un'area recintata di circa 160 mq. nella disponibilità di una impresa appaltatrice dall'amministrazione comunale della gestione del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani ed accessori. In tale area i rifiuti venivano conferiti non solo dai cittadini ma anche dalla ditta appaltatrice che, però, li raccoglieva e trasportava anche se non provenienti dalla raccolta differenziata e non destinati al recupero, come nel caso dei rifiuti speciali prodotti da demolizioni edilizie. Il tutto sempre sulla base delle linee guida impartite dalla Provincia di Savona che erano state già oggetto di critica nella precedente decisione n. 26379/05.

Ancora una volta veniva...

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