Due particolari categorie di reati: il reato abituale ed il reato permanente

AutoreMaria Grazia Maglio/Fernando Giannelli
Pagine513-520

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@I. Parte prima: il reato abituale.

@@1. Il reato abituale: generalità.

Il reato abituale è a condotta necessariamente plurisussistente (PANNAIN), e può anche essere denominato a sustanziazione plurima (ANTOLISEI, in considerazione della necessità di cesure temporali tra gli atti.

Né il codice penale (art. 158 c.p.) né quello di procedura penale (artt. 4, 8 e 12 c.p.p.) fanno espresso riferimento alla categoria del reato abituale. Non di meno, trattasi di capitolo alquanto importante della dommatica penale (LEONE).

D'altra parte, che una categoria del genere meriti l'attenzione dello studioso è evidente, poiché il fatto che il legislatore non la abbia definita - neanche il reato permanente, e neanche la premeditazione, sono stati definiti - non toglie che essa compaia passim nelle leggi penali, e sia, quindi, da esse, contemplata (VASSALLI).

Cominciamo ad osservare che, secondo noi, è solo apparente il vigore attuale dell'art. 688, terzo comma, c.p., ove è prevista un'aggravante - qualora l'ubriachezza sia abituale - dopo che l'art. 54 D.L.vo 30 dicembre 1999, n. 507, ha decriminalizzato la figura di cui al primo comma, cioè la base.

In altro contesto, e ad altri fini, più generali, l'art. 94 c.p. reca la rubrica Ubriachezza abituale; l'art. 94, secondo comma, c.p., in particolare, detta la nozione di ubriachezza abituale, e il terzo comma estende gli effetti della disciplina aggravatrice all'uso abituale di sostanze stupefacenti.

All'art. 3, n. 3, della legge 20 febbraio 1958, n. 75, è previsto il fatto di chi «abitualmente» tollera, in locali di propria appartenenza, l'esercizio della prostituzione.

Va avvertito, comunque, che tutt'altra cosa da quanto finora abbiamo esposto è l'abitualità nel reato (artt. 102 e ss. c.p.), figura di pericolosità sociale, richiamata, quanto all'abitualità nel delitto, dall'art. 29, secondo comma, c.p., per connettervi la conseguenza dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici, e dall'art. 217 c.p. per l'aumento della durata minima della misura di sicurezza dell'assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro.

Non ci piace la definizione alternativa del reato abituale, proposta dal MANTOVANI, di reato a condotta reiterata: la reiterazione riguarda gli atti, non la condotta, che è una, ed una sola.

Pur nel silenzio dell'art. 158, primo comma, c.p. quanto al reato abituale, il COPPI, attesa l'unitarietà della condotta, ritiene dover operare - quel disposto - anche a proposito della categoria che ci interessa. In effetti, attese le peculiarità strutturali del reato abituale, si dovrà vedere se, integrata la condotta a sustanziazione plurima, l'ulteriore atto si ponga come in essa rientrante, e, allora, la prescrizione debba decorrere da quest'ultimo momento; se la cesura temporale sia eccessiva, non s'avrà che una mera spes criminis, che, in quanto tale, non potrà operare sul termine di prescrizione.

Quando un reato ne consuma in sè altri, in via necessaria, rientra nella nozione di reato complesso (art. 84 c.p.).

Abbiamo dovuto ripetere quest'ovvietà per trattare della disputa che divide dottrina e giurisprudenza sulla natura del delitto di maltrattamenti, a seconda che vi siano o no consunti dei reati.

ALDO PANNAIN ritiene che i fatti rientranti nella «complessiva» condotta del delitto di cui all'art. 572 c.p. debbano integrare fatti di reato; il MAGGIORE, all'opposto estremo, ritiene che nessun fatto rientrante nello schema dei maltrattamenti debba costituire reato.

Il LEONE ritiene che se i fatti compresi nel delitto in esame, per avventura, costituiscano reato, si dà luogo ad un reato complesso.

La tesi del LEONE è sostenuta anche dal GIOFFREDI. Secondo noi, la tesi di ALDO PANNAIN porta inesorabilmente a confondere il reato abituale con il reato complesso, ad onta della necessità degli intervalli temporali tra i singoli atti; la tesi del MAGGIORE priva il delitto di maltrattamenti di offensività, e lo fa cadere di fronte al disposto dell'art. 13 della Costituzione.

Quanto sostenuto dal LEONE e dal GIOFFREDI urta contro la lettera e lo spirito dell'art. 84 c.p., poiché il carattere di reato complesso di una figura criminosa è necessario, non eventuale: non è, quindi, che il delitto di maltrattamenti diviene complesso se assorba in sè dei reati. Tale pretesa eventualità condanna la tesi che qui si esamina.

Allora, nel delitto, abituale, di maltrattamenti, come sostenuto dalla giurisprudenza, e dalla dottrina dominante, possono, o no, rientrare dei fatti integranti autonome figure di reato (MANZINI, PISAPIA, VANNINI, COLACCI, COPPI, PETROCELLI, FROSALI, ANTOLISEI, FIANDACA, MUSCO, MAZZA, PETTENATI).

(Nel senso che le lesioni personali fino alle lievi siano assorbite per consunzione nel delitto di maltrattamenti di cui all'art. 572 c.p.: Relazione ministeriale al progetto definitivo del codice, PISAPIA, ANTOLISEI; contra: La giurisprudenza, PANNAIN A., COPPI).

Reato complesso e reato abituale sono, allora, entità strutturalmente incompatibili, attesa la necessità, quanto al primo, del carattere di reato delle componenti, e la pura eventualità di tanto nel secondo modulo criminoso.

Il delitto di cui all'art. 572 c.p., si dice (ANTOLISEI), è un reato abituale proprio, poiché, prima del punctum temporis in cui il reato viene ad esistenza, possono esservi, al più, altri reati (es.: ingiurie, percosse, minacce), ma non si delinea ancora il minimum richiesto per l'esistenza dell'autonomo reato abituale.

Le percosse vengono assorbite, ove del caso, nel delitto di maltrattamenti, non ex art. 581, secondo comma, c.p. (ipotesi di sussidiarietà), ma per consunzione, in quanto laPage 514 violenza personale non rappresenta né elemento costitutivo del reato di cui ci si occupa, né aggravante, poiché, all'art. 572, secondo comma, c.p., non viene dettata la disciplina riservata a delle estrinsecazioni di violenza (come avviene, ad esempio, ex art. 385, secondo comma, c.p.), sibbene a degli effetti di attività violente.

Il reato abituale di cui si tratta non può, come vuole parte della dottrina (COPPI), esser costruito come un reato commissibile mediante omissione. Vero è solo che, nell'ampio materiale del delitto, potranno rientrare dei comportamenti omissivi in senso naturalistico, ma essi saranno pur sempre sussumibili nel tipo criminoso, positivo a forma vincolata, del «trattare male», del «mal-trattare».

Ma dobbiamo dare atto di essere vox clamantis in deserto al riguardo (ed, infatti, vedasi, contra: COPPI, BLAIOTTI, COLACCI, GIOFFREDI, PISA, PISAPIA, VITTARELLI, e la giurisprudenza).

Non vi possono essere punti di contatto tra reato permanente e reato abituale: il primo implica un fluire «identico» della condotta e dell'evento, accompagnati dall'elemento psicologico, mentre il secondo postula la cesura temporale tra gli atti. Eppure, autorevole dottrina non si perita di qualificare il delitto di cui all'art. 572 c.p. alla stregua di un reato permanente (MANZINI, MANTOVANI, RANIERI, MANFREDINI) (contra, recisamente: COPPI).

Il reato abituale ha un suo, proprio, elemento psicologico, che non può consistere nella «somma degli elementi psicologici» degli atti che lo costituiscono: con specifico riferimento al delitto di maltrattamenti, la giurisprudenza ha parlato di un «programma vessatorio», e di un elemento psicologico che deve ridurre ad unum le componenti spirituali dei singoli reati che entrano (benvero: «possono entrare») a far parte della globale struttura criminosa, pur senza confondersi con il programma criminoso che presidia la struttura del reato continuato, necessariamente pluralistica.

Attesa l'unitarietà della struttura criminosa, anche in caso di atti costituenti, tutti, reati di per sè perseguibili a querela (evenienza ben frequente), la procedibilità è officiale, ex art. 50 c.p.p.

Alla categoria del reato abituale proprio la dottrina (LEONE, ANTOLISEI, DONATO DI MIGLIARDO, BETTIOL, PETTOELLO MANTOVANI, PANNAIN, CONTENTO, CALVI), ascrive anche il caso dell'art. 3, n. 8, della legge 20 febbraio 1958, n. 75, mentre assolutamente contraria è la giurisprudenza.

Riteniamo di dover dare ragione a quest'ultimo orientamento: proprio nel contesto dell'art. 3 legge cit., al n. 3, il legislatore ha preteso che la condotta si svolgesse «abitualmente», mentre ciò non ha fatto quanto alla figura di cui ora si discute; né, d'altro canto, nel concetto di favoreggiamento o sfruttamento della prostituzione, è insito il carattere dell'abitualità, che si ricava, immediatamente, ad esempio, dalla struttura del delitto di cui all'art. 572, primo comma, c.p., nonché (COPPI) dal sistema del codice che, all'art. 727 c.p., non parla di «maltrattamenti», bensì di «maltrattamento» di animali.

Il reato abituale può essere anche connotato da una natura omissiva: si possono citare ad esempio i reati di cui agli artt. 570, secondo comma, n. 2, c.p. (ANTOLISEI, VANNINI), 1159 c.n. (MANTOVANI).

Può avere anche natura colposa (es.: art. 1159, secondo comma, c.n.) (MANTOVANI).

@@2. Il reato abituale improprio.

Il reato abituale improprio si ha (ANTOLISEI) quando, già perfetta una figura di reato, la reiterazione della condotta (e, quindi, solo per il reato abituale di cui ora si tratta potrebbe essere usata la definizione di reato a condotta reiterata, proposta dal MANTOVANI) dà luogo ad un'aggravante, o ad una figura di reato più grave.

Quando la figura di base sia rappresentata da un delitto (es.: artt. 307, primo comma, 418, primo comma, c.p.), la reiterazione lato sensu aggravante dà luogo, secondo noi, sempre ad un'autonoma figura di reato, ché, altrimenti, ricadrebbe sotto il regime di cui all'art. 59 c.p., con possibilità, pertanto, di reiterazione colposa (contra: MANZINI, DE LIGUORI).

Anche se si tratta, ormai, di Storia del Diritto penale, è a dirsi che una figura di reato abituale improprio dante luogo ad evenienza diversa da una circostanza aggravante s'aveva nella relazione adulterina (DOLCE, PISAPIA). Il MANZINI riteneva, invece, che si trattasse, colà...

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