Delitto di doping: irrisolto il contrasto interpretativo tra le sezioni semplici della cassazione

AutoreLuigi Fadalti/Marco Rebecca
Pagine917-919

Page 917

@1. Generalità.

A seguito1 dell'introduzione - con legge n. 376/2000 - del delitto di doping si è posto il problema di individuare le sostanze che ne integrano la nozione. A due anni di distanza - con decreti 15 ottobre 2002 e 30 dicembre 2003 - il Ministero della salute ha provveduto a stilare (rectius: letteralmente, «ripartire in classi») la relativa lista, completando l'iter di «positivizzazione» di una nozione - sotto il profilo della semantica giuridica - decisamente carente.

Il ritardo nell'emanazione dei decreti ministeriali ha posto il problema della qualificazione di condotte di assunzione, cessione e commercio di sostanze, poste in essere dopo l'entrata in vigore della legge 376 ma prima dell'emanazione dei complementari decreti ministeriali.

Essenzialmente due sono le alternative ricostruttive sul piano dogmatico, che si traducono, rispettivamente, nell'affermazione o nella negazione di autosufficienza delle norme incriminatrici di cui all'art. 9 commi 1 e 7 della citata legge. La teorica sostenibilità di entrambe le tesi ha trovato riscontro in due distinti orientamenti - inter se confliggenti - della giurisprudenza di legittimità.

@2. Gli orientamenti della Cassazione: la sentenza n. 46764/2004 e l'ordinanza n. 49949/ 2004.

Nella sentenza 4 novembre 2004 n. 46764 la sezione III della Corte di Cassazione ha affermato l'immediata operatività (id est: l'autosufficienza) delle fattispecie delineate dal legislatore del 2000 2. Si tratta di pronunzia che cassa la decisione di segno contrario del Tribunale di Bari, muovendo - in estrema sintesi - da un argomento letterale. In specie, atteso che ex art. 2 primo comma L. 376 all'Autorità amministrativa compete solo la «ripartizione in classi» delle sostanze dopanti, secondo la III sezione tale classificazione andrebbe effettuata «anche nel rispetto delle disposizioni della Convenzione di Strasburgo, ratificata ai sensi della L. 29 novembre 1995 n. 522». Premesso, pertanto, che l'Italia è vincolata al rispetto della Convenzione contro il doping firmata a Strasburgo il 16 novembre 1989 e che l'elenco degli agenti dopanti allegato al Trattato è stato recepito dall'art. 2 della legge di ratifica, nella lettera dell'art. 2 L. 376/2000 si dovrebbe ravvisare - alla stregua di questo primo orientamento ermeneutico - un rinvio recettizio a tale elenco. In quest'ottica, la L. 376, oltre a contenere le norme incriminatrici che puniscono il commercio ed - entro certi limiti 3 - l'assunzione, la somministrazione e la cessione di doping, di quest'ultimo definirebbe - sebbene per relationem - pure il concetto. Si tratterebbe - come peraltro sostenuto da parte della dottrina 4 - di norme incriminatrici perfette, in quanto tali immediatamente efficaci: se così fosse, i decreti ministeriali - lungi dal contenere elementi costitutivi della fattispecie astratta (e, precisamente, integrazioni esogene al precetto penale) - avrebbero carattere solo ricognitivo-classificatorio.

A questo primo, netto costrutto logico-interpretativo della III sezione ha risposto una pronunzia della II 5, di segno contrario, che si conclude con una rimessione dei ricorsi alle Sezioni unite. Nel più recente intervento, i supremi giudici - senza peraltro dichiararlo espressamente - concepiscono la nozione di doping come elemento normativo delle fattispecie astratte legisltivamente previste. In specie, i precetti delle norme incriminatrici dell'art. 9 della L. 376/2000 attenderebbero di essere eterointegrati dai decreti ministeriali che elencavano le sostanze vietate: la loro concreta operatività sarebbe condizionata all'emanazione dei provvedimenti amministrativi.

L'iter argomentativo si snoda attraverso un rigoroso esame della legge 376: in particolare, delle «specifiche finalità» 6, della «struttura normativa», del «modello» cui si informa, oltre che dello stesso «oggetto giuridico delle fattispecie penali» ivi previste.

In primo luogo si osserva che diversi sono i beni giuridici tutelati - rispettivamente - dalla Convenzione di Strasburgo e dalla legge 376/2000. La prima, infatti, tutelerebbe solo «il fair play delle manifestazioni sportive» e, in specie, il corretto svolgimento delle competizioni agonistiche, depurato da prestazioni atletiche surrettiziamente alterate 7. Consequenziale e decisivo è poi l'argomento - fatto proprio dalla II sezione - secondo cui, nella prospettiva dei firmatari del trattato, le eventuali successive leggi di ratifica (per l'Italia la L. n. 522/1995) avrebbero certamente potuto sanzionare nel contesto degli ordinamenti nazionali le condotte avute di mira dalla convenzione, ma solo a titolo di illecito sportivo.

In questa prospettiva, il puntuale elenco di agenti biologicamente e farmacologicamente attivi ivi previsto - potenzialmente idoneo ad assolvere una funzione di tipizzazione degli illeciti sportivi collegati al doping - è ontologicamente insuscettibile di fungere da termine ad quem del rinvio recettizio pretesamente operato dall'art. 2 L. 376/2000.

Un secondo appunto mosso dalla II sezione all'orientamento ermeneutico...

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