Il dolo alternativo nelle fattispecie a condotta plurima

AutoreAlessandra Mereu
Pagine723-726

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@1. L'unitarietà della fattispecie di reato tra dolus generalis e dolo alternativo.

Il caso, sottoposto all'attenzione della Suprema Corte, riguarda una vicenda il cui iter criminis si fraziona nel tempo in tre distinte fasi: una prima fase in cui si compie un sequestro di persona; una seconda fase caratterizzata da atti di violenza posti in essere tramite un feroce pestaggio con «colpi di spranga al capo e alle gambe» e culminati in un «tentativo di strangolamento e sbattimento della testa sul pavimento»; una terza fase, infine, in cui si procede al trasporto della vittima e alla carbonizzazione del corpo «che non dava più segni di vita», apparendo ormai morto. Dall'esame autoptico eseguito sul cadavere si rileva che la morte è derivata, non dal pestaggio, ma dalla successiva carbonizzazione della vittima e che «allorché il corpo fu dato alle fiamme, il soggetto poteva essere - tutt'al più - in stato di incoscienza».

Nella ricostruzione giuridica dell'intera vicenda criminosa le ipotesi delineabili vanno dalla configurazione di più reati in concorso tra loro alla prospettazione di una fattispecie unitaria di reato ravvisabile nei termini di un omicidio volontario.

La prima ipotesi conduce a ravvisare un tentativo di omicidio con riferimento alla condotta di pestaggio e aggressione, ed un omicidio colposo con riguardo alla successiva azione di carbonizzazione del cadavere. La seconda ipotesi ricostruttiva fa capo alla prospettazione di un reato di omicidio volontario nel cui contesto le diverse condotte criminose, pur cronologicamente frazionate, acquistano rilievo unitario in quanto sorrette dalla medesima intenzione: con differenti impostazioni a seconda che si conferisca rilievo all'elemento psicologico o come dolus generalis, o come dolo alternativo o ancora come dolo eventuale; quest'ultima è stata privilegiata nell'inquadramento della vicenda in oggetto non solo dai giudici di merito (sia in primo sia in secondo grado), ma anche dai giudici di legittimità. La condanna per omicidio volontario degli autori della violenta aggressione, culminata nella morte della vittima, è stata, infatti, asserita e confermata in tutti i gradi del giudizio.

In realtà quel che rende ragione della scelta dei giudici di legittimità di annullare la sentenza di secondo grado è la «grave frattura logica e (la) contraddittorietà argomentativa» che colpisce l'apparato motivazionale della stessa. Tale contraddittorietà argomentativa si coglie nel ricorso a schemi presuntivi ed ipotetici per asserire l'esistenza del dolo, quando dal materiale probatorio poteva emergere la sussistenza di un effettivo animus necandi in capo agli aggressori.

Da ciò la decisione da parte dei giudici di Cassazione di rimettere al giudice del rinvio l'accertamento dell'esistenza di una reale intenzione omicida che ha sorretto le diverse condotte criminose degli imputati nell'intera fase di realizzazione del progetto criminoso, sin dalle prime e iniziali condotte di pestaggio fino a quella finale di occultamento del cadavere.

Nella sentenza dei giudici di secondo grado, si era, infatti, pervenuti ad una configurazione unitaria della fattispecie di reato, come omicidio volontario, percorrendo la via del dolus generalis nel ricorso ad una presunta intenzione omicidiaria che avrebbe sorretto le diverse azioni compiute nell'iter di realizzazione del piano criminoso. In tale ipotesi ricostruttiva l'errore, in cui sarebbero caduti gli agenti, nel ritenere oramai deceduta la vittima, viene neutralizzato, nella sua efficacia escludente il dolo, sulla base del ricorso a ragionamenti ipotetici o a schemi congetturali affidati all'id quod plerumque accidit. Su tale base argomentativa, i giudici di secondo grado ritengono di poter asserire la sussistenza dell'elemento psicologico presumendo che gli agenti, una volta presa conoscenza dell'errore sulla permanenza in vita della vittima, avrebbero comunque perseverato nell'intenzione di ucciderla.

Per i giudici di legittimità 1, invece, solo l'accertamento dell'effettiva persistenza dell'intenzione di uccidere - dalla fase iniziale a quella terminale dell'intera vicenda criminosa - può condurre ad escludere rilevanza all'errore sul fatto in cui siano eventualmente incorsi gli agenti e spianare la via ad una sua ricostruzione in termini unitari.

L'accertamento del fatto che gli agenti, anche nel momento in cui hanno proceduto alla carbonizzazione del corpo, erano comunque sorretti da una volontà omicida, vale, nel ragionamento dei giudici di legittimità, ad escludere che essi possano avere agito con l'erroneo convincimento di avere già cagionato la morte della vittima con i precedenti atti di violenza e pestaggio; da ciò l'implicazione, sul piano della definizione dell'elemento psicologico, ulteriormente tratta in ordine alla rappresentazione e volizione dell'evento-morte. In quanto, se si accerta che gli agenti hanno proceduto nella fase esecutiva finale nel dubbio dell'avvenuta uccisione della vittima, deve dedursi che essi - al momento della carbonizzazione del corpo della vittima - si sono rappresentati e abbiano voluto indifferentemente e alternativamente che si verificassero l'uno (occultamento del cadavere) o l'altro (uccisione della vittima) degli eventi casualmente ricollegabili alla loro condotta.

Appare chiaro, dunque, come la linea seguita dai giudici di legittimità si inserisca in quella già inaugurata a suo tempo dalla Cassazione con il caso Auriemma 2 sia nella critica rivolta a quell'orientamento, un tempo prevalente in giurisprudenza, tributario alla teoria del c.d. «dolo colpito a mezzo via dall'errore»; sia nel ribadire la piena centralità del volere nell'indicazione data ai giudici del rinvio in ordine all'accertamento effettivo e non meramente presunto dell'elemento intenzionale facente capo agli agenti.

A dimostrazione della piena condivisione della soluzione, data allora dalla Cassazione con il caso Auriemma, vi è l'asserzione svolta dai giudici, nella motivazione della sentenza in commento, in ordine alle consequenziali implicazioni che i giudici di secondo grado avrebbero dovuto trarre dalla decisione di conferire rilievo all'errore sul fatto.

Seguendo una simile impostazione non sarebbe stata configurabile altra soluzione del caso se non quella che conduce a ravvisare un concorso di reati: tentativo di omicidio con riguardo alla condotta di aggressione, omicidio colposo con riguardo a quella di carbonizzazione.

@2. Il caso Auriemma: il valore di un precedente.

Con la sentenza in epigrafe la Suprema Corte di Cassazione riprende, dunque, il principio di diritto formulato nella sentenza Auriemma 3, ma va oltre l'impostazione, accreditata in quell'occasione dai giudici di legittimità. Già allora si ebbe, infatti, modo di rilevare come nell'ipotesi in cui nonPage 724 fosse emersa, a livello probatorio, la sussistenza di un errore (in capo alla madre circa la permanenza in vita del neonato), ma al contrario si fosse accertata nella fase terminale «la persistenza dell'originaria intenzione omicida» l'evento si sarebbe potuto ritenere doloso, abbracciando evidentemente l'animus occidendi la condotta in tutto il suo iter. In questa ipotesi, infatti, sarebbe riscontrabile nell'agente «una direttiva psicologica che riveste il contenuto del dolo eventuale (con la volontà quindi che, ove gli atti già compiuti non fossero stati sufficienti per il conseguimento del risultato preso di mira, esso sia da quelli successivi cagionato)».

La Cassazione con la sentenza in commento riprende testualmente quel passo del motivare, ma va oltre l'affermazione relativa al dolo eventuale per asserire la possibile rilevanza dell'elemento psicologico in termini di dolo alternativo.

Oggi, come allora, si ribadisce, la piena centralità del volere sul presupposto che ogni atto, causalmente idoneo alla produzione di un evento, presuppone l'accertamento di una volontà effettiva, non meramente presunta, in ordine alla produzione dell'evento stesso. Ed in continuità con quella linea argomentativa, si opta per una ricostruzione della intera vicenda in termini unitari, in ragione di un animus necandi che pervade le diverse azioni nel loro svolgimento, consentendo di ricondurre, nella definizione dell'elemento psicologico, la volontarietà dell'evento-morte a forme di dolo eventuale ovvero di dolo alternativo.

In realtà una tale soluzione, sebbene prospettata al giudice di rinvio (nell'annullamento della sentenza d'appello) con il caso Auriemma, non era stata fino in fondo accreditata dalla stessa Cassazione in ragione di una ricostruzione della vicenda criminosa attraverso la dinamica dei fatti che, per come si era sviluppata nella concatenazione spazio-temporale delle azioni 4, deponeva a favore della rilevanza dell'errore in cui era caduta la donna. Ed, infatti, in ciò conducendo non solo i giudici, ma anche gli stessi commentatori della sentenza, a dare prevalente se non esclusivo risalto alla soluzione prospettata in termini di concorso di reati (tentativo di omicidio e omicidio colposo).

Diversamente la ricostruzione dell'iter della vicenda criminosa, oggetto della sentenza in epigrafe, depone a favore dell'irrilevanza dell'errore: l'esistenza di uno spazio temporale consistente tra i diversi atti, durante il quale i soggetti programmano tramite risoluzioni successive il proseguimento dell'azione...

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