Delitti, aspettative e legittimo sospetto

AutoreFrancesco Giuseppe Catullo
Pagine469-474

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  1. - Attualmente, tra gli istituti di diritto processuale penale, quello della rimessione, più degli altri, ha ravvivato e ravviva la costruttiva dialettica scientifica tra opinioni e posizioni differenti 1.

    Le presenti note si propongono come contributo di diritto penale sostanziale allo studio della rimessione del processo per "legittimo sospetto", con l'intenzione di superare i limiti che "rigidamente" isolano lo studio del diritto penale da quello della procedura 2, interpretando ed applicando l'istituto di cui all'art. 45 c.p.p. attraverso le logiche che informano la funzione della pena 3. Dall'attenzione rivolta a quest'ultima, matura un giudizio favorevole intorno alla novella che ha reintrodotto l'istituto della rimessione per legittimo sospetto e che trova fondamento sulle ragioni qui di seguito elencate e approfondite nei paragrafi:

    1) esiste una relazione tra l'interpretazione del fatto e della norma penale e la funzione della pena;

    2) la prevenzione generale positiva soddisfa le aspettative normativizzate dei consociati;

    3) le suddette aspettative sono più forti nello spazio e nel tempo più prossimi a quello in cui si è consumato il reato;

    4) le aspettative normativizzate dei consociati possono condizionare, legittimandola esternamente, la discrezionalità del giudicante;

    5) la relazione tra l'interpretazione del fatto e della norma penale e la funzione della pena è funzionale a tre variabili: spazio, tempo e natura della controversia;

    6) la legittimazione esterna del giudice pregiudica l'imparzialità dello stesso;

    7) la rimessione del processo garantisce l'imparzialità del giudice, allontanandolo dal luogo in cui più forte è l'aspettativa normativizzata dei consociati.

    Al centro dell'argomentazione vi è il giudice, la sua attività interpretativa, la funzione della pena general preventiva e il contesto spazio-temporale in cui la decisione giudiziale viene presa. A seconda delle caratteristiche dell'ultima variabile, la pena acquisterà un valore differente condizionato dalla forza e dai contenuti delle aspettative normativizzate dei destinatari del provvedimento giurisdizionale.

  2. - Perorare le ragioni a favore della rimessione del processo per legittimo sospetto attraverso il punto di vista del diritto penale sostanziale, significa indagare sugli aspetti più remoti che improntano il principio di cui all'art. 25 comma 1 della Costituzione. L'ipotesi di lavoro consiste nel verificare la legittimità delle deroghe al principio costituzionale del giudice naturale, non con esclusivo riferimento all'art. 111 Cost., nella parte cui prevede che ogni processo debba svolgersi "davanti ad un giudice terzo e imparziale" 4, ma anche al comma 3 dell'art. 27 della Carta costituzionale che prescrive: "Le pene (...) devono tendere alla rieducazione del condannato".

    Il principio della precostituzione legale del giudice, coesistendo con altri di natura costituzionale e non potendo essere funzionale senza il rispetto di quelli, deve essere contenuto entro i limiti imposti costituzionalmente 5. Se si prescindesse da questi, si farebbe derivare dal disposto dell'art. 25 comma 1 Cost. "il disconoscimento di diritti, che, in particolari situazioni, si risolvono per l'imputato in una garanzia maggiore di quella fornita dalla certezza del giudice competente" 6. Non sarà da ravvisare, pertanto, violazione del principio del giudice naturale quando le deroghe all'art. 25 della Cost. saranno suggerite dall'esigenza di assicurare al singolo il rispetto di una garanzia costituzionale ancora più sensibile alle sue ragioni 7.

    Al fine di bilanciare il principio di cui all'art. 25 Cost. con quello della rieducazione del reo, diventa necessario un approfondimento storico dell'istituto del giudice naturale che recupera la matrice pratica che ha generato le norme sulla competenza penale a tutela e a garanzia del cittadino. Si è convinti, infatti, che l'"introspezione" nelle norme positive non è fine a se stessa quando favorisce il conseguimento di risultati più vantaggiosi sul campo dei diritti: come la consapevolezza che talune scelte sono suggerite dall'inconscio può aiutare a capire la personalità di ognuno di noi, così la consapevolezza che una ragion pratica informa il principio della naturalità del giudice può aiutare a garantire con più forza i diritti del soggetto sottoposto a processo.

  3. - Quando il diritto positivo, opta per il conseguimento di finalità cognitive, rivendica la propria indipendenza dalla ragion pratica che l'ha originato. Tuttavia, essendo la suesposta indipendenza solo "virtuale", l'attenzione che su di essa si ferma continua ad offrire lumi all'interpretazione delle finalità cognitive 8. Solo la consapevolezza dei meandri più reconditi di un istituto può scongiurare che i suoi effetti degenerativi possano inficiare le garanzie che una superficiale interpretazione delle norme positive non è idonea ad assicurare.

    In concreto, la contezza che l'istituto del "giudice naturale" sia preposto anche all'assolvimento di una funzione della pena general preventiva stimolerebbe il giudice ad interpretare in maniera sempre più estensiva le deroghe normative alla competenza penale al fine di scongiurare che le pressanti aspettative dei consociati più prossimi al locus commissi delicti possano condizionare l'imparzialità del giudicante. Così operando, si bilancerebbe l'esigenza di tenuta e stabilità del sistema, assicurata da una sanzione sensibile alla general prevenzione, con quella della persona sottoposta a procedimento che implica giudici imparziali e pene finalizzate alla rieducazione.

    Da una parte il diritto positivo coniuga l'istituto del giudice naturale attraverso il paradigma del principio di legalità che icasticamente rappresenterebbe il profilo "conscio" dell'art. 25 1 comma Cost., dall'altra la ragion pratica declina il medesimo istituto attraverso la funzione della prevenzione generale positiva della pena che concreterebbe l'aspetto "inconscio" della suesposta norma costituzionale.

    La contestualizzazione dei suddescritti aspetti "psicoanalitici" acquista coerenza nel raffronto tra le ragioni cognitive e pratiche informanti il processo penale. Alla tradizione illuministica-liberale che affida al giudice il compito di ricercare la verità "materiale", oggettiva, immutabile, preesistente al processo, si contrappone un'impostazione classica che affida al contributo dialettico offerto dalle parti 9 lungo lo svolgimento del processo l'obiettivo di conseguire una "verità pratica" 10.

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    Tra le due, il legislatore delegante del 1987, "ragionevolmente" e alla luce del dibattito epistemologico del XX secolo, ha optato per la seconda 11, abbandonando la prospettiva della verità dimostrativa per accreditare sempre più fiducia alla verità conseguita nella lotta e nell'accordo tra le parti 12.

    L'attività ermeneutica del giudice consente, nell'apparente rispetto di norme positive, la penetrazione nella decisione giurisdizionale dei valori condivisi dalla comunità a cui il suesposto provvedimento è indirizzato 13. In tal maniera la razionalità del giudizio consisterà non nel passivo riconoscere una rappresentazione della realtà oggettiva ed assoluta, ma nel perseguimento di ciò che è giusto in concreto in una dimensione comparativa 14. Se la suddetta pratica per taluni tipi di controversia può essere considerata più favorevole alle ragioni dell'imputato 15, per altri, in cui la frattura generata dal delitto è avvertita gravemente dall'opinione pubblica, è foriera di pregiudizi per quest'ultimo; la "legittimazione esterna" di chi giudica può inficiare i diritti e le garanzie del sottoposto a processo e sottrarre alla pena, eventualmente comminata, la possibilità di conseguire finalità rieducative proporzionate alla colpevolezza del condannato.

  4. - Esiste una relazione tra l'interpretazione del fatto e della norma penale e la funzione della pena 16. L'insegnamento che "non solo il processo serve al diritto ma altresì il diritto al processo" 17 e che "la pena si risolve nel giudizio e il giudizio nella pena" 18 consiste nel fatto che il giudice, già nel momento in cui fissa le premesse del suo ragionamento, conferma ai consociati il valore della norma violata, ripristinandone la fiducia turbata dalla condotta delittuosa 19.

    Si accennava, nel paragrafo precedente, all'importanza di indagare sui profili più reconditi del diritto e della sanzione penale al fine di trarre spunto da quelli per rivisitare, con sguardo disincantato, le imperfezioni del sistema punitivo vigente. Più che alla ricerca "psicanalitica", che approfondisce le ragioni dell'ego immaginale, le scienze sociali possono fare riferimento allo studio della storia da cui derivano e ricevono fondamento, per verificarne il segno e la presenza nel sistema vigente. Il pensiero torna al diritto romano e alla sua pena, intesa come "rimozione dal gruppo", ogni qualvolta il crimine ne minacciava le strutture 20. Fino al periodo imperiale, la stretta legalità che informava il diritto penale affidava alle sole leges la facoltà di dichiarare offensivo per il gruppo un determinato fatto (crimina) 21. Per l'amministrazione degli illeciti che non offendevano il gruppo (delicta), lo stato svolgeva un ruolo di controllo sulla vendetta, lasciando al privato la possibilità di vendicarsi (nei limiti del danno sofferto) o di comporre la lite in denaro 22.

    Il nostro sistema penale sembrerebbe alieno da queste differenze, che non troverebbero ragioni d'esistere all'interno di un procedimento governato dall'obbligatorietà dell'azione penale e dalla pena intesa in senso pubblicistico. Tuttavia, osservando la prassi giudiziale, si evidenziano delle differenze nell'accertamento e nella punizione dei singoli reati che in una certa misura rivitalizzano le antiche categorie del diritto romano. Ossia si osserva che all'aumentare della gravità della questione penale e dell'interesse alla sua soluzione, corrisponde un affievolimento dei limiti formali atti a...

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