Decisioni della Corte

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine289-294

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@CORTE COSTITUZIONALE Ord. 30 gennaio 2009, n. 23. Pres. Flick - Rel. Quaranta - A.M c. Comune di Milano

Depenalizzazione - Accertamento delle violazioni amministrative - Contestazione - Verbale - Ricorso al giudice di pace - Rigetto - Conseguente determinazione della sanzione in misura non inferiore al minimo edittale stabilito dalla legge per la violazione accertata - Lamentata violazione del principio di ragionevolezza - Disparità di trattamento rispetto a coloro che propongono ricorso al Prefetto - Esercizio non irragionevole della discrezionalità del legislatore - Questione manifestamente infondata di legittimità costituzionale.

È manifestamente infondata, in riferimento all’art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 204 bis, comma 7, c.s. introdotto dall’art. 4, comma 1 septies, del D.L. 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), conv., con modif., dall’art. 1, comma 1, della L. 1º agosto 2003, n. 214 nella parte in cui prevede che in caso di rigetto del ricorso «il giudice di pace non può applicare una sanzione inferiore al minimo edittale stabilito dalla legge per la violazione accertata» e non invece «una sanzione non inferiore al doppio del minimo edittale per ogni singola violazione», così come previsto per il Prefetto dall’art. 204, comma 1, del medesimo codice della strada. (Nuovo c.s., art. 204 bis) (1).

    (1) Questa Corte con ordinanza 14 luglio 2006, n. 292, in Giur. cost. 2006, 4, aveva già dichiarato manifestamente infondata la q.l.c. dell’art. 204 bis, commi 7 e 8, c.s., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui sanciscono, per i soggetti resisi responsabili di infrazioni al codice della strada, un’identità di sanzioni, pecuniarie ed accessorie, senza distinguere la parte economicamente abbiente da quella non abbiente e imponendo, in particolare, al non abbiente che intende ottenere la rateizzazione della sanzione di proporre ricorso al giudice di pace, assumendone i rischi conseguenti in termini di costi e di aumento della sanzione, per il caso di rigetto dell’opposizione. La Corte aveva precisato che l’individuazione delle condotte punibili, nonché la scelta e la quantificazione delle relative sanzioni rientrano nella discrezionalità del legislatore, censurabile in sede di giudizio di costituzionalità, soltanto ove il suo esercizio ne rappresenti un uso distorto o arbitrario, così da confliggere in modo manifesto con il canone della ragionevolezza. Parimenti non fondata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., la q.l.c. dell’art. 204, comma 1, c.s., nella parte in cui prevede che il Prefetto, se ritiene fondato l’accertamento, ingiunge il pagamento di una somma determinata non inferiore al doppio del minimo edittale. Così le sentenze Corte cost. 22 luglio 1998, n. 306, ivi 1998, 2294; Corte cost. 30 ottobre 1997, n. 324, in questa Rivista 1998, 19; Corte cost. 27 luglio 1994, n. 366, ivi 1994, 937 e Corte cost. 28 dicembre 2005, n. 468, in Giur. cost. 2005, 6, secondo cui la scelta tra il pagare in misura ridotta e l’impugnare, invece, il verbale, è il risultato di una libera determinazione dell’interessato, il quale non subisce condizionamenti poiché, laddove opti per l’esercizio del diritto di azione, non è destinato, necessariamente, a subire un aggravamento della sanzione, avendo il giudice di pace, nella sua discrezionalità, la possibilità di determinarne l’importo anche nel minimo previsto, e cioè in misura corrispondente a quella ridotta.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO. – Ritenuto che il Giudice di pace di Milano ha sollevato – in riferimento all’articolo 3 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 204 bis, comma 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall’art. 4, comma 1 septies, del decreto legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 1º agosto 2003, n. 214;

che il giudice a quo premette, in punto di fatto, di dover esaminare un’opposizione proposta avverso verbale di contestazione di infrazione stradale, elevato in ragione della violazione dell’art. 7, comma 14, del codice della strada, evidenziando, altresì, di dover rigettare la stessa, non avendo la ricorrente «addotto alcun valido motivo a sostegno della sua domanda di annullamento», né «addotto alcuna prova a conferma di quanto da lei affermato»;

che egli deduce, inoltre, di dover «anche determinare l’importo della sanzione pecuniaria», evidenziando che l’autorità giudiziaria – nell’espletare tale incombente – deve avere riguardo ai criteri stabiliti dall’art. 195, comma 2, del codice della strada, costituiti da: «gravità della violazione, opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché personalità del trasgressore e sue condizioni economiche»;

che nel caso di specie, a suo dire, «nessuna delle anzidette circostanze è stata dedotta o provata dalla pubblica amministrazione (o comunque risulta dagli atti processuali)», ciò che esclude che «il giudice possa o debba determinare la sanzione pecuniaria in misura superiore al minimo edittale», essendo, invece, costretto ad «infliggere la sanzione pecuniaria nella misura minima prevista dalla legge», e dunque per un importo inferiore alla spesa «che la pubblica amministrazione (Stato e Comuni) e quindi la collettività sostiene (deve sostenere) per il procedimento giurisdi-Page 290zionale promosso dall’autore o dal responsabile della violazione»;

che, d’altra parte, tale inconveniente neppure potrebbe essere superato in virtù del disposto dell’art. 23, undicesimo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), giacché tale norma, pur consentendo al giudice, in caso di rigetto dell’opposizione, di porre a carico dell’opponente «le spese del procedimento», si riferisce alle sole spese processuali previste dall’art. 91 del codice di procedura civile;

che, di conseguenza, il remittente – pur consapevole che la determinazione delle sanzioni rientra nella discrezionalità del legislatore (ma sempre a condizione che le sue scelte siano ragionevoli) – ritiene che la previsione del comma 14 dell’art. 7 del codice della strada sia «discutibile», avvertendo, però, che considerazioni analoghe «potrebbero essere fatte» per «quasi tutte» le infrazioni stradali;

che egli, pertanto, dubita della ragionevolezza «del sistema sanzionatorio» previsto dal codice della strada, «per la divesità di trattamento tra coloro che propongono ricorso al Prefetto» (art. 204, comma 1) e «coloro che propongono ricorso al giudice di pace» (art. 204 bis, comma 7), giacché, solo nel primo caso è previsto che, nell’ipotesi di rigetto del ricorso, la sanzione pecuniaria irrogata «non può essere “inferiore al doppio del minimo edittale per ogni singola violazione”»;

che tale «diversità di trattamento» – la quale, sempre secondo il remittente, incrementa, «forse in misura abnorme, il contenzioso davanti al giudice di pace» – appare «di dubbia legittimità in relazione al principio di eguaglianza e «ragionevolezza» previsto dall’art. 3 della Costituzione;

che, in forza di tali rilievi, il giudice a quo ha sollevato questione di legittimità dell’art. 204 bis, comma 7, del codice della strada, «nella parte in cui prevede che in caso di rigetto del ricorso “il giudice di pace non può applicare una sanzione inferiore al minimo edittale stabilito dalla legge per la violazione accertata” e non invece “una sanzione non inferiore al doppio del minimo edittale per ogni singola violazione”, così come previsto per il Prefetto dall’art. 204, comma 1», del medesimo codice della strada;

che il remittente, inoltre, sottolinea la rilevanza, nel giudizio principale, della sollevata questione giacché, in caso di declaratoria di illegittimità della norma censurata, egli «dovrebbe determinare l’importo della sanzione pecuniaria a carico del ricorrente in misura non inferiore al doppio del minimo edittale», mentre, nell’ipotesi contraria, «potrebbe e dovrebbe determinare l’importo della sanzione pecuniaria in misura pari al minimo edittale»;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata «inammissibile prima ancora che infondata»;

che, in particolare, secondo la difesa statale, a tale conclusione condurrebbe «lo...

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