Decisioni della corte

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine547-554

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@CORTE COSTITUZIONALE 22 luglio 2005, n. 299 (c.c. 7 luglio 2005). Pres. Capotosti - Est. Neppi Modona - Ric. Trib. Bari ed altro.

Misure cautelari personali - Custodia cautelare in carcere - Durata - Termini di durata massima della custodia cautelare - Regresso del processo ad altra fase o grado - Computo - Esclusione - Illegittimità costituzionale.

È illegittimo costituzionalmente, in riferimento agli artt. 13 e 24 della Costituzione, l'art. 303, comma 2, c.p.p., nella parte in cui non consente di computare ai fini dei termini massimi di fase determinati dall'art. 304, comma 6, dello stesso codice, i periodi di custodia cautelare sofferti in fasi o in gradi diversi dalla fase o dal grado in cui il procedimento è regredito. (C.p.p., art. 303; c.p.p., art. 304) (1).

    (1) I giudici della Corte costituzionale, invero, avevano già affrontato identica questione con sentenza del 30 gennaio 2004, n. 59, in Giur. cost. 2004, f. 1, ed avevano concluso in senso totalmente difforme affermando che «è manifestamente inammissibile la q.l.c. dell'art. 303 comma 2 c.p.p., sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 13 Cost., nella parte in cui impedisce di computare, ai fini dei termini massimi di fase determinati dal successivo art. 304 comma 6, i periodi di detenzione sofferti in una fase o in un grado diversi da quelli in cui il procedimento è regredito, in quanto trattasi di questione identica ad altra già dichiarata manifestamente inammissibile».


RITENUTO IN FATTO. 1. - Con ordinanza in data 11 luglio 2003 il Tribunale di Bari, chiamato a pronunciarsi sulla istanza di un imputato volta ad ottenere la scarcerazione per decorrenza del termine massimo di custodia cautelare ai sensi del combinato disposto degli artt. 303, comma 1, lettera b), numero 2, e 304, comma 6, del codice di procedura penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 13 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 304, comma 6, del codice di procedura penale, nella parte in cui, facendo riferimento all'art. 303, comma 2, c.p.p. ai fini del calcolo della durata massima dei termini di fase di custodia cautelare, non consente di computare i periodi di custodia cautelare sofferti in diversa fase processuale.

Il tribunale premette che il periodo compreso tra il 18 febbraio 2003 (data del primo rinvio a giudizio) e il 3 aprile 2003 (data della pronuncia della nullità della prima richiesta di rinvio a giudizio) non potrebbe essere considerato ai fini dell'asserita decorrenza del termine biennale previsto per la fase delle indagini preliminari alla stregua degli argomenti esposti dalla Corte di cassazione a Sezioni unite nella sentenza 29 febbraio 2000, n. 4; argomenti che il tribunale dichiara di condividere e di avere già recepito in altri processi. L'art. 304, comma 6, c.p.p. stabilisce infatti che la durata della custodia cautelare non può comunque superare il doppio dei termini previsti dall'art. 303, commi 1, 2 e 3, mentre l'art. 303, comma 2, attiene in modo specifico alla decorrenza ex novo dei termini di fase nell'ipotesi di regressione del processo, e anche in questo caso il termine di fase non può superare il doppio della sua durata. Sicché - rileva il rimettente - sostenere la necessità del computo indiscriminato di tutte le fasi intermedie farebbe perdere al limite stabilito dall'art. 304, comma 6, il carattere endofasico che normativamente lo caratterizza e creerebbe un nuovo termine finale plurifasico, estraneo alle previsioni degli artt. 303 e 304, comma 6, c.p.p.

Nell'estendere la durata della misura cautelare anche a seguito di eventi patologici non solo rilevati d'ufficio, ma eccepiti (come nella specie) dall'imputato a tutela dei propri diritti, il quadro normativo così delineato si porrebbe tuttavia in contrasto con gli artt. 13 e 24 Cost., in quanto l'imputato potrebbe essere indotto a rinunciare alle eccezioni difensive allo scopo di evitare la dilatazione della durata della custodia cautelare, con conseguente compressione del diritto di difesa, mentre, avvalendosi della eccezione, sarebbe costretto a subire lo stato di privazione della libertà, comunque incidente su una piena esplicazione del diritto di difesa.

Nel caso di specie, ricorda il rimettente, il provvedimento del 3 aprile 2003 aveva avuto ad oggetto la declaratoria di nullità della prima richiesta di rinvio a giudizio, a causa della violazione di una norma attinente al diritto di difesa che, se puntualmente osservata, avrebbe determinato la liberazione dell'imputato «per decorrenza del termine di fase già " ripartito", ex art. 303, comma 2, per effetto della sentenza (di incompetenza) del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Palermo».

  1. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile per un duplice ordine di ragioni. In primo luogo, infatti, l'ordinanza di rimessione, nella quale viene solamente richiamato il termine biennale previsto per la fase delle indagini preliminari, non consentirebbe di comprendere quale sia il fatto oggetto del giudizio a quo e, conseguentemente, di verificare la rilevanza della questione. Inoltre la que-Page 548stione sarebbe uguale ad altre in relazione alle quali questa Corte ha affermato che l'art. 304, comma 6, c.p.p. costituisce una regola di chiusura del sistema della custodia cautelare e fissa un termine finale, «sicché il superamento di un termine di custodia pari al doppio del termine stabilito per la fase presa in considerazione determina la perdita di efficacia della custodia anche se quei termini hanno iniziato a decorrere nuovamente a seguito della regressione» (ordinanza n. 243 del 2003).

  2. - Con ordinanza in data 11 giugno 2003 il Tribunale di Torino, chiamato a pronunciarsi sull'appello proposto dalla difesa di un imputato avverso il provvedimento con il quale la corte d'appello della medesima città aveva respinto l'istanza di scarcerazione per decorrenza dei termini previsti dagli artt. 303, comma 2, e 304, comma 6, c.p.p., ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 13 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 303, comma 2, c.p.p., «nella parte in cui prevede, nel caso in cui il procedimento regredisca a una fase o a un grado di giudizio diversi, che "dalla data del provvedimento che dispone il regresso [...] decorrono di nuovo i termini previsti dal comma 1, relativamente a ciascuno stato e grado del procedimento", invece che prevedere, così come disposto dall'art. 304, comma 6, c.p.p., che detti termini non cominciano nuovamente a decorrere, in quanto "la durata (complessiva) della custodia cautelare non può comunque superare il doppio dei termini previsti dall'art. 303, comma 1"».

    Il rimettente riferisce che l'imputato, in custodia cautelare dal 4 maggio 2001 per il reato di cui agli artt. 110 c.p. e 73, comma 1, del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (traffico di stupefacenti in concorso), era stato condannato, con sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Torino del 2 maggio 2002, alla pena di sei anni, otto mesi e venti giorni di reclusione e quarantamila euro di multa. Successivamente la Corte d'appello di Torino, con sentenza del 27 novembre 2002, aveva dichiarato la nullità del provvedimento con cui era stato disposto il giudizio di primo grado e rinviato gli atti al giudice delle indagini preliminari. A seguito di ricorso dell'imputato, la Corte di cassazione, con sentenza del 15 maggio 2003, aveva rimesso gli atti al pubblico ministero. Il 28 aprile 2003 l'imputato aveva chiesto la sua scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare, in base al rilievo che - secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 292 del 1998 e nell'ordinanza n. 529 del 2000 - l'art. 304, comma 6, c.p.p. era applicabile anche all'ipotesi di regressione del procedimento, sicché alla data del 3 maggio 2003 era maturato il doppio del termine di fase previsto dall'art. 303, comma 1, lettera a), numero 3, c.p.p. La corte d'appello aveva respinto la richiesta di scarcerazione argomentando che «il richiamo della difesa a quanto previsto dall'art. 304, comma 6, deve ritenersi inconferente, trattandosi di fattispecie relativa al caso in cui sia stata disposta la sospensione dei termini della custodia cautelare».

    Tanto premesso, il giudice a quo ricorda che, a seguito della sentenza interpretativa di rigetto n. 292 del 1998, la Corte di cassazione a sezioni unite (sentenza 29 febbraio 2000 n. 4), pur dichiarando di aderire espressamente a tale pronuncia, aveva risolto il contrasto insorto in ordine al metodo di calcolo dei termini in caso di regressione del procedimento, affermando che ai fini della durata massima di fase dovevano essere computati esclusivamente i periodi di custodia cautelare trascorsi nella medesima fase. Il rimettente precisa altresì che tale soluzione era stata stigmatizzata dalla Corte costituzionale nell'ordinanza n. 529 del 2000 con la quale aveva ribadito che l'interpretazione dell'art. 304, comma 6, c.p.p. secondo cui la custodia cautelare perde efficacia allorquando la sua durata abbia superato un periodo pari al doppio del termine stabilito per la fase presa in considerazione, anche nel caso in cui quel termine sia cominciato a decorrere nuovamente a seguito della regressione del processo, «deve essere ritenuta costituzionalmente obbligata in forza del valore espresso dall'art. 13 della Costituzione». Ricorda infine che la Corte di cassazione, con ordinanza delle Sezioni unite in data 10 luglio 2002, n. 28, sulla base della premessa che l'art. 303, comma 2, c.p.p. impedisce di addizionare, nel calcolo del doppio...

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