Decisioni della Corte

AutoreCasa Editrice La Tribuna
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@CORTE COSTITUZIONALE 24 ottobre 2007, n. 348. Pres. Bile - Rel. Silvestri - R.A c. Comune di Torre Annunziata e Istituto Autonomo Case Popolari della Provincia di Napoli.

Espropriazione per pubblico interesse (o utilità) - Procedimento - Indennità di espropriazioneDeterminazione - Suoli edificabili - Criteri di calcolo - Media fra il valore dei beni e il reddito dominicale rivalutato - Art. 5 bis D.L. n. 333/92 - Illegittimità costituzionale.

È costituzionalmente illegittimo l'art. 5 bis, commi 1 e 2, del D.L. 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992, n. 359, nella parte in cui, ai fini della determinazione dell'indennità di espropriazione dei suoli edificabili, prevede il criterio del calcolo fondato sulla media tra il valore dei beni e il reddito dominicale rivalutato. (D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis).

CONSIDERATO IN DIRITTO. 1. - Con tre distinte ordinanze la Corte di cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 5-bis del decretolegge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, per violazione dell'art. 111, primo e secondo comma, della Costituzione, in relazione all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, cui è stata data esecuzione con la legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), ed all'art. 1 del primo Protocollo della Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, nonché dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione ai citati artt. 6 CEDU e 1 del primo Protocollo.

La norma è oggetto di censura nella parte in cui, ai fini della determinazione dell'indennità di espropriazione dei suoli edificabili, prevede il criterio di calcolo fondato sulla media tra il valore dei beni e il reddito dominicale rivalutato, disponendone altresì l'applicazione ai giudizi in corso alla data dell'entrata in vigore della legge n. 359 del 1992.

  1. - I giudizi, per l'identità dell'oggetto e dei parametri costituzionali evocati, possono essere riuniti e decisi con la medesima sentenza.

  2. - Preliminarmente, occorre valutare la ricostruzione, prospettata dalla parte privata A.C., dei rapporti tra sistema CEDU, obblighi derivanti dalle asserite violazioni strutturali accertate con sentenze definitive della Corte europea e giudici nazionali.

    3.1. - Secondo la suddetta parte privata, il contrasto, ove accertato, tra norme interne e sistema CEDU dovrebbe essere risolto con la disapplicazione delle prime da parte del giudice comune. Viene richiamato, in proposito, il Protocollo n. 11 della Convenzione EDU, reso esecutivo in Italia con la legge 28 agosto 1997, n. 296 (Ratifica ed esecuzione del protocollo n. 11 alla convenzione di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, recante ristrutturazione del meccanismo di controllo stabilito dalla convenzione, fatto a Strasburgo l'11 maggio 1994). L'art. 34 di tale Protocollo prevede la possibilità di ricorsi individuali diretti alla Corte europea da parte dei cittadini degli Stati contraenti, mentre, con l'art. 46, gli stessi Stati si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte nelle controversie delle quali sono parti.

    Sono parimenti invocate la Risoluzione 1226 (2000) dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa, con la quale le Alte Parti contraenti sono invitate ad adottare le misure necessarie per dare esecuzione alle sentenze definitive della Corte di Strasburgo, la Risoluzione Res (2004) 3 del 12 maggio 2004 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, relativa alle sentenze che accertano un problema strutturale sottostante alla violazione, la Raccomandazione Rec (2004) 5, di pari data, del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, relativa alla verifica di conformità dei progetti di legge, delle leggi vigenti e della prassi amministrativa agli standard stabiliti dalla Convenzione, nonché la Raccomandazione Rec (2004) 6, di pari data, con cui il Comitato dei ministri ha ribadito che gli Stati contraenti, a seguito delle sentenze della Corte che individuano carenze di carattere strutturale o generale dell'ordinamento normativo o delle prassi nazionali applicative, sono tenuti a rivedere l'efficacia dei rimedi interni esistenti e, se necessario, ad instaurare validi rimedi, al fine di evitare che la Corte venga adìta per casi ripetitivi.

    3.2. - La prospettata ricostruzione funge da premessa alla richiesta, avanzata dalla predetta parte privata, che la questione sia dichiarata inammissibile, posto che i giudici comuni avrebbero il dovere di disapplicare le norme interne che la Corte europea abbia ritenuto essere causa di violazione strutturale della Convenzione.

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    3.3. - L'eccezione di inammissibilità non può essere accolta.

    Questa Corte ha chiarito come le norme comunitarie «debbano avere piena efficacia obbligatoria e diretta applicazione in tutti gli Stati membri, senza la necessità di leggi di ricezione e adattamento, come atti aventi forza e valore di legge in ogni Paese della Comunità, sì da entrare ovunque contemporaneamente in vigore e conseguire applicazione eguale ed uniforme nei confronti di tutti i destinatari» (sentenze n. 183 del 1973 e n. 170 del 1984). Il fondamento costituzionale di tale efficacia diretta è stato individuato nell'art. 11 Cost., nella parte in cui consente le limitazioni della sovranità nazionale necessarie per promuovere e favorire le organizzazioni internazionali rivolte ad assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni.

    Il riferito indirizzo giurisprudenziale non riguarda le norme CEDU, giacché questa Corte aveva escluso, già prima di sancire la diretta applicabilità delle norme comunitarie nell'ordinamento interno, che potesse venire in considerazione, a proposito delle prime, l'art. 11 Cost. «non essendo individuabile, con riferimento alle specifiche norme pattizie in esame, alcuna limitazione della sovranità nazionale» (sentenza n. 188 del 1980). La distinzione tra le norme CEDU e le norme comunitarie deve essere ribadita nel presente procedimento nei termini stabiliti dalla pregressa giurisprudenza di questa Corte, nel senso che le prime, pur rivestendo grande rilevanza, in quanto tutelano e valorizzano i diritti e le libertà fondamentali delle persone, sono pur sempre norme internazionali pattizie, che vincolano lo Stato, ma non producono effetti diretti nell'ordinamento interno, tali da affermare la competenza dei giudici nazionali a darvi applicazione nelle controversie ad essi sottoposte, non applicando nello stesso tempo le norme interne in eventuale contrasto.

    L'art. 117, primo comma, Cost., nel testo introdotto nel 2001 con la riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, ha confermato il precitato orientamento giurisprudenziale di questa Corte. La disposizione costituzionale ora richiamata distingue infatti, in modo significativo, i vincoli derivanti dall'«ordinamento comunitario» da quelli riconducibili agli «obblighi internazionali».

    Si tratta di una differenza non soltanto terminologica, ma anche sostanziale.

    Con l'adesione ai Trattati comunitari, l'Italia è entrata a far parte di un «ordinamento» più ampio, di natura sopranazionale, cedendo parte della sua sovranità, anche in riferimento al potere legislativo, nelle materie oggetto dei Trattati medesimi, con il solo limite dell'intangibilità dei principi e dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione.

    La Convenzione EDU, invece, non crea un ordinamento giuridico sopranazionale e non produce quindi norme direttamente applicabili negli Stati contraenti. Essa è configurabile come un trattato internazionale multilaterale - pur con le caratteristiche peculiari che saranno esaminate più avanti - da cui derivano «obblighi» per gli Stati contraenti, ma non l'incorporazione dell'ordinamento giuridico italiano in un sistema più vasto, dai cui organi deliberativi possano promanare norme vincolanti, omisso medio, per tutte le autorità interne degli Stati membri.

    Correttamente il giudice a quo ha escluso di poter risolvere il dedotto contrasto della norma censurata con una norma CEDU, come interpretata dalla Corte di Strasburgo, procedendo egli stesso a disapplicare la norma interna asseritamente non compatibile con la seconda. Le Risoluzioni e Raccomandazioni citate dalla parte interveniente si indirizzano agli Stati contraenti e non possono né vincolare questa Corte, né dare fondamento alla tesi della diretta applicabilità delle norme CEDU ai rapporti giuridici interni.

    3.4. - Si condivide anche l'esclusione - argomentata nelle ordinanze di rimessione - delle norme CEDU, in quanto norme pattizie, dall'ambito di operatività dell'art. 10, primo comma, Cost., in conformità alla costante giurisprudenza di questa Corte sul punto. La citata disposizione costituzionale, con l'espressione «norme del diritto internazionale generalmente riconosciuta», si riferisce soltanto alle norme consuetudinarie e dispone l'adattamento automatico, rispetto alle spese, dell'ordinamento giuridico italiano. Le...

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