Corte di Cassazione Penale sez. III, 13 agosto 2018, n. 38594 (ud. 23 gennaio 2018)

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giur giur
Rivista penale 10/2018
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di reato del quale si risponderebbe, di conseguenza, a tito-
lo di responsabilità oggettiva. Nel caso in esame, l’omesso
versamento del debito erariale non è stato accompagnato
dalla coscienza e volontà dell’omissione stessa, non risul-
tando dimostrata la consapevole volontà criminosa nell’au-
tore del fatto. La società «M. Trasporti S.a.s.» fatturava cir-
ca dieci milioni di euro l’anno e per poter operare dovevano
essere sostenute spese ingenti che non potevano essere de-
stinate da un giorno all’altro al pagamento del debito era-
riale senza che ciò comportasse il blocco delle attività. Ne
consegue che l’imputato non era affatto libero di scegliere
tra evadere e non evadere le imposte, né gli si può far ca-
rico di scelte imprenditoriali che, in quanto ritenute negli-
genti dalla Corte di appello, qualif‌icano l’omissione come
colposa e non dolosa. La Corte territoriale, dunque, non ha
accertato se l’imputato avesse davvero inteso ledere il bene
giuridico protetto dalla norma. Quando il contribuente
emette la fattura, è convinto di poterla incassare e di avere
la disponibilità economica necessaria a versare l’imposta
sul valore aggiunto nel termine penalmente sanzionato.
Spesso, come nel caso di specie, la fattura viene pagata
dopo 90/120 giorni e viene perciò scontata presso istituti di
credito sull’intero importo fatturato, al lordo dell’imposta
dovuta. Occorre di conseguenza valutare l’atteggiamento
psicologico dell’agente al momento della presentazione
della dichiarazione annuale e non ricercarlo negli eventi
ad esso antecedenti. Il dolo non può essere riconosciuto
nella mera consapevolezza di “non facere quod debetur”,
perchè l’attribuzione del fatto alla sfera psichica del pre-
sunto responsabile richiede che il fatto sia da questi con-
trollabile al tempo della commissione. Peraltro egli aveva
garantito tutte le esposizioni bancarie con beni personali
che di fatto sono stati ipotecati dagli istituti di credito;
dalla domanda di concordato, inoltre, si evincono sia la
grave carenza di liquidità nella quale versava la società sin
dal 2009, sia i veri tentativi esperiti dall’imputato per farvi
fronte, persino con il proprio patrimonio personale e con
quello delle altre società infragruppo.
2. Il 5 gennaio 2018 il ricorrente ha depositato motivi
aggiunti.
2.1. Con il primo, deducendo di essere stato dichiarato
recidivo reiterato, specif‌ico ed infraquinquennale per la
prima volta in assoluto perchè non era mai stato dichiara-
to recidivo in precedenza, eccepisce ai sensi dell’art. 606,
lett. b) ed e), c.p.p., l’inosservanza e comunque l’erronea
applicazione dell’art. 99, comma quarto, c.p. (che presup-
pone una precedente dichiarazione di recidiva), e man-
canza di motivazione sul punto.
2.2. Con il secondo motivo eccepisce, ai sensi dell’art.
606, lett. b), c.p.p., l’inosservanza e l’erronea applicazione
dell’art. 81, cpv., c.p. Deduce che, benché non fosse oggetto
di motivo di appello, in sede di conclusioni aveva chiesto
l’applicazione della continuazione con altro analogo reato
oggetto di precedente condanna e che la Corte di appello
avrebbe potuto e dovuto accertare d’uff‌icio la sussistenza
dell’unico disegno criminoso. Nel caso di specie la Corte si
è sottratta completamente a tale adempimento omettendo
di motivare sulla richiesta.
2.3. lnf‌ine, deducendo che il procedimento di accer-
tamento dell’illecito tributario di cui all’art. 13, D.L.vo n.
471 del 1997 si è già concluso con l’irrogazione, nei suoi
confronti, della sanzione tributaria, eccepisce l’illegittimi-
tà costituzionale dell’art. 649 c.p.p. nella parte in cui non
prevede l’applicabilità del divieto di un secondo giudizio
nei confronti dell’imputato cui, per il medesimo fatto, sia
già stata inf‌litta una sanzione amministrativa sostanzial-
mente penale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2. Il ricorso è inammissibile perchè generico e manife-
stamente infondato.
3. È necessario prendere le mosse dagli approdi erme-
neutici di sez. un., n. 37424 del 28 marzo 2103, Romano,
Rv. 255757 secondo cui:
3.1. il reato di omesso versamento dell’imposta sul va-
lore aggiunto (art. 10 ter D.L.vo n. 74 del 2000), che si
consuma con il mancato pagamento dell’imposta dovuta
in base alla dichiarazione annuale entro la scadenza del
termine per il pagamento dell’acconto relativo al periodo
di imposta dell’anno successivo, non si pone in rapporto di
specialità ma di progressione illecita con l’art. 13, comma
primo, D.L.vo n. 471 del 1997, che punisce con la sanzione
amministrativa l’omesso versamento periodico dell’impo-
sta entro il mese successivo a quello di maturazione del
debito mensile IVA;
3.2. I’illecito amministrativo di cui all’art. 13, D.L.vo
471/97 è strutturalmente diverso dal reato di cui all’art.
10-ter, D.L.vo 74/2000 poiché gli elementi costitutivi dei
due illeciti divergono in alcune componenti essenziali,
rappresentate in particolare: dalla presentazione della
dichiarazione annuale IVA, richiesta per il solo illecito
penale; dalla soglia minima dell’omissione, richiesta per il
solo illecito penale; dal termine di riferimento per l’assun-
zione di rilevanza dell’omissione, f‌issato, per l’illecito am-
ministrativo, al giorno sedici del mese successivo a quello
di maturazione del debito mensile IVA, e coincidente, per
l’illecito penale, con quello previsto per il versamento
dell’acconto IVA relativo al periodo di imposta successivo;
3.2.1. La conclusione assunta in ordine al rapporto sus-
sistente, in via generale, fra le disposizioni in discorso non
si pone in contrasto con l’art. 4 del Protocollo n. 7 della
CEDU, né con l’art. 50 della Carta dei diritti fondamen-
tali dell’Unione europea, che sanciscono il principio del
ne bis in idem in materia penale. Anzitutto, nella specie,
come si è visto, non si può parlare di identità del fatto;
in ogni caso, poi, il principio suddetto si riferisce solo ai
procedimenti penali e non può, quindi, riguardare l’ipotesi
dell’applicazione congiunta di sanzione penale e sanzione
amministrativa tributaria (in tal senso, espressamente,
Corte di giustizia U.E., 26 febbraio 2013, Aklagaren c.
Hans Akerberg Franssen) (principio ribadito da questa
Corte anche successivamente alla pronuncia della Corte
E.D.U. nel procedimento Grande Stevens c. Italia; cfr., sul
punto, sez. III, n. 20266 del 8 aprile 2014, Zanchi; sez. I, n.
19915 del 17 dicembre 2013, Gabetti, Rv. 260686; sez. III,
n. 25815 del 21 aprile 2016, Scagnetti, Rv. 267301);
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Si è evidenziato, in particolare, che la reiterazione nel
tempo di una pluralità di condotte di cessione della dro-
ga, pur non precludendo automaticamente al giudice di
ravvisare il fatto di lieve entità, entra in considerazione
nella valutazione di tutti i parametri dettati, in proposito,
dall’art. 73, comma quinto, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309; ne
consegue che è legittimo il mancato riconoscimento della
lieve entità qualora la singola cessione di una quantità
modica, o non accertata, di droga costituisca manifesta-
zione effettiva di una più ampia e comprovata capacità
dell’autore di diffondere in modo non episodico, nè oc-
casionale, sostanza stupefacente, non potendo la valuta-
zione della offensività della condotta essere ancorata al
solo dato statico della quantità volta per volta ceduta, ma
dovendo essere frutto di un giudizio più ampio che coin-
volga ogni aspetto del fatto nella sua dimensione oggettiva
(sez. III, n. 6871 del 8 luglio 2016, (dep. 2017), Bandera,
Rv. 269149).
10. Dunque, ai f‌ini del riconoscimento della fattispe-
cie di cui al comma 5 dell’art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990, il
giudice del merito deve fornire una adeguata valutazione
complessiva del fatto (in particolare, mezzi, modalità e
circostanze dell’azione, qualità e quantità della sostanza,
con riferimento alla percentuale di purezza della stessa),
poiché solo in tal modo è possibile - in concreto formulare
un giudizio di lieve entità e consentire alla Corte di cassa-
zione di compiere il sindacato che le è proprio.
Ciò che non è consentito è una motivazione pigramen-
te preclusiva, comodamente assertiva, fondata su basi
parziali d’esame o meramente ripetitiva di massime giu-
risprudenziali erroneamente adattate al caso concreto; il
ragionamento del giudice di merito deve essere calibrato
sui fatti rigorosamente accertati, fedele alla ricostruzio-
ne fattuale nella sua interezza, fondato su una razionale
analisi relativa alla combinazione di tutte le specif‌iche
circostanze.
Ciò giustif‌ica la pena inf‌litta e la rende conforme ai
principi costituzionali di offensività e proporzione.
11. Nella specie, il giudice di merito ha fatto corretta
applicazione dei principi indicati.
La Corte, con motivazione coerente, puntuale, logica,
ha evidenziato come la fattispecie meno grave prevista
dall’art. 73, comma 5, cit. non potesse essere comunque
conf‌igurata, tenuto conto del diverso tipo di sostanza stu-
pefacente detenuta illegalmente, del contesto in cui i fat-
ti in esame devono essere collocati, della sistematicità e
continuità delle condotte illecite, dei prof‌ili di interferen-
za tra la portata di tale attività e la necessaria esistenza
di rapporti con circuiti criminali più ampi ed organizzati.
Si tratta di circostanze obiettive che, come corretta-
mente ritenuto dalla Corte di merito, colorano di signif‌i-
cato penalmente rilevante la condotta attribuendo ad essa
una complessiva elevata diffusività illecita, un’ampiezza
di offensività che impedisce di ricondurre i fatti nell’ambi-
to della fattispecie meno grave di cui al comma 5 dell’art.
73 D.P.R. n. 309 del 1990 e che giustif‌ica e rende proporzio-
nale la pena inf‌litta all’offesa all’interesse tutelato.
Ne discende l’inammissibilità del motivo. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. III, 13 AGOSTO 2018, N. 38594
(UD. 23 GENNAIO 2018)
PRES. ANDREAZZA – EST. ACETO – P.M. PRATOLA (CONF.) – RIC. M.
Tributi e f‌inanze (in materia penale) y Imposta
sui redditi y Omesso versamento di ritenute certi-
f‌icate y Ipotesi di reato y Dolo specif‌ico y Necessi-
y Esclusione y Organizzazione dell’imprenditore
delle risorse per l’adempimento del debito di impo-
sta y Onere dovuto.
. In tema di mancato versamento dell’I.V.A. (art. 10 ter
del D.L.vo n. 74/2000), non è richiesto, per la sussisten-
za del reato, il dolo specif‌ico costituito dalla f‌inalità di
evadere l’imposta, essendo al contrario necessaria e
suff‌iciente la coscienza e volontà dell’omissione, non
giustif‌icabile per la sola, asserita mancanza di liquidi-
tà quando questa non derivi da situazioni impreviste,
imprevedibili e non in altro modo fronteggiabili; condi-
zione, questa, ai f‌ini della cui riconoscibilità nulla può
rilevare il fatto che il contribuente, onde evitare i tem-
pi di attesa del pagamento delle fatture, oscillanti fra
i 90 ed i 120 giorni dalla loro emissione, abbia ritenuto
di scontarle presso un istituto bancario. (Mass. Redaz.)
(d.l.vo 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 ter; c.p., art. 43;
c.p., art. 54) (1)
(1) Nello stesso senso della massima de qua si vedano Cass. pen.,
sez. III, 15 maggio 2014, n. 20266, in questa Rivista 2015, 578, in parte
motiva, e Cass. pen., sez. III, 4 febbraio 2014, n. 5467, ivi 2016, 209.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il sig. T.M. ricorre per l’annullamento della sentenza
del 16 dicembre 2016 della Corte di appello di (omissis)
che, in parziale riforma di quella del 2 aprile 2015 del Tri-
bunale di (omissis), impugnata da lui e dal pubblico mini-
stero, lo ha assolto dal reato di cui all’art. 10-bis, D.L.vo n.
74 del 2000, con la formula «perchè il fatto non sussiste»,
ha rideterminato nella misura di un anno, un mese e die-
ci giorni di reclusione la pena per il residuo reato di cui
all’art. 10-ter, D.L.vo n. 74 del 2000 (omesso versamento
della somma di 2.114.417 euro dovuta a titolo di imposta
sul valore aggiunto per l’anno 2011), ha ordinato la conf‌i-
sca dei beni mobili ed immobili e dei crediti dell’imputato
per un valore corrispondente all’importo evaso, ha disposto
la pubblicazione della sentenza e ha confermato nel resto.
1.1. Con due motivi, tra loro strettamente connessi,
deducendo la materiale impossibilità di far fronte al pa-
gamento dell’imposta a causa delle diff‌icoltà economiche
nelle quali versava la società da lui rappresentata, ecce-
pisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), c.p.p., l’erronea
interpretazione degli artt. 10-ter, D.L.vo n. 74 del 2000 e 42
c.p., e vizio di motivazione mancante in ordine alla sussi-
stenza dell’elemento psicologico del reato.
Deduce, a sostegno delle proprie ragioni, che l’omessa
considerazione del tessuto sociale ed economico nel quale
l’imputato opera in concreto rischia di estromettere il dolo
generico (e la prova della sua sussistenza) dalla fattispecie

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