Corte di Cassazione Penale sez. III, 22 dicembre 2016, n. 54521 (C.C. 14 giugno 2016)

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giur
2/2017 Rivista penale
LEGITTIMITÀ
2.3. In ordine alle specif‌iche censure mosse dalla par-
te ricorrente quanto ai prof‌ili interpretativi della noma va
precisato che non pare possa dubita tarsi del fatto che,
nelle ipotesi di delitto consumato di cui agli artt. 628 - 629
- 630 c.p., la causa di non punibilità non opera sempre e
comunque, sia che il reato sia stato commesso con violen-
za o con minaccia, proprio perchè la testuale locuzione
limitatrice “commesso con violenza alle persone” si rife-
risce chiaramente in modo univoco unicamente ad “ogni
altro delitto contro il patrimonio”: vale a dire ad ogni delit-
to contro il patrimonio ulteriore e diverso rispetto a quelli
espressamente e nominativamente indicati (artt. 628, 629,
630 c.p.), dei quali dunque, pur se commessi in danno di
prossimi congiunti, permane punibilità e perseguibilità
d’uff‌icio ancorché connotati dal ricorso alla minaccia e
non anche dalla violenza alle persone: in senso conforme
Cass. 22628/2001 Riv 219421. Una simile interpretazio-
ne riceve conferma dall’inciso contenuto nella sentenza
della Corte Costituzionale n. 223/2015, con la quale è
stata dichiarata l’inammissibilità della questione di legit-
timità costituzionale dell’art. 649, primo comma, del co-
dice penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo e
secondo comma, e 24, primo comma, della Costituzione,
dal Tribunale ordinario di Parma, in composizione mo-
nocratica, ove è detto testualmente « Al terzo ed ultimo
comma dell’art. 649 c.p., inf‌ine, si prevede che l’intervento
punitivo statale operi secondo le modalità ordinarie, ove
l’offesa al patrimonio individuale del congiunto sia attuata
mediante violenza alla persona o integri, comunque, un
delitto di rapina, estorsione o sequestro di persona a scopo
di estorsione» .
3. Deve ritenersi, poi, manifestamente infondata la sol-
levata questione di legittimità costituzionale della norma
richiamata, per violazione dell’art. 3 Cost., non sussisten-
do la invocata disparità di trattamento: l’omesso riferi-
mento, quanto ai reati di rapina, estorsione e sequestro
di persona, al requisito della “violenza”, appare frutto di
una precisa scelta legislativa ancorata alla necessità di
escludere, sempre e comunque, la condizione di punibilità
di cui all’art. 649 comma primo in presenza di tali reati
caratterizzati, nella previsione codicistica, da un partico-
lare disvalore rispetto alla sfera dell’essere umano, sussi-
stendo, quindi, una diversità di disciplina in presenza di
situazioni diverse.
4. In ordine al prof‌ilo inerente la contestata qualif‌ica-
zione del reato come estorsione anzicchè quale esercizio
arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona
va osservato che la Corte di appello, con motivazione con-
grua e corretta, non censurabile in questa, nel richiamare
anche le argomentazioni delle sentenza di prima grado, ha
spiegato le ragioni per le quali la condotta dell’imputata
andava qualif‌icata come estorsione (v. pag. 4 nonché sen-
tenza di primo grado pagg. 19/21 richiamata sul punto),
conclusione che appare pienamente condivisibile nella
misura in cui, in ragione del contenuto del provvedimen-
to presidenziale che prevedeva in favore della ricorrente
solamente il pagamento della sola somma di euro 800,00,
deve escludersi che la stessa, nel chiedere somme mag-
giori, sebbene previste in passato, e nel porre in essere
le sue minacce, ritenesse di esercitare un diritto, anche
se non sussistente, con la consapevolezza in buona fede
di poterlo legittimamente realizzare (buona fede corret-
tamente esclusa dai giudici di merito, specie in ragione
della circostanza che era stata proprio la Cipriano ad adire
il Tribunale per separarsi dal proprio coniuge ed ottenere
l’assegno di mantenimento), dovendosi, piuttosto, ritene-
re che la stessa mirava a conseguire un prof‌itto obiettiva-
mente e subiettivamente ingiusto.
5. Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve
essere dichiarato inammissibile. Alla declaratoria d’inam-
missibilità consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la
condanna della ricorrente al pagamento delle spese pro-
cessuali nonché al pagamento in favore della Cassa delle
Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i prof‌ili di
colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente
in euro millecinquecento. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. III, 22 DICEMBRE 2016, N. 54521
(C.C. 14 GIUGNO 2016)
PRES. ROSI – EST. GAI – P.M. DI LEO (CONF.) – RIC. PIGINI
Vendita di prodotti industriali con segni men-
daci y Marchi e segni distintivi y Fallace indicazione
del marchio di provenienza o di origine dei prodotti
presentati alla dogana per l’immissione in commer-
cio y Ipotesi di illecito amministrativo y Conf‌igura-
bilità y Esclusione y Fattispecie in tema di impor-
tazione di merci di provenienza extracomunitaria,
nelle specie chitarre e ukulele prive di indicazione
circa il Paese di produzione, ma munite di etichetta
riproducente i colori della bandiera italiana.
. È conf‌igurabile il reato di cui all’art. 4, comma 49,
della legge 24 dicembre 2003 n. 350 e non l’illecito am-
ministrativo di cui al comma 49 bis dello stesso art. 4
nel caso di importazione di merci di provenienza ex-
tracomunitaria costituite da chitarre prive di indica-
zione circa il Paese di fabbricazione ma munite di una
etichetta riproducente i colori della bandiera italiana
nonché da “ukulele” recanti sulle corde armoniche l’in-
dicazione “made in Italy”. (Mass. Redaz.) (l. 24 dicem-
bre 2003, n. 350, art. 4) (1)
(1) Nello stesso senso, si veda quanto espresso da Cass. pen., sez. III,
26 maggio 2014, n. 21256, in questa Rivista 2015, 295. In senso analo-
go e per un’ipotesi di “indicazione fallace” dell’origine del prodotto si
veda Cass. pen., sez. III, 20 gennaio 2006, n. 2648, ivi 2006, 819. Sulla
responsabilità dell’imprenditore che introduca nello Stato prodotti
con segni falsi si veda inoltre Cass. pen., sez. III, 25 maggio 2010, n.
19746, ivi 2011, 569.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con ordinanza dell’11 dicembre 2015, (dep. 29 dicem-
bre 2015), il Tribunale del riesame di Ancona, rigettava la
richiesta di riesame, ex art. 324 c.p.p., avverso il decreto

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