Corte di Cassazione Penale sez. VI, 7 giugno 2016, n. 23547 (ud. 26 aprile 2016)

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giur
9/2016 Rivista penale
LEGITTIMITÀ
so - allorché colpì la Vasquez col coltello - dalla volontà
di ucciderla, e che, quindi, pose in essere idonei diretti
in modo non equivoco a tale scopo. Pertanto, quando la
Corte ha affermato, chiosando, che “la specif‌ica f‌inalità di
uccidere…non è necessaria nel delitto di omicidio tenta-
to” ha inteso escludere che il tentativo di omicidio debba
necessariamente essere sorretto dal dolo intenzionale, per
ribadire - com’è corretto affermare - che è suff‌iciente il
dolo diretto e generico, rappresentato dalla cosciente vo-
lontà di porre in essere una condotta che, in base a regole
di comune esperienza, è idonea a provocare con alto grado
di probabilità - la morte della persona verso cui si dirige.
Trattasi di lettura giuridicamente corretta, giacché l’azio-
ne posta in essere con accettazione del rischio dell’evento
può implicare, per l’autore, un maggiore o minore grado di
adesione della volontà, a seconda che egli consideri mag-
giore o minore la probabilità di verif‌icazione dell’evento.
Se questo venga ritenuto certo o altamente probabile,
l’autore non si limita ad accettare il rischio, ma accetta
l’evento stesso; se l’evento, oltre che accettato, è persegui-
to, il dolo si colloca in un più elevato livello di gravità. In
relazione a tali diversi gradi di intensità, il dolo va qualif‌i-
cato come “eventuale” nel caso di accettazione del rischio,
e come “diretto” negli altri casi, con l’ulteriore precisazio-
ne che, se l’evento è perseguito come scopo f‌inale, si ha il
dolo “intenzionale” (Cass., n. 6880 del 15 aprile 1998. Da
ultimo, Cass., n. 12954 del 29 gennaio 2008).
Quanto alla idoneità degli elementi da cui è stata tratta
la prova della volontà omicida, va qui ribadito il costante
orientamento di legittimità, secondo cui in tema di omici-
dio tentato, la prova del dolo, in assenza di esplicite ammis-
sioni da parte dell’imputato, ha natura indiretta, dovendo
essere desunta da elementi esterni e, in particolare, da
quei dati della condotta che, per la loro non equivoca po-
tenzialità offensiva, siano i più idonei ad esprimere il f‌ine
perseguito dall’agente. Ne consegue che, ai f‌ini dell’accer-
tamento della sussistenza dell’“animus necandi”, assume
valore determinante l’idoneità dell’azione, che va apprez-
zata in concreto, con una prognosi formulata “ex post”, con
riferimento alla situazione che si presentava all’imputato
al momento del compimento degli atti, in base alle con-
dizioni umanamente prevedibili del caso (Cass., n. 35006
del 18 aprile 2013). Pertanto, anche la mancata inf‌lizione
di più pugnalate non esclude la conf‌igurabilità del dolo
omicida, ove sia accertato che, per le modalità operative e
per lo strumento utilizzato, l’azione era idonea a causare
la morte della vittima, evento non verif‌icatosi per cause
indipendenti dalla volontà dell’agente (in questo senso si
è già espressa, in un caso del tutto analogo, la sezione pri-
ma di questa Corte: sent. n. 51056 del 27 novembre 2013).
In conclusione, la motivazione con la quale si è affermata
la sussistenza della volontà omicida è tutt’altro che mani-
festamente illogica - o scorretta - ed a questa Corte non è
consentito un intervento in sovrapposizione ricostruttiva.
3. Il motivo relativo al trattamento sanzionatorio è
anch’esso infondato; fors’anche inammissibile. Oggetto
della doglianza dinanzi al giudice di legittimità era stato,
invero, il fatto che era stato trascurato “l’aspetto sogget-
tivo della capacità a delinquere dell’imputato (art. 133,
comma 2, c.p.), signif‌icativamente mai manifestatasi in
precedenza” (così nel ricorso del 30 ottobre 2013). La do-
glianza atteneva, quindi, ai criteri di determinazione della
pena base e non investiva, in maniera specif‌ica, l’aumento
di pena disposto per continuazione (sei anni); per questo,
non è censurabile la sentenza impugnata, che ha ritenuto
non compresa nel devolutum “le richieste oggi formulate
dalla difesa”.
4. Segue a tanto il rigetto del ricorso atteso che i mo-
tivi proposti, pur se non manifestamente inammissibili,
risultano infondati per le ragioni sin qui esposte; ai sensi
dell’art. 592 c.p.p., comma 1, e art. 616 c.p.p il ricorrente va
condannato al pagamento delle spese del procedimento,
nonché alla rifusione di quelle sostenute nel grado dalla
parte civile, che si liquidano in dispositivo. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. VI, 7 GIUGNO 2016, N. 23547
(UD. 26 APRILE 2016)
PRES. CARCANO – EST. DI SALVO – P.M. LOY (CONF.) – RIC. BONETTI
False dichiarazioni e attestazioni in atti desti-
nati all’autorità giudiziaria y Estremi y Elemento
oggettivo y Atto prodotto dall’imputato con f‌irma
apocrifa del suo datore di lavoro y Conf‌igurabilità
y Sussistenza.
. Ai f‌ini della conf‌igurabilità del reato di cui all’art.
374 bis cod. pen. (false dichiarazioni o attestazioni in
atti destinati all’autorità giudiziaria o alla corte penale
internazionale), è necessaria e suff‌iciente la oggettiva
inveridicità del contenuto dell’atto, nulla rilevando che
lo stesso provenga o meno dal soggetto che ne appa-
re autore. (Nella specie, in applicazione del principio,
la Corte ha ritenuto che bene fosse stata affermata la
sussistenza del reato in un caso in cui l’atto prodotto
dall’imputato recava la f‌irma apocrifa del suo datore di
lavoro). (Mass. Redaz.) (c.p., art. 374 bis) (1)
(1) Nel medesimo senso, con riferimento ad analoga fattispecie, v.
Cass. pen. sez. VI, 26 settembre 1997, n. 3084, in questa Rivista 1997,
1005. In genere sull’elemento oggettivo del reato in esame, v. Cass.
pen., sez. VI, 18 settembre 1998, n. 1789, in Ius&Lex dvd n. 2/2016,
ed. La Tribuna. Cfr. Cass. pen., sez. VI, 12 settembre 2006, n. 30193, in
questa Rivista 2007, 922, secondo cui il reato di false dichiarazioni o
attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria, previsto dall’art.
374 bis c.p., sanziona una pluralità di condotte tutte rientranti nello
schema della falsità ideologica, dovendo escludersi che vi siano ri-
comprese anche ipotesi di falsità materiale. Per un caso di concorso
formale tra il reato di falsità in scrittura privata di cui all’art. 485 c.p.,
e quello di cui all’art. 374 bis c.p., nell’ipotesi in cui la falsa attesta-
zione di qualità e condizioni personali inesistenti, da produrre come
prova in un procedimento dinanzi all’A.G., venga realizzata mediante
l’abusivo riempimento di un foglio già sottoscritto da un terzo, autore
solo apparente dell’attestazione, si veda Cass. pen., sez. VI, 22 agosto
2013, n. 35318, ivi 2014, 634.

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