Corte di Cassazione Penale sez. II, 22 ottobre 2015, n. 42651 (ud. 13 ottobre 2015)

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giur
7-8/2016 Rivista penale
LEGITTIMITÀ
di non essere sicuro di avere comunicato per telefono la
revoca all’imputato e di non essere al corrente del fatto
che qualcun altro abbia fatto questa comunicazione, così
come non vi è traccia nell’incartamento processuale del
fatto che il prelievo sia stato fatto per ricaricare il telefono
cellulare del ricorrente;
3. vizio della motivazione. Sostiene che la motivazione
del giudice d’appello è apparente perchè non ha dato ri-
sposta alle censure difensive.
Il ricorso è fondato.
Il fatto così come contestato ed accertato (utilizzazione
sine titulo o comunque oltre i limiti o dopo la revoca della
delega, dei codici di accesso al conto corrente della Bot-
ta) deve essere meglio qualif‌icato come violazione dell’art.
640 ter c.p. La norma prevede infatti due distinte condotte:
la prima consiste nell’alterazione, in qualsiasi modo, del
funzionamento di un sistema informatico o telematico; la
seconda - ed è quella che qui interessa - è costituita dalla
condotta di chi interviene “senza diritto” con qualsiasi
modalità, su “dati, informazioni o programmi”. In questa
ipotesi dunque, attraverso una condotta a forma libera, si
“penetra” abusivamente all’interno del sistema, e si opera
su dati, informazioni o programmi, senza che il sistema
stesso, od una sua parte, risulti in sè alterato. Ebbene, nel-
la specie, come emerge dalla descrizione dei fatti offerta
dalle sentenze di merito, risulta che, attraverso l’utilizza-
zione dei codici di accesso telematici della Botta che gli
aveva revocato la delega ad operare sul suo conto on-line,
l’imputato sarebbe penetrato abusivamente, e, dunque,
senza diritto, all’interno del sistema bancario, mediante un
ordine (abusivo) di ricarica di un’utenza telefonica. Come
già indicato da questa Corte (Cass. n. 17748 del 2011 Rv.
250113 richiamata anche da Cass. n. 11699 del 2012 rv.
252797 e n. 6816 del 31 gennaio 2013) l’elemento specia-
lizzante, rappresentato dall’utilizzazione “fraudolenta” del
sistema informatico, costituisce presupposto “assorbente”
rispetto alla “generica” indebita utilizzazione dei codici
d’accesso disciplinato dall’art. 55 n. 9 D.L.vo n. 231/2007,
approdo ermeneutico che si pone “in linea con l’esigenza
(...) di procedere ad «una applicazione del principio di spe-
cialità secondo un approccio strutturale, che non trascuri
l’utilizzo dei normali criteri di interpretazione concernenti
la “ratio” delle norme, le loro f‌inalità e il loro inserimento
sistematico, al f‌ine di ottenere che il risultato interpreta-
tivo sia conforme ad una ragionevole prevedibilità, come
intesa dalla giurisprudenza della Corte EDU»”(Cass., sez.
un., 28 ottobre 2010, Giordano ed altri). Deve quindi rite-
nersi nel caso in esame la conf‌igurabilità del reato di cui
all’art. 640 ter c.p., in quanto la condotta contestata è sus-
sumibile nell’ipotesi “dell’intervento senza diritto su (...)
informazioni (...) contenute in un sistema informatico”.
Infatti, anche l’abusivo utilizzo di codici informatici di ter-
zi (“intervento senza diritto”) - comunque ottenuti e dei
quali si è entrati in possesso all’insaputa o contro la volon-
tà del legittimo possessore (“con qualsiasi modalità”) - è
idoneo ad integrare la fattispecie di cui all’art. 640 ter c.p.
ove quei codici siano utilizzati per intervenire senza diritto
su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema
informatico o telematico, al f‌ine di procurare a sè od altri
un ingiusto prof‌itto.
Per l’integrazione del reato è necessario però che, per
il tramite della condotta fraudolenta, l’agente procuri a
sé o ad altri un ingiusto prof‌itto con altrui danno. Come
avviene in altre fattispecie di reato contro il patrimonio
il conseguimento dell’ingiusto prof‌itto costituisce l’evento
del reato che ne realizza la consumazione.
Nella fattispecie in esame non vi è però prova dell’in-
giustizia del prof‌itto perseguito dall’agente considerato
che la versione dell’imputato che, come indicato nella
sentenza di primo grado, ha ammesso - precisando però
di averlo fatto su richiesta della Botta, che si trovava nella
momentanea indisponibilità di un computer portatile per
effettuare l’operazione - di avere provveduto ad effettuare
la ricarica on line dell’utenza 3475329553 rilevando che,
forse per errore nella digitazione, aveva indicato l’utenza
3475329554, è verosimile perchè l’utenza ricaricata pre-
senta una diversità con quella della donna solo nell’ultimo
numero digitato e si è accertato che era intestata a tale
Bortolozzi Stefano, che effettivamente non è risultato ave-
re rapporti né con la parte offesa, né con l’imputato. La
sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza
rinvio perchè il fatto non sussiste. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. II, 22 OTTOBRE 2015, N. 42651
(UD. 13 OTTOBRE 2015)
PRES. ESPOSITO – EST. PELLEGRINO – P.M. D’AMBROSIO (DIFF.) – RIC.
D’ALESSANDRO
Impugnazioni penali in genere y Termini y Decor-
renza y Sentenza contumaciale y Omessa notif‌ica
dell’estratto contumaciale y Conferimento al difen-
sore di procura speciale a proporre impugnazione y
Diritto dell’imputato all’autonoma impugnazione y
Sussistenza y Impugnazione.
. L’imputato che, dopo una sentenza emessa in contu-
macia nei suoi confronti, conferisce al proprio difenso-
re procura speciale per proporre impugnazione, è privo
di legittimazione a chiedere o a far chiedere dal suo
f‌iduciario di essere rimesso in termini per impugnare
autonomamente la decisione, nonostante la mancata
notif‌ica dell’estratto contumaciale, essendosi spoglia-
to, mediante il rilascio della delega, del proprio diritto
all’impugnazione. (c.p.p., art. 548; c.p.p., art. 571) (1)
(1) Nel medesimo senso, v. Cass. pen., sez. V, 27 marzo 2012, n. 11651,
in Ius&Lex dvd n. 2/2016, ed. La Tribuna.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con sentenza in data 14 febbraio 2013, il Tribunale di
Chieti, in composizione monocratica, dichiarava D’Alessan-
dro Gianni e D’Alessandro Francesco responsabili dei reati
di ricettazione di carte di credito clonate e loro utilizzazio-
ne e, ritenuta la continuazione, li condannava alla pena di
anni tre di reclusione ed euro 3.000,00 di multa ciascuno.

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