Corte di Cassazione Penale sez. V, 29 gennaio 2016, n. 3963 (ud. 6 luglio 2015)

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giur
Rivista penale 4/2016
LEGITTIMITÀ
va. Non a caso l’art. 464-ter cit. prevede che l’imputazione
venga formulata solo con l’atto scritto con cui il pubblico
ministero esprime il consenso.
In altri termini, l’esito non può che essere il rigetto della
richiesta, tuttavia l’indagato potrà rinnovare la richiesta
davanti al giudice del dibattimento, una volta esercitata
l’azione penale, e il giudice potrà ammettere il richiedente
al procedimento di messa alla prova. Anche qui, il parere
negativo opera un condizionamento relativo, con riferi-
mento alla fase delle indagini preliminari, ed è funzionale
ad evitare che le richieste ex art. 168-bis c.p. intervengano
prematuramente, ma non vincola il giudice del dibattimen-
to nel caso in cui l’imputato rinnovi la richiesta.
È evidente come la procedura in caso di dissenso repli-
chi lo schema previsto dall’art. 448 c.p.p. in tema di appli-
cazione della pena su richiesta delle parti: il dissenso del
pubblico ministero determina il rigetto della domanda di
patteggiamento, ma l’imputato può rinnovare la domanda
prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.
L’esistenza di questo meccanismo procedimentale di
recupero della richiesta porta ad escludere l’impugnabi-
lità del provvedimento con cui, nelle indagini preliminari,
a seguito del dissenso del pubblico ministero, il giudice
rigetta la domanda di messa alla prova. Del resto nessu-
na disposizione lo prevede e, inoltre, non si tratta di una
decisione con carattere di def‌initività e, quindi, non può
certo parif‌icarsi ad una sentenza, sicché non vi è alcuno
spazio per ipotizzare la ricorribilità in cassazione in base
all’art. 111 Cost.
3. In conclusione, deve affermarsi che il rigetto della
richiesta di sospensione del procedimento per messa alla
prova, avanzata nel corso delle indagini preliminari, non
è impugnabile in cassazione. La circostanza che nella
specie il G.i.p. del Tribunale di Pisa abbia pronunciato il
non luogo a provvedere sull’istanza, anziché il rigetto, non
sposta i termini della questione, trattandosi di un aspetto
del tutto formale.
Pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile, con la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese proces-
suali e di una somma in favore della cassa delle ammende,
che si ritiene equo determinare in euro 1.000,00. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. V, 29 GENNAIO 2016, N. 3963
(UD. 6 LUGLIO 2015)
PRES. FUMO – EST. GUARDIANO – P.M. FRATICELLI (DIFF.) – RIC. FABIANI
Cassazione penale y Motivi di ricorso y Richiesta
di applicazione della causa di non punibilità di cui
all’art. 131 bis c.p. y Rilevabilità d’uff‌icio della par-
ticolare tenuità del fatto y Ammissibilità y Esclu-
sione y Fattispecie in tema di rigetto della richiesta
di applicazione della causa di non punibilità pre-
sentata tardivamente.
. In tema di rigetto della richiesta di applicazione della
causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p., in relazio-
ne al contestato reato di diffamazione, è da escludere
che la Corte di Cassazione possa rilevare d’uff‌icio, ai
sensi dell’art. 609, comma 2 c.p.p., la sussistenza della
particolare tenuità del fatto. (Fattispecie in tema di
rigetto della richiesta di applicazione della causa di
non punibilità ex art. 131 bis c.p., perché presentata
tardivamente e annullamento della sentenza senza rin-
vio per essere il reato estinto per prescrizione). (Mass.
Redaz.) (c.p., art. 131 bis; c.p.p., art. 609) (1)
(1) Per utili riferimenti sul rapporto tra prescrizione e causa di non
punibilità per particolare tenuità del fatto si veda Cass. pen., sez. III,
22 dicembre 2015, n. 50215, in questa Rivista 2016, 130. In dottrina
sull’argomento si vedano i pregevoli commenti di U.D. MOLINA, Il
decreto legislativo n. 28 del 16 marzo 2015. Disposizioni in materia
di non punibilità per particolare tenuità del fatto , a norma dell’art.
1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67. Questioni di
diritto processuale e di diritto sostanziale, ivi 2016, 1; G. AIRÒ, Non
punibilità per particolare tenuità del fatto, in Arch. nuova proc.
pen. 2015, 409 e l’autorevole contributo di C. TAORMINA, Archivia-
zione per particolare tenuità del fatto, in questa Rivista 2015, 715.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con sentenza pronunciata il 19 giugno 2014 la Corte
di Appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza
con cui il Tribunale di Ascoli Piceno, in data 25 gennaio
2010, aveva condannato Fabiani Mario, alla pena ritenuta
di giustizia ed al risarcimento dei danni derivanti da reato,
in relazione al reato di cui all’art. 595, c.p.p., commesso
in danno di Torquati Angelo, rideterminava in senso più
favorevole al reo l’entità del trattamento sanzionatorio e
del risarcimento liquidato in favore della parte civile, con-
fermando nel resto la sentenza impugnata.
Al Fabiani si contesta di avere offeso la reputazione di
Torquati Angelo iscrivendo nel registro cronologico nel
quale vengono annotate le somme riscosse dai componen-
ti dell’uff‌icio per diritti di trasferta, registro accessibile a
tutti i dipendenti ed al personale degli uff‌ici giudiziari del
Tribunale di Ascoli Piceno, sezione di San Benedetto del
Tronto, in aggiunta al cognome di Torquati, gli epiteti of-
fensivi di “Giuda” ed “Iscariota”, al posto del nome Angelo.
2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui
chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per
cassazione l’imputato a mezzo del suo difensore di f‌iducia,
avv. Maurizio Miranda, del Foro di Ancona, lamentando:
1) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine
all’improcedibilità dell’azione penale per difetto di que-
rela, in quanto tardivamente depositata; 2) insussistenza
e mancata dimostrazione degli elementi costitutivi del re-
ato in oggetto, mancando, in particolare la prova che le
espressioni offensive contenute nel registro cronologico
dove venivano annotate le somme riscosse dai componenti
dell’uff‌icio UNEP del Tribunale di Ascoli Piceno per diritti
di trasferta, siano state effettivamente conosciute da terzi
diversi dalla persona offesa, elemento distintivo del de-
litto di diffamazione rispetto al reato di ingiuria, laddove
risulta dimostrato che è stata proprio la persona offesa,
e non l’imputato, a far vedere le suddette annotazioni of-
fensive ai testi Diodato e Nunzi, che in tal modo ne erano
venuti a conoscenza.

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