Corte di cassazione penale sez. VI, 21 aprile 2015, n. 16645 (ud. 11 marzo 2015)

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giur
Rivista penale 7-8/2015
LEGITTIMITÀ
blema di corretta qualif‌icazione giuridica dei fatti conte-
stati sub A) e B), che, originariamente inquadrati nella
fattispecie di cui all’art. 317 c.p., sono stati def‌initi nella
pronuncia impugnata quali induzione indebita ai sensi
dell’art. 319 quater c.p.. Come in precedenza riassunto gli
odierni ricorrenti, sulla base degli accertamenti di merito,
risultano aver creato un pericolo immaginario, inducendo
conseguentemente la parte lesa a riconoscere loro un pro-
f‌itto, e ciò hanno fatto utilizzando la qualità di pubblico uf-
f‌iciale che M. ha falsamente vantato, e che caratterizzava
il solo S., della quale la parte lesa, oltre che il coimputato,
erano pienamente consapevoli.
Così schematizzati gli elementi di fatto accertati ed
oggetto delle contestazioni richiamate, deve escludersi la
loro riconducibilità nello schema tipico del reato ritenuto,
che impone per la sua verif‌icazione l’abuso di qualità o
di poteri, il cui esercizio non corretto la parte lesa pos-
sa temere perchè ne deriverebbe un danno ingiusto che
intende evitare con la promessa di compenso, o auspicare,
in quanto foriero di un indebito vantaggio ottenuto grazie
alla disponibilità dimostrata, elementi di fatto nella specie
non identif‌icabili. Quel che risulta assente nella specie è
lo stato di soggezione al pubblico potere, poichè non è sta-
ta tale condizione delle controparti che ha indotto la parte
lesa ad accedere alle richieste di pagamento, a cui questi
risulta aver assentito esclusivamente in virtù del rapporto
instauratosi, per effetto dell’interessamento mostrato
dagli odierni ricorrenti alla situazione di pericolo per la
sua personale incolumità prospettata con l’inganno, non
risultando esserle stato indicato in alternativa alla parte
lesa, nè un indebito vantaggio, nè un danno in correlazio-
ne all’esercizio della funzione pubblica, ma prospettato un
benef‌icio insussistente, il cui bisogno era stato indotto da
artif‌ici realizzati.
In tale contesto proprio la creazione di tale situazione
di pericolo f‌ittizio, sulla cui suggestiva formazione, pur
espressamente contenuta nel capo di imputazione, non
è stata svolta alcuna contestazione dalle parti, diviene
preminente per la realizzazione della condotta tipica
dell’illecito e rispetto ad essa non è dato ravvisare quella
condizione di assoggettamento alla potestà altrui che è
tipica anche della diversa, più attenuata fattispecie di cui
all’art. 319 quater c.p., ritenuta in grado d’appello e che
costituisce l’elemento differenziale di tale f‌igura di reato.
La condotta realizzata risulta invece possedere il
contenuto caratterizzante del delitto di truffa, in quanto
l’azione congiunta dei due autori ha indotto la parte lesa,
con l’inganno e la specif‌ica simulazione di situazioni per
lei pericolose, a f‌idarsi di loro per una più pregante azione
di controllo, così ottenendo l’ingiusto prof‌itto della riscos-
sione delle somme richieste, in virtù di tale rapporto di
f‌iducia, a compenso delle attenzioni simulate, modalità di
condotta che non risulta contestata dalle parti se non con
un riferimento alla inutilizzabilità in rito delle affermazio-
ni della parte lesa, per quanto detto insussistenti.
La creazione di un pericolo immaginario, quale modali-
tà dell’azione ingannatoria è specif‌icamente prevista dal-
l’art. 640 c.p., comma 2, n. 2, come circostanza aggravante
dell’artif‌icio o raggiro volto ad ottenere una prestazione
economica, e rispetto a tale condotta deve ravvisarsi nel
caso concreto l’ulteriore aggravante di cui all’art. 61 c.p.,
n. 9, risultando il reato commesso da un pubblico uff‌iciale,
che ha abusato della sua funzione e dei doveri inerenti alla
carica, qualità di cui era consapevole anche il concorrente
extraneus.
Tale diversa qualif‌icazione giuridica dei fatti contestati,
proprio in quanto del tutto aderente agli elementi di fatto
illustrati per caratterizzare l’ipotesi di reato individuata
nell’imputazione, costituiva un prevedibile sviluppo del-
l’accertamento giudiziale rispetto al quale deve ritenersi
pienamente dispiegato il diritto di difesa, secondo l’ampia
formulazione di cui all’art. 6 CEDU, come interpretato
dalla Corte Edu.
La fattispecie ritenuta, pur nella forma aggravata, co-
stituisce norma più favorevole, in quanto prevede limiti
edittali inferiori a quelli considerati per la fattispecie
criminosa applicata, che ha costituito oggetto di determi-
nazione della pena base quale reato più grave, circostanza
che impone l’annullamento della sentenza impugnata, li-
mitatamente alla misura della pena che deve individuare
la sanzione base del reato continuato ascritto, ed il con-
seguente rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di
Cagliari, per nuova determinazione sul punto. (Omissis)
corte dI cassazIone penale
sez. vI, 21 aprIle 2015, n. 16645
(ud. 11 Marzo 2015)
pres. MIlo – est. paterno’ – p.M. canevellI (conf.) – rIc. p.b.
Estorsione y Estremi y Estorsione ed esercizio
arbitrario delle proprie ragioni y Differenze y Fat-
tispecie in cui è stata ravvisata estorsione in un
caso in cui gli agenti, per costringere la persona
offesa ad abbandonare un terreno agricolo su cui
insisteva una stalla, avevano appiccato il fuoco a
quest’ultima e avevano ucciso alcuni animali da
allevamento.
. Ai f‌ini della distinzione tra il reato di estorsione e
quello di esercizio arbitrario della proprie ragioni rileva
non soltanto l’elemento intenzionale ma anche il livello
di gravità della condotta violenta o minacciosa, per cui
quando questa si estrinsechi in forme di tale forza inti-
midatoria e di sistematica pervicacia da andare al di là
di ogni ragionevole intento di far valere un diritto, allo-
ra deve ritenersi che la coartazione dell’altrui volontà
sia f‌inalizzata a conseguire un prof‌itto che assume di
per sé i caratteri dell’ingiustizia, sé da rendere conf‌igu-
rabile la prima delle due ipotesi di reato in questione.
(Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte
ha ritenuto che correttamente fosse stato ravvisato il
reato di estorsione in un caso in cui gli agenti, per co-
stringere la persona offesa ad abbandonare un terreno
agricolo su cui insisteva una stalla, avevano appiccato il
fuoco a quest’ultima e avevano ucciso alcuni animali da

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