Corte di cassazione penale sez. I, 19 febbraio 2015, n. 7641 (ud. 7 novembre 2014)

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giur
4/2015 Rivista penale
LEGITTIMITÀ
emessa dalla Corte Europea nel caso Varvara, l’orientamen-
to già espresso nella decisione sez. un. n. 38834 del 2008.
3. Ciò conduce all’annullamento senza rinvio della de-
cisione qui impugnata e della ordinanza opposta (emes-
sa il 25 ottobre 2010) con cui era stato emesso in sede
escutiva - il provvedimento di conf‌isca.
Non può ritenersi infatti legittima l’emissione del
provvedimento ablativo - nel caso in esame - in assenza
di condanna (si è evidenziato peraltro che l’estinzione
per prescrizione dei reati scopo è stata dichiarata già
con la decisione di primo grado, residuando in tal sede
esclusivamente il reato di associazione per delinquere
con difetto di correlazione) nè tale condizione può es-
sere diversamente “recuperata” attraverso la sostenuta
(da parte del giudice dell’esecuzione) interpretazione
dell’art. 262 c.p.p..
Va infatti evidenziato che in sede di decisione di me-
rito è preciso dovere del giudice quello di statuire sulla
destinazione di quanto risulta sottoposto a sequestro pre-
ventivo (misura cautelare reale) ai sensi delle chiare di-
sposizioni contenute nell’art. 323 c.p.p., che impongono la
restituzione dei beni a chi ne abbia diritto, salva l’ipotesi
di conf‌isca.
Nel caso in esame si è pertanto determinata una evi-
dente patologia, non essendo stata emessa alcuna statui-
zione specif‌ica in sede di pronunzia di proscioglimento
(in secondo grado) ed essendosi provveduto ad emettere
il provvedimento ablativo in sede esecutiva, sulla base di
una «richiesta di restituzione» proveniente dal soggetto
nei cui confronti il sequestro era stato disposto, dunque
in assenza di «domanda espressa» da parte del pubblico
ministero (il che rappresenta violazione del principio
della domanda, applicabile anche in sede esecutiva come
di recente ribadito da sez. I n. 2939 del 17 ottobre 2013, rv
258392).
Non può pertanto - in tale quadro patologico - ritenersi
consentito il recupero del «dubbio» circa l’identif‌icazione
dell’avente diritto alla restituzione, posto che da un lato
al f‌ine della sua formulazione vengono in fatto utilizzati
argomenti (nel provvedimento impugnato) che rievocano
l’affermazione di penale responsabilità (nella parte in
cui si assume provata l’illecita provenienza dei beni) in
difformità dall’esito del processo di cognizione (sentenza
di proscioglimento) dall’altro si f‌inisce con imporre al sog-
getto “formalmente titolare” dei valori (secondo le regole
generali in tema di circolazione dei beni mobili ed in tema
di intestazione dei rapporti bancari) l’articolazione di una
prova relativa alla «legittima provenienza dei beni» che va
oltre la previsione di legge in questione (l’art. 263 c.p.p.
pone come condizione ostativa alla restituzione il dubbio
circa la semplice appartenenza) ed evoca nozioni appar-
tenenti ad altri settori dell’ordinamento (in particolare
quello relativo alle misure di prevenzione patrimoniali o
alla conf‌isca allargata) senza che di tali norme sia stata
operata rituale applicazione.
Le conseguenze dell’annullamento senza rinvio risulta-
no normativamente regolate dalla previsione di cui all’art.
626 c.p.p.. (Omissis)
COrte dI CASSAzIOne penALe
Sez. I, 19 febbrAIO 2015, n. 7641
(ud. 7 nOVembre 2014)
preS. zAmpettI – eSt. mAzzeI – p.m. fOdArOnI (COnf.) – rIC. AhAzke
Sicurezza pubblica y Stranieri y Espulsione y De-
creto di espulsione e scheda informativa plurilin-
gue y Assimilabilità y Esclusione y Conseguenze y
Omessa traduzione del provvedimento di espulsio-
ne nella lingua conosciuta dallo straniero y Nullità
del decreto y Esclusione.
. Il decreto di espulsione dello straniero, adottato per
una delle ragioni previste dall’art. 13 del D.L.vo 25 luglio
1998 n. 286, non è assimilabile alla “scheda informativa
plurilingue” con la quale, ai sensi del comma 5.1 del
citato art. 13, lo straniero deve essere informato della
facoltà di chiedere un termine per la partenza volon-
taria, e pertanto non può essere dedotto, come motivo
di nullità di detto decreto e, conseguentemente, come
motivo di inapplicabilità della sanzione penale prevista
per la sua inosservanza, il fatto che il provvedimento
non sia accompagnato da una traduzione nella lingua
che si assuma conosciuta dallo straniero (nella specie,
l’arabo), non compresa tra quelle indicate, proprio
con espresso riferimento al decreto di espulsione, nel
comma 7 del medesimo art. 13. (Mass. Redaz.) (d.l.vo
25 luglio 1998, n. 286, art. 13) (1)
(1) In senso difforme dalla pronuncia in commento si veda Cass. civ.
30 luglio 2010, n. 17908, in Ius&lex dvd n. 1/2015, ed. La Tribuna,
secondo cui la mancata traduzione del relativo decreto nella lingua
propria del destinatario determina la nullità del provvedimento. Per
utili ragguagli in argomento si veda, inoltre, Cass. civ. 29 novembre
2006, n. 25362, ibidem. Per un caso analogo si veda Cass. civ. 8 marzo
2012, n. 3676, ibidem, in cui si perviene alla nullità del provvedimen-
to di espulsione dello straniero, per l’ipotesi, in cui non si reputi in
alcun modo possibile, per mancanza di un traduttore e per la rarità
della lingua considerata, rendere edotto lo straniero sul contenuto
del provvedimento adottato.
SVOLgImentO deL prOCeSSO
1. Ahazke Fawzi, alias Hazgi Mourad, cittadino tu-
nisino, è stato condannato, con sentenza del Giudice di
pace di Bologna, in data 16 maggio 2012, alla pena di euro
seimilasettecento di multa, per non aver ottemperato al-
l’ordine del Questore di Bolzano che, il 25 gennaio 2012,
gli aveva intimato di lasciare il territorio nazionale entro
sette giorni.
2.1. Ricorre per cassazione l’imputato con atto depo-
sitato il 10 maggio 2013, tramite il difensore di f‌iducia,
avvocato Luciano Bertoluzza del foro di Bologna, il quale,
con unico motivo, deduce la nullità del provvedimento di
espulsione perchè non tradotto nella lingua conosciuta
dall’Ahazke (l’arabo), bensì solo in lingua francese, in
violazione del chiaro disposto dell’art. 13, comma 5.1,
D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286 (T.U. imm.), inserito dall’art.
3, comma 1, lett. c), n. 6), D.L. 23 giugno 2011, n. 89, con-
vertito, con mod., dalla legge 2 agosto 2011, n. 129, che,
in caso di espulsione, impone alla questura di provvedere

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