Corte di Cassazione Civile sez. un, 2 luglio 2015, n. 13568

Pagine821-823
821
giur
Arch. giur. circ. e sin. strad. 10/2015
LEGITTIMITÀ
norma nazionale, sperimentando una interpretazione che
sia conforme alla disposizione conferente della CEDU così
come interpretata dalla Corte di Strasburgo (Corte cost. n.
311 del 26 novembre 2009).
7.4. E l’esame della giurisprudenza sovranazionale
ha portato la Corte costituzionale (Corte cost. n. 230 del
23 maggio 2012) a riscontrare come «L’art. 7 CEDU, pur
enunciando formalmente il solo principio di irretroattivi-
tà, sia stato interpretato dalla giurisprudenza e dalla dot-
trina nel senso che esso delinea, nell’ambito del sistema
europeo di tutela dei diritti dell’uomo, i due fondamentali
principi penalistici nullum crimen sine lege e nulla poe-
na sine lege. Il principio di legalità permea di sé l’intero
impianto della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo,
molteplici essendo le disposizioni di questa che richiama-
no il concetto di legalità o la nozione di legge. Tale no-
zione è la stessa in ogni previsione convenzionale, perché
essa rinvia al principio di legalità, che è il fondamento di
ogni società democratica e patrimonio comune degli Stati
membri del Consiglio d’Europa». La richiamata norma, ap-
parentemente “debole” e scarsamente “incisiva” rispetto ai
connotati degli ordinamenti penali continentali (riserva
di legge, irretroattività, determinatezza, divieto di analo-
gia), presenta, in realtà, contenuti particolarmente qua-
lif‌icanti, resi progressivamente espliciti dalla giurispru-
denza della Corte Europea, che ha esteso la portata della
disposizione, includendovi il principio di determinatezza
delle norme penali, il divieto di analogia in malam par-
tem (Corte EDU 22 giugno 2000, Coeme e altri c/Belgio) e,
più recentemente, il principio implicito della retroattività
della legge meno severa (Grande Chambre 17 settembre
2009, Scoppola c/Italia), enucleando dal sistema della
Convenzione un concetto di , in forza
del quale possono raggiungersi livelli garantistici, per cer-
ti aspetti, più elevati di quelli offerti dall’art. 25 Cost. (Sez.
un., n. 18288 del 21 gennaio 2010, Beschi, Rv. 246651). Con
una recente pronuncia, peraltro, la Consulta ha ribadito
che l’applicazione retroattiva della disposizione penale
più favorevole costituisce espressione del principio di
eguaglianza, ferma restando l’intangibilità del giudicato
(Corte Cost. n. 230/2012).
7.5. Il Collegio ritiene, pertanto, che nel caso concreto
s’imponga l’annullamento della decisione impugnata in ra-
gione della sopravvenuta disciplina più favorevole. La mo-
tivazione offerta dal giudice di merito, che ha affermato
il
mente pericolosa>, valutata unitamente all’applicazione
della pena in misura pari al minimo edittale, nel concorso
degli altri presupposti di legge concernenti la pena edit-
tale e l’abitualità, rappresentano indici signif‌icativi, nel
senso della possibile sussunzione del fatto nell’ipotesi di
particolare tenuità, che dovranno essere valutati dal giu-
dice del rinvio.
8. Conclusivamente, rigettato il ricorso nel resto, la sen-
tenza va annullata limitatamente alla verif‌ica delle condi-
zioni di applicabilità dell’art. 131 bis c.p., con rinvio alla
Corte di appello di Bologna per nuovo esame. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE
SEZ. UN, 2 LUGLIO 2015, N. 13568
PRES. ROVELLI – EST. GIUSTI – P.M. APICE (CONF.) – RIC. TURCO (AVV. FUSILLO)
C. COMUNE DI UDINE (AVV.TI PAOLETTI, MICELLI E MARTINUZZI)
Giurisdizione civilef‌if‌iGiurisdizione ordinaria o
amministrativaf‌lf‌lGiurisdizione del giudice ammini-
strativof‌lf‌lDomanda risarcitoria per omesso sgom-
bero di questuanti dalla pubblica viaf‌lf‌lSussistenzaf‌l
f‌l Fondamento.
f‌l La domanda risarcitoria proposta avverso un Comune
dal cittadino che si ritenga leso a causa del mancato
sgombero di questuanti dalla pubblica via rientra nel-
la giurisdizione del giudice amministrativo, poiché
non concerne una semplice attività materiale dell’en-
te pubblico, ma l’adozione di provvedimenti secondo
legge, prospettando in astratto un interesse legittimo
dell’attore, salva la valutazione di merito circa la sua
concreta giustiziabilità. (c.c., art. 2051; d.l.vo 2 luglio
2010, n. 104, art. 7; d.l.vo 2 luglio 2010, n. 104, art. 133;
nuovo c.s., art. 14) (1)
(1) Nel medesimo senso, pur con riferimento a fattispecie differente,
v. Cass. civ., sez. un., 18 maggio 2015, n. 10095, in Ius&Lex dvd n.
2/2015, ed. La Tribuna. Nel senso che la giustiziabilità della pretesa
dinanzi agli organi della giurisdizione statale costituisce una que-
stione di merito e non di giurisdizione, v. Cass. civ., sez. un, 16 genna-
io 2015, n. 647, ibidem.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. - Giuseppe Turco ha convenuto in giudizio dinanzi al
Giudice di pace di Udine il Comune di Udine, chiedendone
la condanna al risarcimento del danno esistenziale, quanti-
f‌icato in via equitativa in euro 2.500, che ha assunto di aver
patito quale “cittadino automobilista circolante e fruitore
delle strade pubbliche”, per il disagio e l’ansia che gli sa-
rebbero derivati dalla “pratica di pedoni ben vestiti e ben
pasciuti, anche deambulanti con stampella/e, muniti di
cartello, marsupio e berretto” che, all’altezza dell’impian-
to semaforico esistente all’incrocio tra viale Cadore e viale
Leonardo da Vinci, da oltre un anno erano soliti chiedere
denaro agli automobilisti. A tal f‌ine, l’attore ha addebitato
al convenuto, quale ente proprietario della strada, di non
avere adottato, ai sensi dell’art. 14 del codice della strada
(Poteri e compiti degli enti proprietari delle strade), misu-
re idonee ad impedire o far cessare questi comportamenti
“molesti”, oltre che “pericolosi per la circolazione”.
II Comune si è costituito, eccependo il difetto di giuri-
sdizione del giudice ordinario.
2. - Il Giudice di pace, con sentenza in data 22 agosto
2012, ha declinato la giurisdizione in favore del giudice
amministrativo.
3. - Con sentenza resa pubblica mediante deposito in
cancelleria il 12 settembre 2013, il Tribunale di Udine ha
rigettato l’appello del Turco.
3.1. - Il Tribunale ha giudicato non pertinente, al f‌ine di
radicare la giurisdizione del giudice ordinario, il richiamo
dell’appellante all’art. 2051 c.c.
822
giur
10/2015 Arch. giur. circ. e sin. strad.
LEGITTIMITÀ
Ha osservato al riguardo il Tribunale che il Comune,
quale proprietario o custode delle strade aperte al pub-
blico transito, è obbligato a curarne la manutenzione, la
gestione, la pulizia e l’eff‌icienza con la dovuta diligenza
ed in modo tale da impedire che da esse possa derivare un
danno alle cose od all’incolumità delle persone.
Ma nel caso concreto - ha proseguito il giudice del gra-
vame l’appellante non lamenta un danno che gli sia de-
rivato direttamente dalla cosa in custodia (ossia da beni
demaniali o facenti parte del patrimonio indisponibile
della P.A.) per effetto di un’omessa attività materiale del
Comune e rispetto alla quale l’utente della strada vante-
rebbe una posizione di diritto soggettivo tutelabile davanti
all’autorità giudiziaria ordinaria.
Ciò di cui si duole, invece, è - ha proseguito il Tribuna-
le - la mancata adozione, da parte del Comune, di misure
atte ad interrompere la pratica dell’accattonaggio all’in-
crocio dove l’attore si trova abitualmente a transitare. Il
danno esistenziale lamentato, lungi dal derivare diretta-
mente dalla cosa, dipenderebbe dal mancato esercizio da
parte del Comune di poteri autoritativi volti a porre f‌ine al
lamentato fenomeno attraverso lo sgombero dalla pubbli-
ca via dei questuanti che vi indugiano.
Ad avviso del Tribunale, l’omesso esercizio di tali po-
teri non può essere considerato un mero comportamento
materiale.
La giurisdizione del giudice amministrativo si fonda
dunque sull’art. 7 del codice del processo amministrativo:
ove si sia in presenza dell’esercizio o, come nella specie,
del mancato esercizio, di potestà pubblicistiche, la giuri-
sdizione del giudice amministrativo si estende anche alle
connesse domande risarcitorie, eventualmente proposte
in via autonoma, pur se con esse si invochi la tutela di
diritti fondamentali, come quello alla salute.
4. - Per la cassazione della sentenza del Tribunale il
Turco ha proposto ricorso, con atto notif‌icato il 10 ottobre
2013, sulla base di quattro motivi.
Il Comune di Udine vi ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. - Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa ap-
plicazione del combinato disposto degli artt. 2051 c.c. e 14
del codice della strada. Ad avviso del ricorrente, “l’errore
della sentenza impugnata consiste nel non voler concet-
tualmente ed oggettivamente equiparare il pedone fuori
posto al tronco caduto sull’asfalto e perciò anch’esso fuo-
ri posto rispetto al diritto di circolare dell’automobilista
ricorrente”. “I pedoni che domandano soldi nella carreg-
giata destinata alla circolazione delle automobili [...] non
possono rientrare nell’ipotesi del caso fortuito e/o forza
maggiore. L’ente proprietario-custode della strada deve
eliminare materialmente, senza soluzione di continuità,
tutte le insidie ed i pericoli che minacciano le garanzie di
sicurezza e di f‌luidità della circolazione veicolare, diver-
samente si rende inadempiente nei confronti dell’avente
diritto automobilista ricorrente”.
Il secondo mezzo censura violazione di legge per mani-
festa illogicità della motivazione. Il ricorrente si sarebbe
doluto, sin dall’atto introduttivo, “del mancato intervento
materiale di rimozione dalla strada comunale dell’impedi-
mento di cui a pedoni ben vestiti e ben pasciuti”.
Il terzo motivo, rubricato “violazione di legge per man-
canza e contraddittorietà della motivazione”, è formulato
sul rilievo che il ricorrente avrebbe contestato al Comune
di non applicare le norme di azione (in base al combinato
disposto degli artt. 2051 c.c. e 14 del codice della strada)
in punto di “f‌isico ingombro della carreggiata del pedone”.
Con il quarto motivo (violazione di legge per palese
contraddittorietà della motivazione) si fa presente che il
ricorrente non ha mai accennato alla “mancata emissione
di un provvedimento amministrativo”; si denuncia pertan-
to che il Tribunale avrebbe travisato il contenuto delle
conclusioni e dell’attività processuale dell’appellante, che
ha domandato in realtà la condanna al risarcimento del
danno per violazione di un proprio diritto soggettivo.
2. - I motivi - da esaminare congiuntamente, stante la
stretta connessione - sono infondati.
2.1. - Le censure articolate muovono dalla premessa
che i “pedoni che domandano (con insistenza) soldi sul-
la strada comunale” siano equiparabili “al tronco caduto
sull’asfalto e perciò [...] fuori posto rispetto al diritto di
circolare dell’automobilista ricorrente”, di talché il Co-
mune sarebbe “tenuto alla materiale attività di sgombero
della carreggiata da tali pericoli/insidie per garantire la
sicurezza e la f‌luidità del traff‌ico”.
Si tratta di una premessa erronea, essendo del tutto
priva di fondamento l’equiparazione, tra cose ingombran-
ti e lavavetri all’incrocio o al semaforo, che il ricorrente
prospetta rivendicando il diritto all’ordine nelle strade in
nome di uno spazio di viabilità asettico.
Quando, infatti, viene in rilievo un’attività umana
espressione di una forma di mendicità e di una “semplice
richiesta di aiuto” (Corte cost., sentenza n. 519 del 1995)
proveniente da chi si trova in condizioni di povertà, non
è pertinente il richiamo al dovere dell’ente proprietario
della strada di porre in essere una attività materiale, un
mero comportamento di “pulizia delle strade”, come recita
l’art. 14 del codice della strada.
È infatti in gioco un ambito in cui l’azione amministra-
tiva, pur indirizzata alla tutela di beni pubblici importanti
(l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana), deve muo-
versi nel necessario rispetto della dignità della persona
umana e dei diritti degli “ultimi”, essendo destinata a risol-
versi in prescrizioni di comportamento, divieti, obblighi di
fare e di non fare, che impongono comunque, in maggiore o
minore misura, restrizioni a coloro che ne sono destinatari.
Se ne trae conferma dalla sentenza della Corte costitu-
zionale n. 115 del 2011: la quale - nel dichiarare l’illegittimi-
tà costituzionale dell’art. 54, comma 4, del D.L.vo 18 agosto
2000, n. 267, come sostituito dall’art. 6 del decreto-legge 23
maggio 2008, n. 92, convertito, con modif‌icazione, dall’art. 1,
comma 1, della legge 24 luglio 2008, n. 125, nella parte in cui
comprende la locuzione «, anche» prima delle parole «con-
tingibili ed urgenti» - ha ritenuto che la previsione di un
potere di ordinanza dei sindaci, quali uff‌iciali del Governo,
non limitato ai casi contingibili ed urgenti viola la riserva di
823
giur
Arch. giur. circ. e sin. strad. 10/2015
LEGITTIMITÀ
legge relativa, di cui all’art. 23 Cost., in quanto non prevede
una qualunque delimitazione della discrezionalità ammini-
strativa in un settore, quello della imposizioni di compor-
tamenti, che rientra nella generale sfera di libertà dei con-
sociati, i quali sono tenuti, secondo un principio supremo
dello Stato di diritto, a sottostare soltanto agli obblighi di
fare, di non fare o di dare previsti in via generale dalla legge.
2.2. - Tanto premesso, ai f‌ini del riparto di giurisdizio-
ne è decisivo rilevare come la pretesa azionata con la do-
manda abbia ad oggetto un’attività dell’amministrazione
convenuta destinata necessariamente ad estrinsecarsi in
provvedimenti secondo legge, e quindi non certo riducibi-
le alla sua semplice materialità.
Come hanno ricordato di recente queste Sezioni Uni-
te (ordinanza 18 maggio 2015, n. 10095), “la pretesa a che
un’autorità amministrativa eserciti i poteri che la legge le
assegna per la tutela di un interesse pubblico non può sicura-
mente essere conf‌igurata come un diritto soggettivo di colui
il quale quella pretesa voglia far valere in giudizio, né quando
essa investa la scelta dell’amministrazione se esercitare o
meno quel potere, in una situazione data, né quando sia volta
a sindacare i tempi ed i modi in cui lo si è esercitato”.
Non varrebbe a dimostrare il contrario - hanno chiarito
le Sezioni Unite con la citata ordinanza - “la circostanza
che il cattivo o mancato esercizio doveroso del potere,
qualora ne sia derivato un dato a terzi, legittima costui
a pretendere il risarcimento a norma dell’art. 2043 c.c.,
essendo ormai pacif‌ico [...] che la tutela aquiliana è invo-
cabile per la lesione non soltanto di diritti soggettivi, ma
anche di interessi legittimi, o più in generale di interessi
ad un bene della vita che risultino comunque meritevo-
li di protezione alla luce dell’ordinamento positivo”. Può
dunque “solo eventualmente qualif‌icarsi come interesse
legittimo quello del privato ad ottenere o a conservare un
bene della vita quando esso viene a confronto con un po-
tere attribuito dalla legge all’amministrazione non per la
soddisfazione proprio di quell’interesse individuale, bensì
di un interesse pubblico che lo ricomprende, per la realiz-
zazione del quale l’amministrazione è dotata di discrezio-
nalità nell’uso dei mezzi a sua disposizione”.
Né appare possibile, ai f‌ini che qui rilevano, distinguere
tra la situazione in cui si contesti al Comune di avere male
esercitato i propri poteri e quella in cui si lamenti la totale
omissione dell’esercizio di tali poteri: non solo perchè an-
che in quest’ultimo caso appare diff‌icile negare un ambito
di discrezionalità dell’autorità nel valutare la sussistenza
dei presupposti che giustif‌icano il suo intervento, ma an-
che in quanto non si saprebbe neppure come individuare
un siffatto ipotetico intervento senza al tempo stesso def‌i-
nirne i tempi ed i modi di attuazione.
Tale è la situazione che si delinea con riguardo ai po-
teri contingibili ed urgenti che la legge aff‌ida al sindaco
nelle funzioni di competenza statale al f‌ine di prevenire
e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità
pubblica e la sicurezza urbana: poteri riguardo al cui eser-
cizio (o mancato esercizio) non è dunque conf‌igurabile
una posizione di diritto soggettivo in capo all’automobili-
sta che percorre la strada comunale.
La posizione soggettiva di cui l’attore pretende la tu-
tela non è, nemmeno in astratto, qualif‌icabile in termini
di diritto soggettivo, ma, semmai, di interesse legittimo,
con conseguente giurisdizione del giudice amministrati-
vo, giacché, ai sensi dell’art. 7, comma 4, cod. proc. amm.,
sono attribuite alla giurisdizione generale di legittimità di
questo giudice le controversie relative ad atti, provvedi-
menti o omissioni delle pubbliche amministrazioni, com-
prese quelle relative al risarcimento del danno per lesione
di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali conse-
quenziali, pure se introdotte in via autonoma.
Alla cognizione del giudice amministrativo - giudice
del legittimo esercizio della funzione amministrativa -
sono attribuite le domande di risarcimento del danno che
si ponga in rapporto di causalità diretta con l’illegittimo
esercizio del potere pubblico, mentre resta riservato al
giudice ordinario soltanto il risarcimento del danno pro-
vocato da “comportamenti” della P.A. che non trovano ri-
spondenza nel precedente esercizio di quel potere (sez.
un., 10 giugno 2015, n. 11292).
In ogni caso, anche se si volesse ipotizzare l’esistenza di
una situazione di diritto soggettivo facente capo all’attore,
la questione ricadrebbe nell’ipotesi di giurisdizione esclu-
siva del giudice amministrativo, quale prevista dall’art. 133,
comma 1, lettera q), cod. proc. amm., trattandosi di con-
troversia relativa alla mancata adozione di provvedimenti
contingibili ed urgenti in materia di sicurezza urbana.
2.3. - Va inf‌ine rilevato che la dichiarazione della giurisdi-
zione del giudice amministrativo non comporta anche una
valutazione di sussistenza nell’ordinamento di una norma
astratta idonea al riconoscimento e alla tutelabilità della
posizione giuridica fatta valere nella specie dal “cittadino
automobilista circolante e fruitore delle strade pubbliche”.
Poiché, infatti, la giustiziabilità della pretesa dinanzi
agli organi della giurisdizione statale costituisce una que-
stione di merito e non di giurisdizione (sez. un., 16 genna-
io 2015, n. 647), spetta al giudice amministrativo stabilire
se, in concreto, tale interesse legittimo risulti davvero
conf‌igurabile, e quindi meritevole di tutela, o se invece
si tratti di interesse indifferenziato di mero fatto che non
consente l’accoglimento della domanda.
3. - Il ricorso è rigettato.
Va dichiarata la giurisdizione del giudice amministra-
tivo.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da
dispositivo, seguono la soccombenza.
4. - Poiché il ricorso è stato proposto successivamente
al 30 gennaio 2013 ed è respinto, sussistono le condizioni
per dare atto - ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge
24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato Legge di
stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater all’art.
13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115
- della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte
del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unif‌icato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione
integralmente rigettata. (Omissis)

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT