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AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine169-183

Page 169

@CORTE DI CASSAZIONE Sez. un., 29 gennaio 2009, n. 4187 (c.c. 30 ottobre 2008). Pres. Gemelli - Est. Visconti - P.G. Monetti (conf.) - Ric. Pellegrino

Misure cautelari personali - Riparazione per l’ingiusta detenzione - Durata della custodia cautelare superiore alla pena inflitta in primo grado - Estinzione del reato per prescrizione - Dichiarazione in appello - Riparazione per l’ingiusta detenzione - Sussistenza.

La riparazione per ingiusta detenzione spetta in caso di durata della custodia cautelare superiore alla misura della pena inflitta con la sentenza di primo grado, cui poi abbia fatto seguito una sentenza di appello dichiarativa della estinzione del reato per prescrizione. (Mass. Redaz.). (C.p.p., art. 314) (1).

    (1) Tale principio di diritto si pone in linea con quanto già affermato dalla Corte cost. 20 giugno 2008 n. 219 che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 314 c.p.p. nella parte in cui, nell’ipotesi di detenzione cautelare sofferta, condiziona in ogni caso il diritto all’equa riparazione al proscioglimento nel merito dalle imputazioni. Tale sentenza è pubblicata integralmente in questa Rivista 2008, 535. Si veda anche l’ordinanza di rimessione delle S.U. del 19 luglio 2006, Pellegrino, pubblicata ivi 2007, 399.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. – Con ordinanza in data 29 aprile 2004 la Corte di Appello di Reggio Calabria, in parziale accoglimento dell’istanza proposta da Pellegrino Antonio ai sensi degli artt. 314 e 315 c.p.p. di riparazione per ingiusta detenzione subita in carcere dal 23 gennaio 1986 al 22 giugno 1989, ha condannato il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento della somma di euro 80.000,00 per la detenzione patita dal 26 gennaio 1988 al 22 giugno 1989, e ha rigettato la richiesta relativa al periodo dal 23 gennaio 1986 al 25 gennaio 1988.

La Corte territoriale ha osservato che il 23 gennaio 1986 era stata applicata all’istante la misura della custodia cautelare in carcere per le imputazioni di associazione di tipo mafioso, di detenzione e porto illegale di armi, nonché, in forza di successiva contestazione, di tentato omicidio. Il 22 gennaio 1988 erano scaduti i termini massimi di custodia cautelare per i reati concernenti l’associazione mafiosa e le armi nonché – stante la retrodatazione per connessione qualificata ex art. 297 c.p.p. – anche per il tentato omicidio, ma per quest’ultimo delitto, avendo il Pellegrino riportato condanna a 14 anni di reclusione con sentenza 23 gennaio 1988 della Corte di Assise di Locri, la custodia in carcere era stata mantenuta. La sentenza di appello, che ha ridotto la pena a dieci anni e sei mesi di reclusione, è stata annullata dalla Corte di Cassazione e, nel giudizio di rinvio, il 23 giugno 1989, altra sezione della Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria ha assolto l’imputato dal reato di tentato omicidio per insufficienza di prove, mentre il processo è proseguito per le imputazioni relative al reato associativo e a quello concernente le armi.

Con sentenza del 17 gennaio 1999 il Pellegrino è stato, poi, assolto in primo grado dal reato associativo perché il fatto non sussiste e condannato a dieci mesi di reclusione per i reati concernenti le armi. A seguito di impugnazione del solo imputato, il giudice di appello, in data 7 maggio 2001, ha pronunciato sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione in ordine al residuo reato di porto e detenzione di armi.

La ragione che ha determinato la Corte di Appello a riconoscere la riparazione per l’ingiusta detenzione soltanto per il periodo compreso tra il 26 gennaio 1988 e il 22 giugno 1989 risiede nella circostanza che esso riguarda la custodia cautelare riferita alla sola imputazione di tentato omicidio – dalla quale il ricorrente era stato assolto – mentre, in relazione al periodo dal 23 gennaio 1986 al 25 gennaio 1988, la misura coercitiva era risultata legittimata da una pluralità di imputazioni – associazione di tipo mafioso, nonché detenzione e porto illegale di armi – e la declaratoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, pronunciata per i reati concernenti le armi, precludeva il riconoscimento del diritto alla riparazione, essendo quest’ultimo configurabile soltanto in caso di proscioglimento nel merito, secondo la previsione del comma 1 dell’art. 314 del codice di rito.

Pellegrino Antonio, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso la succitata ordinanza della Corte di Appello, chiedendone l’annullamento per violazione dell’art. 606, 1º comma, lett. c) ed e), c.p.p., in relazione agli artt. 314 dello stesso codice e 157 e ss. c.p.

Il ricorrente ha assunto che il provvedimento di rigetto parziale dell’istanza riparatoria era stato emesso erroneamente sulla base della impossibilità di distinguere tra i diversi titoli detentivi quanta detenzione ingiusta fosse stata patita per ciascuno di essi, essendo intervenuta assoluzione nel merito per il delitto associativo e declaratoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione in ordine ai reati attinenti alle armi. Invece, secondo il ricorrente, nel caso di specie la dichiarazione di estinzione per prescrizione del delitto in materia di armi era intervenuta in appello dopo che egli era stato condannato alla pena di dieci mesi diPage 170 reclusione con sentenza non impugnata dal pubblico ministero e quindi non suscettibile di riforma in senso deteriore per il divieto della reformatio in peius, sicché il residuo periodo di custodia cautelare si sarebbe dovuto imputare al delitto per il quale aveva riportato pronunzia definitiva di assoluzione nel merito già in primo grado.

Con memoria depositata il 14 novembre 2005, il ricorrente ha poi prodotto copia di due sentenze di questa Corte (ricorrenti Cinanni e Femia, rispettivamente del 6 luglio 2005 e dell’8 luglio 2005) con le quali, per posizioni del tutto identiche a quella oggetto del presente procedimento, era stato riconosciuto il diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione a favore di persone che erano state coimputate nel medesimo processo svoltosi nei confronti del Pellegrino.

Con ordinanza in data 15 dicembre 2005 la IV sezione penale della Corte di Cassazione ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, citando una ampia pregressa giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la pluralità di titoli detentivi è ostativa alla riparazione per ingiusta detenzione, qualora anche per una sola delle imputazioni non vi sia stato proscioglimento nel merito, ovvero l’indennizzo va limitato al periodo eccedente i termini massimi di custodia cautelare per il reato meno grave, qualora solo per quest’ultimo non vi sia stato proscioglimento nel merito. Tale giurisprudenza è fondata sulla disposizione di cui al 4º comma dell’art. 314 c.p.p., il quale dispone che «il diritto alla riparazione è escluso... per il periodo in cui le limitazioni conseguenti all’applicazione della custodia siano state sofferte anche in forza di altro titolo».

Nella ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite è stato posto in evidenza il diverso orientamento delle sentenze Cinanni e Femia, con le quali, in situazione del tutto analoga a quella in esame, era stato ritenuto che l’indennizzo spettasse per il periodo di custodia cautelare eccedente la pena definitivamente inflitta di dieci mesi di reclusione per i delitti attinenti alle armi. Avendo i suddetti ricorrenti patito per tali reati una custodia cautelare di due anni, in tali casi il giudice di legittimità ha ritenuto che la riparazione spettava per anni uno e mesi due.

Con ordinanza in data 30 maggio 2006 le Sezioni Unite di questa Corte, pur ritenendo non condivisibile l’orientamento espresso con le sentenze Cinanni e Femia, in quanto in chiaro contrasto con il dettato normativo di cui all’art. 314, 1º e 4º comma, c.p.p., e non essendo consentito al giudice di superare il limite rappresentato dall’univoco senso letterale delle disposizioni, nemmeno impiegando il metodo dell’interpretazione secundum Constitutionem, hanno ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 314 c.p.p. in relazione agli artt. 2, 3, 24 e 77 della Costituzione, nella parte in cui non è previsto il diritto alla riparazione per la custodia cautelare che risulti superiore alla misura della pena inflitta.

Con sentenza del 20 giugno 2008, n. 219 la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 3 Cost., dell’art. 314 del codice di procedura penale, nella parte in cui, nell’ipotesi di detenzione cautelare sofferta, condiziona in ogni caso il diritto all’equa riparazione al proscioglimento nel merito dalle imputazioni, «secondo quanto precisato in motivazione».

Pervenuti gli atti, il Primo Presidente aggiunto ha fissato l’odierna udienza camerale per la decisione del ricorso.

Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della impugnata ordinanza della Corte di Appello di Reggio Calabria, in quanto, a seguito della citata sentenza della Corte Costituzionale, la fattispecie in esame è stata ricondotta nell’ambito di tutela dell’art. 314 del codice di rito.

MOTIVI DELLA DECISIONE. – La questione rimessa alle Sezioni Unite, sulla cui soluzione influisce in maniera decisiva la sentenza della Corte Costituzionale n. 219 del 2008, è la seguente: Se la riparazione per ingiusta detenzione spetti in relazione al periodo di custodia cautelare superiore alla misura della pena inflitta con la sentenza di primo grado, cui poi abbia fatto seguito una sentenza di appello dichiarativa della estinzione del reato per prescrizione.

Prima dell’intervento del Giudice delle leggi, la giurisprudenza di legittimità era prevalentemente orientata nel senso che «in materia di riparazione per ingiusta detenzione, nel caso di processo cumulativo, avente ad oggetto cioè più imputazioni, se il provvedimento restrittivo della libertà è fondato su più contestazioni, il...

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