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AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine741-752

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. un., 15 maggio 2008, n. 19601 (ud. 28 febbraio 2008). Pres. Lattanzi - Est. Conti - P.M. Palombarini (conf.) - Ric. Niccoli

Reati fallimentari - Bancarotta in genere - Dichiarazione di fallimento - Presupposti oggettivi e soggettivi - Sindacato del giudice penale - Esclusione - Nozione di impreditore assoggettabile alla procedura fallimentare - Modifiche dell'art. 1 R.D. n. 267 del 1942 - D.L.vo n. 5 del 2006 - D.L.vo n. 169 del 2007 - Applicabilità della disciplina di cui all'art. 2 c.p. - Esclusione.

Il giudice penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta ex artt. 216 e seguenti R.D. 16 marzo 1942, n. 267 non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell'impresa e ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità dell'imprenditore, sicché le modifiche apportate all'art. 1 R.D. 267 del 1942, dal D.L.vo 9 gennaio 2006, n. 5 e dal D.L.vo 12 settembre 2007, n. 169, non esercitano influenza ai sensi dell'art. 2 c.p. sui procedimenti penali in corso. (R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 1; R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 216; R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 217; R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 223; R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 224; c.p., art. 2) (1).

    (1) Sentenza di assoluto rilievo. In precedenza avevamo dato conto su questa Rivista del sorgere di un contrasto, in sede di merito, relativamente all'applicabilità o meno del principio di retroattività della legge penale più favorevole al reo previsto dall'art. 2, c.p. a seguito della modifica dei presupposti oggettivi e soggettivi per la dichiarazione di fallimento introdotta con D.L.vo n. 5/2006 e con il c.d. decreto correttivo, che ha comportato un ampliamento dei soggetti esonerati dall'assoggettabilità al fallimento ed ha indirettamente ridotto l'ambito applicativo delle ipotesi di bancarotta. Si vedano in proposito Trib. pen. Fermo, 13 novembre 2007, n. 627, Amici, e Trib. pen. Modena, 8 maggio 2007, n. 15, Nironi, entrambe pubblicate per esteso in questa Rivista 2008, 301.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. 1. - Con decreto in data 23 ottobre 2003 il Giudice della udienza preliminare del Tribunale di Firenze disponeva il giudizio dinnanzi al Tribunale di Firenze nei confronti di Leonardo Niccoli in relazione a due imputazioni di bancarotta:

  1. art. 217 comma primo, n. 4, R.D. 16 marzo 1942, n. 267, perché nella qualità di legale rappresentante della s.r.l. Giolli Pelle si asteneva dal chiederne il fallimento, aggravando il dissesto della impresa, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Firenze in data 19 gennaio 2000;

  2. artt. 110 c.p., 216 comma primo, n. 1 e 2, e 223 R.D. 16 marzo 1942, n. 267, per avere tenuto i libri e le scritture contabili prescritte dalla legge in modo tale da non permettere al curatore la idonea ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società di cui al capo precedente, e rendendosi successivamente irreperibile;

    con l'aggravante di cui all'art. 219 commi primo e secondo del predetto regio decreto.

    In Firenze, dalla fine del 1997 alla data del fallimento.

    1. - Con sentenza in data 27 marzo 2006 il Tribunale di Firenze dichiarava il Niccoli colpevole del reato di cui all'art. 217 comma secondo, L. fall., così modificata l'imputazione sub b), e, riconosciute le attenuanti generiche, lo condannava, con entrambi i benefici di legge, alla pena di mesi sei di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, dichiarandolo inabilitato all'esercizio di un'impresa commerciale e incapace di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per un tempo corrispondente alla pena inflitta; assolveva inoltre l'imputato dal reato ascrittogli sub a) per insussistenza del fatto.

      Il Tribunale rilevava che le scritture contabili erano state tenute regolarmente fino al 1997, con bilanci tempestivamente depositati, e che da allora l'attività era praticamente cessata. Peraltro, considerati i debiti modesti - tanto che il fallimento era stato richiesto per un credito pari a lire 4.500.000 - non si erano verificate circostanze tali da imporre una richiesta di fallimento in proprio, e comunque, se ciò fosse anche avvenuto, non ne sarebbe derivata una diminuzione del passivo, accertato in lire 50 milioni.

      Residuava dunque solo la responsabilità penale dell'imputato per l'omessa tenuta delle scritture contabili nell'ultimo periodo di formale esistenza dell'azienda.

    2. - Nell'atto di appello proposto dal difensore dell'imputato, si denunciava, con un primo motivo, il vizio di motivazione in punto di affermazione della responsabilità penale, dato che era stato riconosciuto che le scritture contabili erano state regolarmente tenute sino a quando la società amministrata dal Niccoli aveva di fatto operato; con un secondo, il vizio di motivazione circa il trattamento sanzionatorio, non ragguagliato al minimo edittale; con un terzo, la mancata sostituzione della pena detentiva in quella pecuniaria, in luogo della sospensione condizionale della pena.

    3. - Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza impu-Page 742gnata, riduceva la pena inflitta al Niccoli a mesi due e giorni venti di reclusione, convertendola nella corrispondente pena pecuniaria e dichiarandola interamente condonata, previa esclusione della sospensione condizionale; confermando nel resto la sentenza del Tribunale.

      La Corte territoriale osservava tra l'altro che non era accoglibile la tesi difensiva, prospettata nel corso del dibattimento di appello, secondo cui, in forza delle disposizioni attualmente vigenti, la società del Niccoli non avrebbe potuto essere sottoposta a fallimento, con la conseguenza che i fatti in contestazione, in tesi, non costituivano più reato; e ciò in quanto, ad avviso della Corte di appello, a norma dell'art. 150 D.L.vo 9 gennaio 2006, n. 5, la posizione di detta società e la procedura di fallimento della stessa erano regolate dalla legge anteriore alle ultime modifiche apportate alla legge fallimentare.

    4. - Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del Niccoli, avv. Michele Ducci, che con un unico motivo denuncia la violazione dell'art. 2 comma terzo (recte, quarto) c.p.

      Secondo il ricorrente, pur essendo pacifico che, in forza "dell'art. 242 Legge Fallimentare" permangono gli effetti delle sentenze dichiarative di fallimento pronunciate prima della entrata in vigore del D.L.vo 9 gennaio 2006, n. 5, tale previsione non può estendersi al processo penale, pena la violazione dell'art. 2 c.p.

      Infatti, a seguire l'argomentare della Corte di appello, casi identici troverebbero soluzioni totalmente diverse, in contrasto con il principio della successione nel tempo della legge penale più favorevole.

      Si osserva ancora nel ricorso che, come risulta dalla relazione ex art. 33 L. fall., dalla stessa sentenza dichiarativa di fallimento e dall'esame testimoniale del curatore, attualmente non ricorrerebbero più, alla luce dell'art. 1 L. fall., come modificato dal D.L.vo n. 5 del 2006, i presupposti per dichiarare il fallimento della società di cui il Niccoli era legale rappresentante, dovendosi alla stregua della nuova normativa ritenere l'imputato un piccolo imprenditore, come tale non assoggettabile alle disposizioni sul fallimento.

      Era stato infatti accertato che nell'esercizio dell'attività commerciale della società dichiarata fallita non erano stati effettuati investimenti per un capitale superiore a 300.000 euro, né l'azienda aveva realizzato ricavi lordi, calcolati sulla media degli ultimi tre anni, per un ammontare complessivo annuo superiore a 200.000 euro.

      Ad avviso del ricorrente, poiché l'art. 1 L. fall., integrativo delle norme penali contenute negli artt. 216 e 217 L. fall., era stato modificato in senso più favorevole all'imputato, non rendendo più soggetta a fallimento la società nella quale egli aveva agito, in applicazione del disposto dell'art. 2 comma terzo (recte, quarto) c.p., si sarebbe dovuto pronunciare sentenza di assoluzione, perché il fatto come contestato al Niccoli non è oggi più previsto dalla legge come reato.

    5. - La Quinta sezione della Corte di cassazione, cui il ricorso era stato assegnato, con ordinanza resa alla udienza del 13 novembre 2007, ha rimesso il ricorso alle Sezioni unite, a norma dell'art. 618 c.p.p.

      Nell'ordinanza si osserva che il motivo di ricorso pone all'attenzione della Corte di cassazione la questione se, in relazione ai reati di bancarotta, in seguito all'entrata in vigore del D.L.vo 9 gennaio 2006, n. 5, che ha modificato la nozione di piccolo imprenditore non assoggettabile a procedura fallimentare, debba trovare applicazione il disposto di cui all'art. 2 comma quarto c.p., «con la conseguenza di escludere la sussistenza del reato in ipotesi di condotta realizzata nella vigenza della precedente normativa fallimentare da persona la quale, in forza del novum legislativo, attualmente non sarebbe sottoposto a fallimento, e questo pur in presenza del portato della norma transitoria di cui al citato D.L.vo, che fa salvi gli effetti delle procedure concorsuali pendenti al momento dell'entrata in vigore della legge di riforma».

      L'ordinanza di rimessione segnala al riguardo il contrasto di giurisprudenza insorto in seno alla stessa Quinta sezione a seguito della sentenza 20 marzo 2007, ric. Celotti, e della successiva sentenza 18 ottobre 2007, ric. Rizzo; evidenziando, quanto alla prima, che in essa si richiama la disciplina transitoria di cui al citato art. 150 D.L.vo n. 5 del 2006, che regola secondo la legge anteriore le procedure fallimentari pendenti alla data di entrata in vigore del predetto decreto, e quindi anche la individuazione dell'imprenditore assoggettabile a fallimento, per farne derivare la conseguenza della irrilevanza del nuovo regime ai fini dell'applicabilità delle norme in materia di successione di leggi penali; e, quanto alla seconda, che...

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