«Contestazioni a catena», misure cautelari e ragionevolezza

AutoreRoberto Puglisi
Pagine25-30

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@1. La fattispecie all'esame della Corte costituzionale

- La Consulta, con la sentenza n. 408 del 3 novembre 2005 (in questa Rivista 2006, 143), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 297 comma 3 c.p.p. nella parte in cui non prevede l'applicabilità della norma anche a fatti diversi non connessi, quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della precedente ordinanza 1.

La questione è stata sollevata dal Tribunale del riesame di Napoli nell'ambito di due diversi procedimenti.

Nel primo caso, il rimettente, in veste di giudice del rinvio a seguito dell'annullamento da parte della Corte di cassazione, ha dubitato della compatibilità del principio espresso da quest'ultima con quelli costituzionali. La Corte di legittimità, invero, ha affermato che il divieto delle contestazioni a catena opera nel caso in cui sia stata disposta con più ordinanze la medesima misura cautelare per fatti diversi commessi anteriormente all'emissione della prima ordinanza. Il divieto, continua la Cassazione, riguarda solo i fatti connessi ai sensi dell'art. 12 comma 1 lettere b) e c) c.p.p., limitatamente ai reati commessi per eseguirne altri, e sempre che si tratti di fatti desumibili dagli atti del procedimento prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste connessione.

La fattispecie all'esame del giudice rimettente è composta da un primo delitto, duplice omicidio, per il quale la persona sottoposta a misura è imputato in qualità di mandante, e da altri due delitti, un altro omicidio ed un'associazione per delinquere di stampo mafioso, in qualità di autore materiale. Quindi, dichiara la Cassazione, non potendosi ritenere che la sola esistenza di un'associazione per delinquere sia prova dell'unicità del disegno criminoso tra i reati commessi per la realizzazione degli scopi dell'organizzazione criminosa, va esclusa la sussistenza del vincolo della continuazione. La diversità tra il generico programma dell'associazione ed il disegno criminoso di cui all'art. 81 c.p. (per la sussistenza del quale è necessaria la rappresentazione originaria delle singole fattispecie di reato) non permette l'applicabilità dell'art. 297 comma 3 c.p.p., nonostante l'ufficio del pubblico ministero avesse a disposizione tutti gli elementi necessari e sufficienti per la contestazione degli altri delitti.

I due medesimi principi enunciati dalla Cassazione in merito all'ambito di applicabilità del divieto di contestazioni a catena ed alla sussistenza del vincolo della connessione qualificata o della continuazione tra i reati oggetto delle diverse contestazioni hanno spinto il giudice partenopeo a sollevare il dubbio poi condiviso dalla Consulta. Si può constatare, dunque, come l'ampiezza della tutela concessa alla libertà personale dell'individuo dipenda, da una parte, dall'interpretazione del vincolo della continuazione con riferimento al reato di associazione ed ai singoli reati scopo (o meno), dall'altra, dalla lettura che si voglia dare dell'art. 297 comma 3 c.p.p. Prima di analizzare la compatibilità con le garanzie costituzionali di un sistema che conceda alla discrezionalità del pubblico ministero la modulazione della decorrenza dei termini delle misure cautelari, vale la pena puntualizzare tale duplicità del campo di intervento dell'interprete in materia di calcolo della durata complessiva della misura.

Invero, nei casi all'esame dei due giudici a quibus, viene in rilievo il rapporto tra reato continuato e reato di cui all'art. 416 bis c.p. La Cassazione ha ritenuto che la commissione di singoli omicidi, non rientrando nelle finalità per le quali l'associazione è stata costituita, non possa porsi in continuazione con il reato associativo. Ciò per il rilievo che quest'ultimo delitto si consuma con la semplice affiliazione al sodalizio ed è preesistente ai singoli omicidi; quindi, non può, secondo la Corte di cassazione, sostenersi che gli omicidi rientrino nel generico programma della societas sceleris: ´la natura permanente dell'associazione e la sua preesistenza rispetto ai singoli episodi criminali, impedisce di collegare fra di loro i reati in modo tale da poter sostenere che questi ultimi siano compiuti per eseguire il reato associativoª 2.

Questa linea interpretativa va, d'altra parte, coniugata con l'ambito applicativo della retrodatazione; in particolare, la mancata considerazione, da parte della disposizione codicistica, dei fatti non connessi implica necessariamente l'impossibilità di retrodatare al di fuori dei casi di connessione qualificata?

Tali affermazioni di principio, unitamente alla circostanza oggettiva per la quale in entrambi i procedimenti il pubblico ministero era in grado di effettuare le contestazioni in un momento antecedente il rinvio a giudizio dell'imputato, hanno spinto il Tribunale del Page 26 riesame di Napoli a rimettere la questione all'esame della Consulta. È la seconda considerazioni a porsi, secondo le ordinanze di rimessione, in irrimediabile contrasto con la Costituzione. Infatti, viene denunciata la violazione, da parte dell'art. 297 comma 3 c.p.p., dell'art. 13 comma 5 Cost. che pone la riserva di legge per la fissazione dei termini di durata massima della custodia cautelare. Viceversa, l'interpretazione sopraindicata dall'art. 297 comma 3 c.p.p. consente al pubblico ministero, che sia in possesso degli elementi idonei per la richiesta di applicazione della misura cautelare e, quindi, la durata della stessa. Il potere di procrastinazione del termine iniziale di decorrenza della durata della misura, con altra già in atto, equivale a far assurgere, secondo il giudice rimettente, il pubblico ministero ad arbitro della durata della limitazione personale del soggetto sottoposto a misura. Ovviamente, questa evenienza è limitata al caso, non considerato dalla norma, di reati non in connessione qualificata con quello oggetto della prima ordinanza.

La Corte costituzionale dichiara fondata la questione.

@2. La riforma della legge n. 332 dell'8 agosto 1995

- All'indomani3 dell'emanazione della legge n. 332 del 1995 (intervento innovatore di vari aspetti della disciplina delle misure cautelari), nonostante i lodevoli intenti del legislatore di porre rimedio alla distorta prassi delle c.d. ´contestazioni a catenaª, plurime voci critiche si sono sollevate proprio con riferimento alla reale efficacia della soluzione scelta per la tutela della libertà personale dell'individuo 4.

Con la dicitura ´contestazioni a catenaª si intende riferirsi a quel meccanismo posto in essere da alcuni uffici requirenti per ottenere un prolungamento della durata massima della custodia cautelare ed innescato attraverso la segmentazione dell'accusa e la continua rinnovazione della decorrenza del termine di durata della misura cautelare 5. Riguardo al rimedio esperibile, in tali casi, dal soggetto sottoposto a misura, va precisato che questi non può proporre istanza di riesame ma presentare domanda di scarcerazione per decorrenza dei termini al giudice che procede 6.

Il dies a quo dovrebbe, invero, individuarsi nel momento di ogni singola nuova contestazione. Il legislatore, per porre un limite agli effetti pregiudizievoli di una tale operatività della norma per la libertà della persona sottoposta a misura cautelare, ha previsto che, laddove siano plurime le ordinanze che dispongano la stessa misura per lo stesso fatto, benché diversamente circostanziato o qualificato, i termini decorrano dal giorno in cui sia stata eseguita o notificata la prima ordinanza e siano commisurati all'imputazione più grave. Non solo, la disposizione si applica anche per fatti diversi in connessione qualificata e commessi anteriormente all'emissione della prima ordinanza. La ratio della norma è confermata dall'ultima parte del comma 3 dell'art. 297 c.p.p. che esclude l'estensione della regola nel caso in cui il fatto non era desumibile dagli atti già esistenti prima del rinvio a giudizio per il primo fatto. Prima della dichiarazione di illegittimità costituzionale in commento, la disciplina appena ricordata era limitata ai casi di fatti connessi ai sensi dell'art. 12 comma 1, lettere b) e c) c.p.p.

L'impianto originario della disciplina del computo dei termini di durata delle misure cautelari è stato, così, modificato dall'intervento riformatore del 1995 teso a fornire una più ampia tutela alla libertà del soggetto sottoposto a restrizioni 7. Con l'estensione della retrodatazione anche ai casi di ´fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza in relazione ai quali sussiste connessione ai sensi dell'art. 12, comma 1, lettere b) e c), limitatamente ai casi di reati commessi per eseguire gli altriª, evidentemente, si è voluto introdurre nell'ordinamento un sistema di controllo e limitazione degli effetti della segmentazione delle contestazioni da parte del pubblico ministero. L'altra modifica al comma in questione - con l'ag giunta dell'esclusione della retrodatazione per i ´fatti non desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fattoª oggetto dell'originaria contestazione - ha creato subito dei problemi interpretativi.

La Consulta, nel 1996, ha dovuto esaminare una presunta disparità di trattamento contenuta nell'art. 297 comma 3 c.p.p. ed in apparente contrasto, quindi, con l'art. 3 Cost. 8. In quella occasione, i dubbi di legittimità costituzionale avanzati dal rimettente derivavano dalla differenziazione tra contestazioni tardive e contestazioni tempestive in base alla desumibilità o meno del fatto degli atti prima del rinvio a giudizio. Ciò, si denunciava, annullerebbe la distinzione tra ´possibilità ed effettività della nuova contestazioneª: si avrebbe la fissazione del termine di decorrenza (per tutte le misure applicate) al momento della prima cattura, nell'ipotesi in cui gli elementi per le contestazioni successive siano intervenuti prima del rinvio a giudizio per il fatto...

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