Contenuto e limiti di applicabilità della legittima difesa

AutoreRosario Li Vecchi
Pagine799-802

Page 799

@1. Introduzione.

Il diritto di difesa è un diritto innato nell'uomo, sicché il difendersi dall'altrui aggressione fa parte del suo istinto. Il Diritto romano, improntato ad un senso di concretezza anche perché nel legiferare teneva sempre d'occhio la realtà, ammetteva, incondizionatamente e senza mezzi termini, l'autodifesa individuale specie, poi, nei casi in cui essa appariva necessaria. Or i Romani che, istintivamente, erano portati a codificare i diritti della persona, non potevano lasciare passare sotto silenzio la «legittima difesa» anche perché tale sacrosanto diritto non poteva però essere lasciato al caso oppure all'arbitrio dell'aggredito e quindi ritennero indispensabile, necessaria ed essenziale la sua codificazione. A tale incombente si dedicarono alacremente i giuresconsulti i quali cercarono, anzitutto, di stabilire il fondamento giuridico di tale diritto intravedendolo era nella naturalis ratio; ora nel «diritto naturale», ora in un «universale riconoscimento» 1. Quindi sin dalla prima codificazione la legittima difesa veniva ammessa per la tutela dei beni della vita, dell'incolumità personale, del pudore ed anche del «patrimonio», specie quando la di lui aggressione veniva a determinare un pericolo per la persona, una tutela, questa, che veniva estesa anche ai familiari del reagente. Veniva, tra l'altro, prevista anche la «fuga», cioè il commodus discessus per l'aggredito, però non in maniera incondizionata ma escludendo il caso in cui venissero contemporaneamente aggrediti sia la persona che il suo patrimonio, mentre la di lui reazione, per essere giustificata, veniva subordinata alla condizione che la stessa si mantenesse sempre nei limiti della necessità, fosse quindi proporzionata e senza debordare nell'eccessività, anche perché si esigeva, sempre e comunque, il moderamen inculpatae tutelae. Il diritto della legittima difesa venne anche riconosciuto dalla chiesa, sottoposto, però, a speciali e particolari condizioni e cautele.

Dopo questa breve ma necessaria introduzione, è venuto adesso il momento di passare a delineare un excursus storico-legislativo della legittima difesa.

@2. Excursus storico-legislativo della legittima difesa.

Se diamo uno sguardo di insieme alla codificazione anteriore all'Unità d'Italia, è facile notare nella stessa gli influssi del codice penale francese (artt. 328 e 329) e tale codificazione ammetteva la scriminante della legittima difesa, però come figura particolare e speciale che riguardava alcuni reati contro la persona. Infatti il Codice Sardo del 1859, nell'art. 559 così ebbe a statuire: «non vi è reato quando l'omicidio, le ferite o le percosse sono comandate dalla necessità attuale di legittima difesa di se stesso o di altri ed anche del pudore in atto di violento attentato», mentre l'art. 560, a sua volta, così statuiva: «sono compresi nei casi di necessità attuale di legittima difesa i due seguenti: 1) se l'omicidio, le ferite, le percosse abbiano avuto luogo nell'atto di respingere di notte tempo la scalata, la rottura di recinti, di muri o di porte d'entrata in casa o nell'appartamento abitato o nelle loro dipendenze; 2) se hanno avuto luogo nell'atto della difesa contro gli autori di furti o di saccheggio eseguiti con violenza verso le persone». Sulla stessa falsariga poi si allinearono sia i codici penali del Regno delle Due Sicilie del 1819 (artt. 373, 374), sia quello Parmense del 1821 (art. 355) che quello Estense del 1856 (artt. 377, 378), mentre il Codice Toscano ebbe ad occuparsi della legittima difesa, però in maniera superficiale e generica, ipotizzando il caso di «omicidio e di lesione personale per eccesso di difesa» ed al quale faceva conseguire la punibilità così formulata: «Chiunque per sottrarsi da un pericolo, prodotto da forza maggiore, o per difendersi dall'altrui violenza, ha oltrepassato i limiti della necessità, è punito con il carcere da sei mesi a tre anni, se ha commesso omicidio; fino ad otto mesi se ha commesso lesione personale grave o gravissima 2. Il Codice penale Zanardelli del 1889, pur tenendo presenti le precedenti codificazioni, comprese quelle straniere, cercò di dare una disciplina alla legittima difesa intravedendo nella stessa un'autonoma scriminante generale, sicché con l'art. 49, comma 1, n. 2, così ebbe a statuire: «Non è punibile colui che ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di respingere da sè o da altri una violenza attuale ed ingiusta». Come appare chiaro ed evidente, da tale legislazione venivano lasciati fuori e quindi esclusi, i diritti «patrimoniali», cioè i «beni» e per i quali non poteva ammettersi la loro legittima difesa 3. Una limitazione, questa, che veniva a costituire una grave pecca od omissione. Ad eliminarla provvedeva, poi, il codice Rocco del 1931 il quale con l'art. 52 in proposito così ebbe a statuire: «Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa».

@3. Esegesi dell'art. 52 c.p.

Prima di passare a trattare ex professo la problematica riguardante l'ammissibilità o meno della legittima difesa a favore del rapinato, il quale, inseguendo il rapinatore onde venire in possesso delle «cose» o dei «beni» sottrattigli, sparandogli lo ferisce oppure lo uccide, riteniamo utile ed opportuno fare una breve esegesi della normativa de qua soffermandoci, però, su alcune problematiche essenziali, tra le tante, che ne sono scaturite sia in dottrina che in giurisprudenza e variamente risolte. Anzitutto per la configurabilità della legittima difesa devono sussistere i seguenti requisiti essenziali: 1) il pericolo attuale di un'offesa; 2) l'ingiustizia dell'offesa; 3) la necessità della difesa; 4) la proporzione tra difesa e offesa. Una problematica che ha sempre impegnato per molti anni la dottrina e che a tutt'oggi non le è stata data una soluzione definitiva, è propriamente quella concernente il «fonda-Page 800mento giuridico» dell'istituto della legittima difesa e che da parte di una corrente dottrinaria è stato intravisto sotto un profilo politico-criminale 4, mentre da un'altra corrente era da intravedersi in una «delegazione ipotetica e condizionata della potestà di polizia che lo Stato fa al privato per ragione di necessità, quando riconosce di non poter efficacemente prestare a lui o ad altri la sua tempestiva protezione» 5. Un'altra corrente, invece, in netto ed aperto contrasto con quella precedente, tiene ad osservare che i poteri del delegante e del delegato non possono essere mai diversi in quanto colui che viene aggredito reagisce ponendo in essere azioni che sono vietate agli organi di polizia, sicché per questa corrente «la ragione per cui la legittima difesa esclude la illiceità del fatto e, quindi, importa esenzione di pena», è data dal fatto che «la reazione è autorizzata dall'ordinamento giuridico perché l'offesa all'aggressore è indispensabile per salvare l'interesse dell'aggredito; siccome questo interesse per la comunità ha un...

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