Consenso del paziente e responsabilità penale del chirurgo: un contrasto da risolvere

AutoreCarla Marincovich
Pagine935-936

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Il dibattuto tema della responsabilità professionale del medico chirurgo e dei limiti che la sua attività incontra a fronte del diritto del paziente di autodeterminarsi in ordine alla terapia ed all'intervento propostogli si è recentemente arricchito di nuovi spunti di riflessione. La prima sezione penale della Corte di cassazione, con sentenza n. 26446 dell'11 luglio 2002 1, ha affrontato in termini del tutto nuovi il problema del trattamento chirurgico eseguito senza una previa espressione di consenso del paziente e lo ha risolto nel senso della legittimità della condotta terapeutica del medico, non in ragione della sussistenza di cause di giustificazione (consenso dell'avente diritto -art. 50 c.p.; stato di necessità -art. 54 c.p.), ma in considerazione della natura intrinseca e del ruolo proprio dell'attività esercitata.

Il caso si è presentato alla Corte con profili del tutto particolari. Il paziente aveva prestato, infatti, il suo consenso per un intervento di ernia ombelicale; ed il chirurgo, nel corso dell'operazione, avendo rilevato la presenza di un tumore, aveva fatto quanto riteneva necessario per la asportazione, senza acquisire il consenso del paziente in ordine al diverso e ben più invasivo intervento e senza che ricorressero ragioni di urgenza. In punto di fatto non era più contestato che l'operazione (di duodenocefalopancreasectomia, con asportazione di parte dell'apparato digerente) era stata eseguita secondo le regole dell'arte, pur se ciò non aveva impedito il sopravvenire di imprevedibili complicanze e, dopo altri interventi inutilmente corretivi ed a circa un mese dal primo, della morte. La Corte, dunque, si è trovata ad affrontare il tema della responsabilità di un chirurgo, al quale nulla poteva essere rimproverato dal punto di vista tecnicoprofessionale; ma nei cui confronti una imputazione di omicidio preterintenzionale poggiava esclusivamente sul fatto di avere esercitato sul paziente, con esito infausto, la violenza propria di ogni intervento chirurgico in assenza delle note cause di giustificazione: una buona occasione per rimeditare i termini del problema.

L'accusa poteva contare, oltre che su una ricca letteratura in materia di rilevanza del consenso del paziente, su un precedente giurisprudenziale relativamente recente. Cass. pen., sez. V, 13 maggio 1992 n. 5639 2 aveva, infatti, confermato l'antigiuridicità - indipendentemente dall'esito fausto od infausto dell'operazione - della lesione procurata mediante trattamento medico chirurgico praticato in assenza del consenso del paziente o di uno stato di necessità, escludendo la possibilità di configurare cause di giustificazione non codificate, riferite alla finalità terapeutica perseguita dal chirurgo. La Corte, in particolare, aveva insistito sul carattere generico che...

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