Brevi osservazioni sulle nuove disposizioni al codice di rito conseguenti all'intervento sul giudizio di legittimità e alla pronunzia della suprema corte n. 2855/01: dubbi ed eccessi sul significato precettivo dell'art. 624 bis C.P.P.

AutoreCarlo Dell'Agli
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La sentenza che si annota, merita di essere segnalata poiché - a quanto risulta - rappresenta la prima pronuncia ad avere dato una svolta decisiva della giurisprudenza in ordine al giudizio di legittimità e non ultimo al modo di affrontare un tema ove prende in esame uno degli aspetti di maggiore novità offerti dalle nuove norme introdotte dal c.d. «pacchetto sicurezza» 1, id est la previsione dell'art. 624 bis c.p.p. (ad opera del comma 5 di cui all'art. 6 della legge 128/01) il quale statuisce che «La Corte di cassazione, nel caso di annullamento della sentenza di appello, dispone la cessazione delle misure cautelari».

Non può, non darsi conto dell'oramai esaltata operatività legislativa - che investe, particolarmente, l'ambito penale - sulla singolare previsione, nel codice di rito, all'introduzione di una disposizione (ex art. 624 bis) che ha suscitato, invero, notevoli perplessità non solo in ordine alla disciplina custodiale che regola la cessazione delle misure e che si sostanzia nei noti artt. 300, 303, comma 2 e 306 c.p.p. 2.

L'assunto motivazionale della Corte, meritando ogni considerazione degna di lode e di totale condivisione, ha inteso - dalla formulazione letterale della disposizione vigente introdotta dal ribadito dettato art. 6, comma 5 della L. 128/01, a norma della quale «La Corte di cassazione, nel caso di annullamento della sentenza di appello, dispone la cessazione delle misure cautelari» - disinnescare con coraggio, un complicato congegno normativo estremamente esplosivo, adottando idonei mezzi che, sostanziandosi in meri principi ermeneutici logico sistematici, è riuscita ad isolare la sua bizzarra ed intensa portata che, ove posta in essere senza distinzione di sorta, avrebbe potuto condurre sine dubio ad effetti negativamente clamorosi o a dir poco devastanti 3.

Con la relativa conseguenza modale - sulla scorta di tale sistema eccentricamente strutturato (id est, la neo disposizione stimata nella sua formulazione letterale, singolare e «indiscriminata») - che il giudice di legittimità sarebbe indotto, con un modus operandi assai difficile da controllare, a disporre la cessazione delle considerate misure (quod est personali o reali) in qualunque ricorrente ipotesi di annullamento, sia che esso sia stato disposto con rinvio o senza rinvio aduggiando, così, una metodologia cui può dar luogo ad una pronuncia totale o soltanto parziale.

La considerazione deduttiva è, dunque, perentoria nel senso che la pronuncia, se emessa in malam partem (una ipotesi eventuale verificabile nella prassi giudiziaria), può condurre ad una eventuale sussistenza - con riconoscibile giudizio prognostico negativo - di un concreto legittimo timore teso a rendere frustraneo l'avvenimento processuale in danno del prevenuto.

L'art. 624 bis, introdotto con la legge 26 marzo 2001, n. 128, aveva visto la luce in stretta connessione con quella dell'art. 605 comma 1 bis c.p.p. (successivamente soppressa) ove veniva ad introdurre una specie di obbligatorietà applicativa della custodia cautelare in ipotesi di conferma di condanna in grado di appello, con specifico riguardo a reati di grave entità.

Successivamente tale disposizione veniva sostituita con l'introduzione delle nuove norme interpolatrici dell'art. 275, poi approvata in via definitiva (sub art. 14 della medesima legge).

Tale disposizione, in ordine all'ambito applicativo delle misure cautelari, conferiva sostanzialmente alla sentenza di condanna pronunciata in grado di appello autorità in executivis 4 soltanto in ipotesi nella quale la stessa avesse dato piena conferma dell'esito del giudizio di primo grado 5.

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Orbene, alla luce di tali considerazioni, giova brevemente ripercorrere l'iter esegetico cui la Corte è giunta affrontando, così, un tema connaturato al se «la pronuncia di annullamento rende necessario accertare se nel caso in esame debba o non applicarsi la disposizione di cui all'art. 624 bis c.p.p., introdotta dall'art. 6, comma 5 della L. 128/01 a norma della quale "la Corte di cassazione, nel caso di annullamento della sentenza di appello, dispone la cessazione delle misure cautelari"», ossia se, in ipotesi di annullamento di una sentenza di appello, l'art. 624 bis abbia un serio predominio normativo sul sistema che disciplina la cessazione delle misure cautelari e specificamente sull'art. 303, comma 2.

Osserva la Corte che l'interpretazione che individua le essenziali norme costituenti le linee guida, che fanno capo all'attività ermeneutica dell'ordinamento giuridico enunciate dall'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, esprimono il criterio reso «palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse».

Ciò posto, entrando nel vivo della problematica de qua, va - in relazione al dato testuale - analiticamente notato che tale soluzione, secondo il giudice di legittimità, comporterebbe un univoco significato autoritativo nei confronti del collegio il quale si troverà a dover declarare la cessazione della misura cautelare in itinere (personali e reali) e quindi, in qualsiasi ipotesi di annullamento, sia che esso sia stato disposto con rinvio o senza rinvio, che concerna il provvedimento in toto o una sua parte.

Orbene, la presenza di tali evidenti segnali non rientrano nella soluzione del giudice di legittimità il quale stima la non proposizione di una simile lettura in quanto «la ricostruzione della obiettiva portata di una disposizione legislativa non può ridursi alla mera esegesi del testo [...] quando si considera che essa è destinata, per propria natura, a conferire un preciso assetto agli interessi coinvolti nelle materie regolate [...] oltre che alla lettera della legge, alla sua ratio e alla sua collocazione nel sistema» (v. sentenza in commento dei motivi della decisione).

Il giudice di legittimità, nel giungere a rifiutare di accogliere l'idoneità della...

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