La confisca di valore e I reati tributari

AutoreRoberta Chicone
Pagine486-491

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Con la sentenza annotata, la Suprema Corte di Cassazione affronta la questione della legittimità del provvedimento di sequestro preventivo di una somma di denaro, ritenuta “profitto” del reato di cui all’art. 2 D.L.vo 74/2000, disposto nella forma per equivalente ai sensi degli artt. 321 c.p.p. e 322 ter c.p., come richiamato dall’art. 1, comma 143, della L. n. 244/071.

Secondo la Corte, la confisca per equivalente, quale è quella prevista dall’art. 322 ter c.p., realizzando una funzione «essenzialmente ripristinatoria dell’ordine economico alterato dalla commissione del fatto illecito», assume «un carattere eminentemente sanzionatorio» e, quindi, non può essere applicata in maniera retroattiva, onde evitare la violazione dell’art. 25 Cost. e della Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo: in particolare, la misura non può essere disposta in base al nuovo art. 322 ter c.p., entrato in vigore il primo gennaio 2008, per fatti commessi nel 2003 e 2004.

@1. Il quadro normativo di riferimento

– La legge n. 244 del 24 dicembre 2007 (finanziaria 2008), con l’art. 1, comma 143, ha previsto che «nei casi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 8, 10 bis, 10 ter, 10 quater e 11 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’articolo 322 ter del codice penale».

L’art. 322 ter c.p. prevede la confisca dei beni costituenti “prezzo” e “profitto” dei reati contro la p.a.: la misura ablativa in esame si caratterizza, fondamentalmente, per due profili:

  1. la natura obbligatoria, posto che laddove vi sia una sentenza di condanna o l’applicazione della pena su richiesta delle parti, il giudice deve ordinare la confisca di detti beni, salvo che non appartengano a terzi estranei al reato;

  2. la possibilità di disporre la cd. confisca per equivalente, laddove non sia apprensibile il profitto o prezzo del reato: l’art. 322 ter c.p. espressamente prevede che la misura può aver ad oggetto beni di cui il reo abbia comunque la disponibilità e che siano di valore corrispondente al prezzo, per i reati di cui agli artt. da 314 a 320 c.p., o al profitto nel caso di cui all’art. 321 c.p., purché tale bene non sia di valore «inferiore a quello del denaro o delle altre utilità date o promesse al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio o agli altri soggetti indicati nell’articolo 322 bis, secondo comma».

Ciò premesso, l’aspetto che interessa in questa sede riguarda la concreta applicabilità delle previsioni contenute nell’art. 322 ter c.p. ai reati tributari, per via del rinvio previsto dall’art. 1, L. 244/07: il legislatore, invero, ricorre alla tecnica normativa c.d. per relationem, già utilizzata per l’estensione della medesima ipotesi di confisca, «in quanto applicabile», ai delitti richiamati dall’art. 640 quater c.p.

In questa come in quella occasione, è necessario chiarire se la norma contenuta nell’art. 322 ter c.p., che espressamente delimita la confisca per equivalente del profitto al solo reato di corruzione attiva (art. 321 c.p.), debba ritenersi applicabile anche laddove richiamata dall’art. 640 quater c.p. e dall’art. 1, comma 143, L. n. 244/2007 – rendendo così impossibile la confisca di valore del profitto dei reati «contro il patrimonio commessi mediante frode»2 e dei reati tributari – ovvero la confisca debba essere disposta in ogni caso in cui dal reato provenga un profitto.

Esistono al riguardo due orientamenti.

Il primo3 si basa su di un’interpretazione strettamente letterale, secondo la quale il rinvio all’art. 322 ter c.p. fa sì che debba essere confiscato per equivalente il solo “prezzo” del reato, e non anche il “profitto”: secondo questa teoria, il profitto può essere confiscato per equivalente nel solo caso di cui all’art. 321 c.p.4.

Specularmente opposta è la tesi secondo cui confisca e sequestro per equivalente hanno ad oggetto anche il profitto dei reati di cui all’art. 640 quater c.p. (e ora anche dei reati tributari), in quanto la medesima norma rinvia indistintamente a entrambi i commi dell’art. 322 ter c.p.5: in particolare, non sarebbe di ostacolo il fatto che «l’art. 322 ter c.p. contenga, ai fini della determinazione dei beni confiscabili, il riferimento anche a termini di raffronto estranei alla fattispecie di cui all’art. 640 bis c.p. (quali il danaro o altra utilità dati o promessi per realizzare la corruzione), atteso che la ratio della previsione di cui all’art. 322 ter c.p. è quella di rendere suscettibili di confisca i beni di cui il reo abbia la disponibilità per un valore corrispondente a quello del profitto del reato commesso»6: in quest’ottica, la specifica clausola di compatibilità prevista dall’art. 640 quater c.p., e ora anche dall’art. 1 L. 244/07, servirebbe proprio a risolvere questioni interpretative del genere di quella affrontata.

A ben vedere poi, posto che la finalità dell’introduzione dell’art. 322 ter c.p. era quella di introdurre strumenti più decisivi per colpire i vantaggi economici derivanti dall’attività criminosa7, l’omissione della confisca per equivalente del profitto del reato, per fattispecie numericamente superiori rispetto all’unico reato che si caratterizza per il prezzo – ovvero la corruzione passiva8 –, sembrerebbe derivare più da un errore o dimenticanza, che da una effettiva scelta di campo del legislatore9.

A fortiori nei reati tributari, quasi unicamente commessi per ottenere vantaggi di imposta, la previsione della confisca di valore vedrebbe palesemente ridotto il suo ambito di applicazione, fin quasi da poter parlare di un’interpretatio abrogans, se venisse limitata al solo prezzo del reato10.

@2. Il caso in esame e la confisca per equivalente

– Come si diceva nel paragrafo precedente, la L. 244/07 estende ai reati tributari11 disciplinati dal D.L.vo. 74/00 l’art. 322 ter c.p.: pertanto, il caso in esame astrattamente rientrerebbe nell’ambito applicativo della disposizione, posto che il reato presupposto della condanna è quello di infedele dichiarazione e il sequestro preventivo, precedentemente disposto in base agliPage 487 artt. 321 c.p.p e 322 ter c.p.12, ha ad oggetto una somma di denaro equivalente al profitto del reato. Invero, è in concreto che la Corte ritiene non applicabile la confisca di valore di cui all’art. 322 ter c.p., poiché avendo una natura fondamentalmente sanzionatoria, non può essere disposta sulla base di un reato commesso prima dell’entrata in vigore della legge che ad esso estende l’applicabilità della misura. Difatti, una differente interpretazione comporterebbe la violazione di un basilare corollario del principio di legalità, quale è il divieto dell’applicazione della legge penale in via retroattiva.

Diversi sono i motivi utilizzati dalla Cassazione per arrivare ad una tale conclusione13 e sostanzialmente coincidono con argomentazioni già sostenute da dottrina e giurisprudenza degli ultimi anni.

Punto di partenza dell’iter motivazionale della sentenza annotata è la condivisa opinione secondo cui la confisca può realizzare le più disparate funzioni e, conseguentemente, assumere diversa natura a seconda del suo concreto atteggiarsi14; difatti, la figura generale di confisca prevista dall’art. 240 c.p. è fondamentalmente differente da quella di valore, poiché differenti sono i presupposti e l’àmbito di applicazione oltre che gli effetti sanzionatori dell’una e dell’altra.

Nel caso di confisca per equivalente la finalità perseguita è «sostanzialmente ripristinatoria della situazione economica», poiché l’ablazione è equivalente al vantaggio patrimoniale derivante al reo dalla commissione del reato; il limite all’applicabilità della misura, dunque, non è la derivazione della res dal reato (posto che, diversamente dalla confisca ex art. 240 c.p., non è più richiesto alcun collegamento di tal genere) ma la mera equivalenza di quanto confiscato a quanto ottenuto tramite l’attività illecita.

Proprio a ribadire la superfluità del collegamento tra res e reato, la Suprema Corte ha espressamente vietato la verifica che il denaro, costituente profitto del reato, sia effettivamente confluito nella disponibilità del reo, poiché «altrimenti, si verrebbe a ristabilire la necessità di un nesso pertinenziale tra la res ed il reato che la legge, con l’introduzione della confisca per equivalente, ha escluso»15.

L’estensione della natura obbligatoria e l’ampliamento dei beni sottoponibili alla confisca per equivalente, garantendo in ogni caso la sottrazione al reo dell’illecita locupletazione16, consentono che la misura sia più efficacemente diretta ad aggredire il patrimonio del trasgressore17 e a combattere la cd. criminalità “del profitto”18: difatti, qualunque sia la disposizione speciale che prevede la confisca di valore19, essa ha ad oggetto beni che col reato non hanno alcun collegamento, purché posseduti a qualsiasi titolo dal reo20. A tal proposito, si pensi al caso di beni, costituenti “prodotto” o “profitto” del reato, materialmente usciti dal patrimonio del reo21 o a quello in cui sia impossibile identificare i beni derivanti da rapporti di scambio o da processi di trasformazione dell’originario prodotto o profitto22 oppure a quelli in cui tale identificazione è impossibile perché ha provveduto l’autore ad occultarli o, ancora, a quelle ipotesi in cui il vantaggio economico ottenuto tramite il reato non consista in un incremento patrimoniale, ma in un risparmio di spesa o in un vantaggio d’uso: in tale situazione, non esiste un bene materialmente sottoponibile a confisca, sebbene sia suscettibile di valutazione economica il vantaggio ottenuto23.

Il caso in esame è un chiaro esempio di sequestro avente ad oggetto un risparmio di spesa, ovvero l’imposta evasa per mezzo dell’infedele dichiarazione fiscale: non esistendo un provento materiale dell’attività delittuosa, la misura ha ad oggetto una res diversa e del tutto autonoma dal reale profitto del reato, concretizzatasi nello specifico nel denaro del socio accomandatario.

@3. Considerazioni sulla...

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