La confisca allargata come paradigma della politica criminale del recupero dei beni: la sua complessa disciplina in Spagna
Autore | Ana E. Carrillo del Teso |
Carica | Dottoressa di ricerca per l'Università di Salamanca. Area di Diritto processuale. Con la traduzione di Antonino Di Maio, Dottore di ricerca in Scienze giuridiche |
Pagine | 82-93 |
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var
12/2018 Rivista penale
VARIE
LA CONFISCA ALLARGATA
COME PARADIGMA
DELLA POLITICA CRIMINALE
DEL RECUPERO DEI BENI:
LA SUA COMPLESSA
DISCIPLINA IN SPAGNA (*)
di Ana E. Carrillo del Teso (**)
SOMMARIO
1. La politica criminale del recupero dei beni. Considerazioni
preliminari; 1.1) Il recupero dei beni in senso stretto ed in
senso ampio. 1.2) Le fasi per la reintegrazione dei beni. 2.
La confisca allargata: precedenti legislativi e regolamentazio-
ne nell’ordinamento giuridico spagnolo; 2.1) L’Adunanza ple-
naria non giurisdizionale della Seconda Sezione della Corte
Suprema del 5 ottobre 1998. 2.2) La regolamentazione della
Legge Organica n. 5/2010 di Riforma del Codice penale.
3. La disciplina attuale: la dualità della confisca allargata
dopo la Legge Organica 1/2015; 3.1) La confisca ampliata
«di base». 3.2) La confisca estesa a causa della continua
attività criminosa precedente. 4. Conclusioni.
1. La politica criminale del recupero dei beni. Conside-
razioni preliminari
La politica criminale del recupero dei beni, sotto que-
sta denominazione, è stata estesa e resa popolare negli
ultimi quindici anni grazie all’azione delle Nazioni Unite,
che ha costituito una pietra miliare nel dedicare a questo
argomento un intero capitolo della Convenzione contro
la Corruzione del 2003, il quale per la prima volta è stato
trattato in modo completo e approfondito. La corruzione
può essere considerata un fenomeno universale, poiché
attraversa tutti i periodi storici; si manifesta in tutte le
aree del mondo, non vi è nessuno Stato privo di corruzione
a qualunque livello; colpisce tutti i sistemi politici, in mi-
sura maggiore o minore; e tutte le azioni umane possono
essere coinvolte, siano esse «pubbliche o private, profes-
sionali o amatoriali, individuali o collettive» (1).
La Convenzione tratta di quei motivi che sono gravi e
rilevanti per agire contro la corruzione (2): lo sviamento
illecito di fondi statali lede i servizi fondamentali come la
sanità, l’educazione, il trasporto pubblico o la sicurezza, e
ciò incide specialmente su quelle persone prive di risor-
se economiche. A livello «micro» ciò presuppone un costo
aggiuntivo per il cittadino medio: ovvero l’extra che deve
pagare per eseguire le procedure di base davanti alla Pub-
blica Amministrazione; ma anche i richiedenti di licenza
si abituano a pagare questo surplus, per non parlare degli
oneri aggiuntivi nelle gare pubbliche.
A livello «macro», gli investimenti sono ridotti, o si
verifica anche un effetto di “disinvestimento”, poiché le
imprese non sono disposte a investire dove vi sono “oneri
fiscali aggiuntivi”, e in questo modo si infrange la legittima
concorrenza economica, distorcendo la crescita economi-
ca ed incentivando le disuguaglianze. A lungo termine, la
corruzione produce polarizzazione sociale, violazioni dei
diritti umani, pratiche antidemocratiche, in aggiunta al
diffuso sospetto che la corruzione strutturale nel sistema
violi la legittimità del governo e dello Stato di diritto.
Parlando di corruzione, sembra specialmente necessario
che i benefici che sono stati ottenuti da tali prassi siano sot-
tratti dalle mani degli autori e ritornino alla società (3). Per-
tanto, quando parliamo di recupero dei beni strictu sensu, ci
riferiamo al rimpatrio di fondi da un paese saccheggiato dalla
corruzione su larga scala, tendenzialmente un paese in via di
sviluppo, che richiede la collaborazione di un altro Stato, ove
si trovano tali fondi (4). Tuttavia, l’impiego di tale termine
ha fatto sì che l’espressione si estendesse a tutte le privazioni
dei proventi di reato e al suo successivo conferimento allo
Stato attraverso diverse forme di confisca o requisizione (5),
cioè un’azione che si era sviluppata da molto tempo in re-
lazione a forme di criminalità organizzata, in particolare il
traffico di droga o le associazioni di stampo mafioso.
Questa è la premessa della politica criminale dell’Unio-
ne europea contro il prodotto del reato, che dopo il Trattato
di Lisbona ha priorità strategica, manifestata per l’ultima
volta nella Proposta di Regolamento del 21 dicembre 2016
sul mutuo riconoscimento del sequestro e della confisca.
La prima ragione che è espressa nella proposta è che
uno dei principali motivi della delinquenza organizzata «è
l’ottenimento di benefici economici. Rimuovere i benefici
derivanti da attività criminali e garantire che il crimine
non produca tali benefici rappresenta uno strumento mol-
to efficace per combattere il crimine. La confisca dei beni
derivanti da attività delittuose ha ad oggetto la prevenzio-
ne e la lotta contro la delinquenza, in particolare la delin-
quenza organizzata, così come l’indennizzo alle vittime, e
fornisce risorse aggiuntive da investire in attività di polizia
e di altre iniziative di prevenzione del crimine e di ristoro
per i soggetti passivi. Il sequestro e la confisca dei beni
costituiscono anche uno strumento importante per com-
battere il finanziamento del terrorismo. Gli attacchi terro-
ristici nel 2015 e nel 2016 nell’UE e altrove hanno messo
in evidenza l’urgente necessità di prevenire e combattere
il terrorismo. La sfida di smantellare il finanziamento del
terrorismo e la sua stretta relazione con le reti del cri-
mine organizzato richiede misure determinate, rapide, e
concordate per modernizzare la legislazione pertinente
ed assicurarne la sua adozione, cosi come una maggiore
cooperazione tra gli Stati membri e gli altri Paesi» (6).
Come si è già detto, vi è un intero percorso nella lotta con-
tro il crimine a scopo di lucro fino a raggiungere la rilevan-
za attualmente attribuita alla requisizione dei beni oggetto
di reato (7), e vi sono diverse azioni che sono state portate
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