Brevi considerazioni in tema di rilascio dei certificati penali del casellario giudiziale

AutoreGiuseppe Dinardo
Pagine659-660

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L'esigenza di raccogliere e custodire ogni notizia concernente i precedenti giudiziali delle persone nate o residenti in un determinato stato, fu avvertita sin dal medioevo. Essa fu ispirata dalla necessità di fornire ogni informazione utile ad individuare l'idoneità di un cittadino a ricoprire cariche pubbliche.

A quest'originaria esigenza venne, con il tempo, a sovrapporsi la necessità del giudice, e più in generale d'ogni pubblica autorità, di conoscere, con la migliore approssimazione possibile, la capacità criminale e, quindi, i precedenti giudiziali di ciascun cittadino.

Quest'evoluzione fu determinata dal lento ma costante affermarsi di un diritto penale basato non più sulla responsabilità oggettiva o per fatto altrui, ma sulla considerazione che il fatto antigiuridico deve essere valutato sulla base della responsabilità colpevole 1.

Ogni fatto illecito deve essere pertanto valutato sia in base al principio del nullum crimen sine culpa, sia in considerazione del «passato giudiziale» del reo desumibile, in concreto, dai suoi precedenti iscritti nel casellario.

Fu lo Stato francese (1808) a costituire la prima moderna struttura del casellario imponendo, ad ogni cancelliere di tribunale correzionale e di corte d'assise, di annotare su di un registro le generalità dei condannati a prigione o a pena più grave e di inviare, trimestralmente, i dati raccolti al Ministero della giustizia e a quello della polizia 2.

Quest'esperienza normativa, unitamente a quella del regno delle due Sicilie, ispirò in gran parte il legislatore del 1889 anche se, inevitabilmente, il nuovo testo legislativo riportò alcune incongruenze della normativa di riferimento.

I certificati richiesti dai privati, infatti, comprendevano l'intero contenuto della scheda del casellario e, quindi, an che il condannato per reati di minima rilevanza sociale, sebbene avesse dimostrato di essersi ravveduto successivamente al reato, aveva diritto di ottenere solo un certificato che riportava - integralmente - ogni iscrizione.

In pratica, escludendo i casi di cancellazione delle iscrizioni ad opera del giudice, ne conseguiva un riconoscimento perpetuo dello status di criminale.

Le conseguenze di questa rigida impostazione erano, come ben s'intende, aberranti. Ogni esigenza di rieducazione e recupero del reo alla vita civile rischiava di essere disattesa in partenza da un atto amministrativo che attestava, indiscriminatamente, la sia pur minima vicenda giudiziale del richiedente.

Sotto l'impulso di LUIGI LUCCHINI, uno degli artefici del codice Zanardelli, fu approvata nel 1902 la legge 87 che distinse il contenuto dei certificati in ragione del richiedente. Così si consentì all'A.G. (art. 3) di poter ottenere certificati nei quali non doveva farsi menzione di alcune annotazioni e si riconobbe (art. 4) la facoltà di ottenere, da parte della P.A. o dei cittadini, certificati nei quali non fossero riportate altre iscrizioni.

L'istituzione di un doppio binario, a seconda della qualità soggettiva del richiedente, seppur encomiabile sotto il profilo logico, si rivelò, nella sua attuazione pratica, ben presto un rimedio peggiore del male in quanto non consentiva alla A.G. la totale conoscenza delle iscrizioni. Non si doveva, ad esempio, far menzione delle «sentenze od ordinanze di assoluzione... in giudizio o in sede istruttoria; delle condanne che una legge posteriore abbia cancellato dal novero dei reati; delle condanne seguite da proscioglimento in sede di opposizione...; delle condanne per contravvenzioni trascorsi cinque anni dal giorno in cui la pena fu scontata o la condanna estinta» (art. 3 L. 87/1902) mortificando, in tal modo, la funzione strumentale del casellario stesso.

Soltanto nel 1913, con la nascita del nuovo codice di procedura penale, si riconobbe il diritto della A.G. di conoscere tutte le iscrizioni (art. 621 c.p.p.).

Questa impostazione, sostanzialmente confermata dalla novella del 1952 (L. n. 158) si ritrova, a grandi linee, nella attuale disciplina.

Hanno infatti diritto di ottenere il certificato gli organi aventi giurisdizione penale, le amministrazioni pubbliche ed enti incaricati di pubblici servizi, il P.M. Lo stesso diritto è riconosciuto anche al privato, ma mentre le autorità pubbliche hanno diritto «di ottenere, . . . per ragioni di giustizia, . . . o per provvedere ad un atto delle loro funzioni, . . . tutte le iscrizioni esistenti al nome di una determinata persona (art. 688 c.p.p.), il privato interessato ha diritto ad ottenere certificati riguardanti tutte le iscrizioni eccetto quelle previste dall'art. 689 comma II lett. A, B e C c.p.p.

Così sono riportate nei certificati richiesti dalla A.G., ma non in quelli del privato, le...

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