Corte di cassazione penale sez. III, 4 febbraio 2014, n. 5460 (ud. 4 dicembre 2013)
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Rivista penale 5/2014
LEGITTIMITÀ
Non vale, inoltre, ad escludere la configurabilità del
reato di abuso di ufficio la dedotta mancanza, in capo al
Vitale, del potere decisorio finale in ordine agli emanandi
permessi di costruire in virtù della ritenuta competenza
del dirigente dell’ufficio dal momento che la giurispruden-
za della Suprema Corte che, anche la formulazione di un
parere consultivo, se espresso contra legem, può integrare
la condotta di reato di abuso d’ufficio, nel caso in cui il
giudice abbia accertato che il provvedimento finale sia
stato frutto di accordo tra gli operanti, con la conseguenza
che il predetto parere si inserisce nell’iter criminis, come
elemento diretto ad agevolare la formazione di un atto ille-
gittimo ed in grado di far conseguire un ingiusto vantaggio
(cfr., Cass., sez. V, n. 21947 del 2 febbraio 2001 - dep. 27
aprile 2001, Bertolini ed altro, rv. 219455).
Altrettanto è a dirsi - prosegue il Tribunale di Reggio
Calabria - con riferimento ai contestati reati di falso, alla
cui integrazione non osta la circostanza che il giudizio
espresso dal Vitale nel menzionato parere fosse, in effetti,
espressione della c.d. discrezionalità tecnica, stante il
pacifico orientamento della giurisprudenza di legittimità
secondo cui in tema di falso ideologico in atto pubblico,
nel caso in cui il pubblico ufficiale, chiamato ad esprime-
re un giudizio, sia libero anche nella scelta dei criteri di
valutazione, la sua attività è assolutamente discrezionale
e, come tale, il documento che contiene il giudizio non è
destinato a provare la verità di alcun fatto:
diversamente, se l’atto da compiere fa riferimento an-
che implicito a previsioni normative che dettano criteri di
valutazione, si è in presenza di un esercizio di discreziona-
lità tecnica, che vincola la valutazione ad una verifica di
conformità della situazione fattuale a parametri predeter-
minati, sicchè l’atto potrà risultare falso se detto giudizio
di conformità non sarà rispondente ai parametri cui esso è
implicitamente vincolato (cfr., Cass., sez. II, n. 1417 del 11
ottobre 2012 - dep. 11 gennaio 2013, P.c. in proc. Platamo-
ne e altro, rv. 254305).
12. Con l’ultimo motivo di gravame il ricorrente lamen-
ta la valutata ricorrenza delle esigenze cautelari eviden-
ziando come:
- l’indagato viva con la famiglia e, in libertà, svolgeva
regolare attività lavorativa;
- lo stesso sia affetto da “sindrome di Brugada”, malattia
genetica caratterizzata da un aumentato rischio di morte
improvvisa;
- l’ultima condanna dello stesso risalga a fatti del 1998
e parte di essa sia stata scontata con il beneficio dell’affi-
damento in prova ai servizi sociali, con buon esito dello
stesso;
- il Tribunale di Reggio Calabria abbia respinto in pas-
sato la richiesta di applicazione della misura di preven-
zione della sorveglianza speciale, riconoscendo come lo
stesso non fosse persona socialmente pericolosa e avesse
in corso regolare attività lavorativa;
- gli accadimenti in contestazione siano comunque
risalenti nel tempo.
Si evidenziava infine come al Cuppari fossero stati
concessi, nelle more, per motivi di saluti, gli arresti do-
miciliari.
Rileva il Collegio come le valutazioni compiute dal
Tribunale di Reggio Calabria, pur alla luce della soprav-
venuta attenuazione della misura cautelare, consentano
di superare i rilievi sollevati dal ricorrente in ordine alla
congruità della misura originariamente in vigore.
Invero, all’elevatissimo coefficiente di allarme sociale
promanante dal reato di cui all’art. 416-bis c. p., si sovrap-
pone la presunzione relativa di cui all’art. 275, comma 3
c.p.p. rimasta non vinta nella fattispecie, attesa da un lato
l’assenza di elementi da cui risulti l’insussistenza delle
presunte esigenze cautelari e, dall’altro, l’esistenza di un
“periculum libertatis” connesso al verosimile protrarsi dei
contatti tra imputato ed associazione. Ed infatti, per co-
stante giurisprudenza della Suprema Corte, per il supera-
mento della presunzione di pericolosità di cui all’art. 275,
comma 3 c.p.p., non è sufficiente lo stato di incensuratezza
o che l’indagato non si sia dato alla fuga.
Da ultimo, va evidenziato come il giudice delle leggi
(Corte cost. n. 57 del 2013), chiamato a pronunciarsi sulla
costituzionalità della presunzione in parola in relazione ai
reati aggravati ex art. 7 L. 203/1991, nel solco di preceden-
ti pronunce (cfr., Corte cost. n. 265/2010), ha nuovamente
ribadito la distinzione tra le residuali fattispecie delittuo-
se (ricomprese nel perimetro di operatività dell’art. 275,
comma 3 c.p.p.) e la fattispecie associativa di cui all’art.
416 - bis c.p.
13. Al rigetto del ricorso consegue, per il disposto del-
l’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. III, 4 FEBBRAIO 2014, N. 5460
(UD. 4 DICEMBRE 2013)
PRES. FIALE – EST. DI NICOLA – P.M. LETTIERI (DIFF.) – RIC. P.C. IN PROC.
GRASSINI
Professioni intellettuali y Professionisti y Medici
e chirurghi y Colpa professionale y Colpa lieve y
Esclusione della responsabilità penale y Limiti y
Individuazione.
. In tema di colpa medica, l’esclusione della penale
responsabilità dell’esercente la professione sanitaria,
ai sensi dell’art. 3, comma 1, della legge n. 189/2012,
nel caso di colpa lieve, quando egli si sia attenuto alle
linee guida o alle buone pratiche accreditate dalla
comunità scientifica, opera solo con riferimento agli
addebiti di colpa per imperizia e non, quindi, a quelli
di colpa per negligenza o imprudenza. (Nella specie,
in applicazione di tale principio, la Corte ha censura-
to per vizio di motivazione la decisione del giudice di
merito che, sulla sola base della fondatamente ritenuta
correttezza dell’operato del sanitario, sotto il profilo
della perizia, nell’esecuzione di un intervento di an-
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