Un caso esemplare di applicazione del principio di offensività

AutoreLaura Terzi
Pagine298-300

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  1. Con la sentenza che si annota, la Corte d’Appello di Catania ha assolto con formula piena dal reato di cui all’art. 445 c.p. un farmacista che aveva consegnato alla madre di una bambina un farmaco da somministrare alla figlia in dose ben quattro volte superiore rispetto a quella prescritta dal pediatra, ribaltando così il giudizio di primo grado che aveva invece ritenuto sussistente la responsabilità del farmacista per il reato de quo.

    Presupposto di fondo della decisione è “la sempre più pressate esigenza di affermare nel nostro ordinamento giuridico, in coerente applicazione dei dettami costituzionali, il principio di offensività”, per evitare la punizione di fatti privi di ogni carattere, anche generico, di lesività rispetto agli interessi tutelati.

    Partendo da questa premessa, i Giudici hanno ancorato la valutazione dell’offesa a ciò che realmente è accaduto ed una volta appurato che la condotta contestata non avesse determinato una reale e concreta messa in pericolo dell’interesse obiettivo protetto dalla norma, hanno escluso la responsabilità penale del farmacista.

  2. La pronuncia in esame ribadisce la necessità di un’interpretazione della fattispecie incriminatrice alla luce del principio di offensività in coerenza con un diritto penale del fatto oggettivamente orientato ed ancora ispirato all’idea dell’extrema ratio che non ammette la punizione di condotte inoffensive.

    Com’è noto il principio di necessaria lesività integra e presuppone il principio di materialità, in base al quale non può esservi reato se la volontà criminosa non si materializza in un comportamento esterno. Sicché, una volta che l’intento criminoso si sia esteriorizzato nella commissione di un fatto materiale preveduto dalla legge come reato, affinché lo stesso possa ritenersi sussistente, è necessario che il reato si sostanzi nell’offesa al bene giuridico protetto dalla norma. Per tali ragioni il principio di offensività costituisce un ineliminabile presidio di garanzia del nostro ordinamento che, atteggiandosi ad elemento strutturale della fattispecie di reato, ne integra la tipicità.

    A partire dai primi anni Settanta il principio di offensività ha trovato quale fonte legittimatrice la stessa Costituzione1.

    La costituzionalizzazione del principio di offensività è stata desunta da alcune norme- chiave: in primo luogo dall’art. 27 comma 1, Cost. che nel fissare il principio della personalità della responsabilità penale vieta di strumentalizzare l’uomo attraverso anticipazioni eccessive della soglia di punibilità per fini di politica criminale2; in secondo luogo dall’art. 27 comma 3, Cost. laddove la rieducazione del reo risulta possibile solo allorquando la sanzione venga applicata ad un fatto criminoso offensivo del bene giuridico tutelato e non ad una mera disobbedienza, poiché altrimenti si punirebbe l’agente solo per il suo atteggiamento antidoveroso3.

    Proprio alla luce di tale impostazione la Corte Costituzionale ha, ripetute volte, dato esplicito riconoscimento al principio di offensività: basti citare la sentenza n. 62 del 19864 o la sentenza n. 360 del 1995 o ancora la numero 269 del 19935 nelle quali si è espressamente sottolineato con forza il ruolo assolutamente centrale e decisivo del profilo “della offensività specifica della singola condotta accertata in concreto”, poiché ove questa sia assolutamente inidonea a porre a...

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