Brevi note sul delitto di istigazione

AutoreFederico Bellini
Pagine475-484

    L'Autore ringrazia la Casa Editrice Giuffrè per avergli concesso l'autorizzazione ad utilizzare materiale tratto dal libro: L'imputabilità del serpente nel delitto di istigazione pubblicato nella collana Diritto e Rovescio - nuova serie, 2005, nel quale l'istituto dell'istigazione era trattato in termini paradossali, in accordo con il tema-guida di tale collana.

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@1. Sulle idee della dottrina in ordine al concetto di istigazione ed alla sua individuazione in termini dogmatici

@@1.1. Una premessa

In linea di principio, instillare nella mente di qualcuno il proposito di commettere atti che in quel determinato contesto spazio-temporale si atteggiano nei termini dell'illiceità, o indurlo a disobbedire a norme vigenti, costituisce un comportamento ontologicamente antigiuridico e quindi appartenente a quella infida categoria dei naturalia iuris in cui dovrebbe rientrare, ad esempio, l'istituto della confusione, nel senso che si darebbero situazioni apprezzabili nell'ambito della giuridicità positiva in quanto già esistenti nel mondo della logica.

In realtà l'assenza di una norma che punisse la disobbedienza alla legge creerebbe un perverso circuito tautologico.

L'idea di indurre qualcuno a commettere un crimine, ossia l'istigazione a delinquere, viene da lontano.

Il destino stesso della specie umana, secondo la tradizione giudaico-cristiana, è stato irrimediabilmente segnato dall'induzione del serpente a mangiare il frutto dell'albero proibito1. E poi Bruto istigato da Cassio a pugnalare Cesare, Macbeth indotto dalla moglie ad uccidere Re Duncan, Otello convinto da Jago all'uxoricidio, e via enumerando.

A livello storico può essere notato che il sanzionamento di siffatti comportamenti è piuttosto recente, non risalendo oltre - quantomeno in ambito nostrano - la legislazione immediatamente antecedente il codice Zanardelli. Essa infatti trova luogo segnatamente nel codice toscano del 1953 e in quello sardo del 19592.

@@1.2. Il tema

Dal latino «istigare» l'istigazione è definita, sul piano meramente terminologico, come lo stimolo diretto a compiere qualcosa di illecito3.

La semantogenesi profonda ci conduce alla radice «stig» di «stigare», che richiama il senso di pungere, di spingere con una punta. Vedasi il greco «stigma».

Nei limiti della giuridicità positiva, attesa la molteplicità di forme di manifestazione di questa figura, il comune denominatore per la rilevanza penale delle variegate modalità nelle quali può manifestarsi la condotta di istigazione è l'idoneità a far sorgere in altri un proposito giudicato sfavorevolmente dall'ordinamento giuridico oppure a rafforzare il preesistente proposito criminoso (si è parlato, a tal proposito, di istigazione primaria e di istigazione secondaria)4.

A sua volta, per la giurisprudenza, l'istigazione si estrinseca (recte si materializza) stimolando l'azione e la volontà; si tratta quindi di un'azione di spinta, di provocazione, oppure di persuasione5.

Esiste una teoria generale delle condotte di istigazione6 ed in effetti le norme del sistema positivo italiano prevedono l'istigazione sia nei termini dell'allgemeine Strafrechtslehre7, sia come autonome figure di reato8, pur se in dottrina9 si esprime scetticismo in ordine alla possibilità di ricostruzione di un modello generale di condotta istigatoria e si preferisce ripiegare sull'ipotesi di inutilizzabilità di un'indagine che pretenda di ridurre ad unità tutti gli aspetti dei comportamenti istigatori.

Il vigente sistema penale italiano tratta, nella parte generale (c.p. art. 115) ed esattamente nel capo inerente il concorso di persone nel reato, l'istituto dell'istigazione sotto il profilo della sua rilevanza operativa, atteso che non sempre e non necessariamente l'istigazione costituisce una nota penalmente significante. In proposito la dottrina ha esattamente posto in rilievo il principio codificato nello stesso articolo in via tacita, ma esplicita, per il quale l'istigatore risponde del reato commesso dall'istigato quando l'istigazione è accolta10, notando inoltre come «Ferma l'analisi dell'atteggiamento psicologico dell'istigatore, è necessario precisare che l'identità tra reato commesso e reato istigato non è sufficiente a determinare la responsabilità dell'istigatore; dall'art. 115 c.p. si desume l'ulteriore requisito dell'accoglimento dell'istigazione, che costituisce il tramite nella logica della disposizione tra l'istigatore e il reato commesso.

Le conseguenze dell'azione dannosa o pericolosa posta in essere dall'istigato ricadono sull'istigatore nella misura in cui siano riconducibili al suo comportamento11».

La richiamata norma di parte generale, premessa una riserva di legge12, al secondo capoverso prevede l'applicabilità di una misura di sicurezza nell'ipotesi di istigazione a commettere un reato se l'istigazione è stata accolta ma il reato non è stato commesso. Il medesimo provvedimento sanzionatorio è previsto al comma successivo nei confronti dell'istigatore qualora l'istigazione non sia stata accolta ma si sia trattato di istigazione ad un delitto.

Vi è, come si nota, una scala gerarchica, modulata peraltro in base a due differenti doppie evenienze: da un lato che il reato istigato sia una contravvenzione o un delitto, dall'altro chePage 476 l'istigazione sia accolta o meno, sempre purché il reato non sia stato comunque commesso.

In definitiva l'istigazione non accolta viene considerata penalmente irrilevante ove sia rivolta alla commissione di una contravvenzione. Stiamo, come si vede, fra l'attività preparatoria non punibile ed il principio13 secondo il quale cogitationis poenam nemo patitur14. In realtà la ratio risiede probabilmente in una scelta di politica legislativa. Viene, in sostanza, considerato sproporzionato, in termini di economia energetica, perseguire, anche solo con una misura di sicurezza, colui che istiga alla commissione di un reato, quale la contravvenzione, che di norma non viene ritenuto atto a destare allarme sociale.

In linea generale, comunque, il puro accordo e la semplice istigazione a commettere un illecito penale nel nostro ordinamento giuridico rappresentano qualche cosa di meno del tentativo e, perciò, sono esenti da pena15.

Ignota ai Romani - nella cui concezione, if any, si sarebbe comunque dovuta ragionevolmente collocare nel sistema dei crimina, inerendo l'aggressione ad un interesse statuale quale l'ordine pubblico - l'istigazione viene recepita come istituto dai giuristi intermedi, lo spartiacque della rilevanza penale parendo comunque risiedere nella gravità (atrocitas) del delitto istigato, ancorché l'istigazione non venisse accolta16. Risulta viceversa assente la nota della pubblicità come elemento costitutivo di reato.

È comunque dato storicamente riconosciuto che l'incriminazione di attività istigatrici ed apologetiche come comportamenti integranti fattispecie autonome di reato, è un fatto storicamente abbastanza recente17.

Nell'ambito delle codificazioni pre-unitarie, la fattispecie criminosa consistente nell'istigazione a commettere un reato era prevista agli artt. 468 ss. del codice penale sardo e all'art. 54 di quello toscano, nel quale ultimo, pure, l'esistenza o meno del dato della pubblicità non rileva ai fini della realizzazione del Tatbestand, così come l'accoglimento.

L'art. 246 del codice penale del 1889 disponeva:

Chiunque pubblicamente istiga a commettere un reato è punito, per il solo fatto della istigazione: 1) con la reclusione da 3 a 5 anni, se trattisi di un delitto per il quale sia stabilita una pena superiore alla reclusione; 2) con la reclusione o con la detenzione sino a 2 anni, se trattisi di un delitto per il quale sia stabilita l'una o l'altra di queste pene; 3) con la multa sino a lire 1.000, negli altri casi. Nei casi preveduti nei nn. 2) e 3) non si può mai superare il terzo del massimo della pena stabilita per il reato cui si riferisce l'istigazione

.

Anche nel previgente sistema normativo il delitto era ricompreso fra quelli contro l'ordine pubblico, il cui concetto è così individuato dalla dottrina dominante18 «L'ordine pubblico (la cui nozione è più ampia di quella dell'"ordine pubblico") è, per il codice penale, "il buon assetto e il regolare andamento del vivere civile".

Tutti i reati, di qualsivoglia specie, turbano necessariamente l'ordine pubblico, in quanto questo presuppone la piena osservanza dei precetti penali: comandi o divieti che, appunto, concorrono a costituire l'ordine pubblico medesimo.

Sennonché, mentre gli altri reati minacciano o ledono l'ordine pubblico in particolari sue manifestazioni (es.: libertà, proprietà, fede pubblica, ecc.), e si caratterizzano, quindi, con riferimento all'oggetto giuridico che loro è proprio (es.: delitti contro la libertà, ecc.): i reati, invece, di cui qui ci occupiamo, non minacciano o ledono l'ordine pubblico in una sua determinata manifestazione specifica, bensì lo ledono, menomandolo, nella sua entità generica, complessiva, distinta dai singoli elementi che la compongono.

L'interesse, al quale ora si guarda concerne, pertanto, unicamente o prevalentemente l'ordine pubblico quale bene giuridico a sé stante, cui corrisponde nella popolazione un'opinione e un senso collettivo di tranquillità e di sicurezza che i delitti in discorso tendono a menomare.

E poiché questa diminuzione dell'opinione e del senso collettivo di tranquillità e di sicurezza produce un reale turbamento dell'ordine pubblico, così i delitti "contro l'ordine pubblico" sono reati di lesione e non di mero pericolo».

L'asserzione trova peraltro contrasto in quella dottrina che vede l'evento di reato come posto in posizione esterna rispetto al Tatbestand, il che comporta come conseguenza la messa in pericolo e non l'effettiva lesione del bene (recte dell'interesse) protetto.

Esiste disaccordo, nella dogmatica giuridica, in ordine alla tipologia del delitto di istigazione.

Mi riferisco qui alla differente visione, in dottrina, del delitto di istigazione come reato di pericolo piuttosto...

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