Brevi note in ordine alla innocuità del falso in relazione all'art. 474 C.p.

AutoreVittorio Fasce
Pagine275-276

Page 275

Le perplessità suscitate da alcuni spunti motivazionali contenuti nella sentenza Diaw Papa 1 non tanto con riferimento alla fattispecie concreta quanto piuttosto alla loro potenziale applicazione indiscriminata hanno indotto la Suprema Corte ad intervenire nuovamente sulla interessante questione al fine di sgomberare il campo da qualsiasi equivoco.

La recentissima sentenza che si annota rappresenta il completamento di un revirement posto in essere dalla giurisprudenza di legittimità attraverso alcune decisioni pronunciate nel presente anno 2.

La ragione del particolare interesse che suscita la sentenza Niang Djilly è da individuarsi nella trattazione di alcune tematiche di carattere generale la cui risoluzione costituisce un corollario indispensabile al fine di poter affrontare correttamente il profilo della grossolanità del falso nell'ambito delle condotte disciplinate dall'art. 474 c.p.

Mi riferisco in primo luogo alla notevole intuizione, forse per la prima volta espressa dalla giurisprudenza in maniera così esplicita, di aver chiarito che la norma di cui all'art. 474 c.p. «non mira a tutelare il consumatore dalle piccole o grandi frodi di chi pone in vendita merce, ma è posta a tutela dei marchi e segni distintivi, costituendo una protezione per i titolari dei marchi e segni distintivi, costituendo una protezione per i titolari degli stessi». Si tratta dell'evidenziazione di un concetto alcune volte apparentemente negato dalla giurisprudenza, altre volte solo indirettamente profilato - ed in ogni caso sempre dimenticato nella trattazione della grossolanità della contraffazione - il carattere pluri-offensivo della norma de qua.

In effetti la giurisprudenza in materia di falso grossolano relativo ai prodotti recanti marchi apocrifi ha quasi sempre incentrato l'attenzione sulla potenziale lesione alla pubblica fede, apparentemente soprassedendo dall'esaminare la fattispecie anche sotto il profilo del titolare del marchio, che è certamente persona offesa dal reato in esame, non potendosi in alcun modo negare che sia a lui stesso riferibile il diritto sostanziale leso.

La sentenza in esame, forse per compensazione, incentra l'attenzione solo ed esclusivamente sulla protezione che la norma offre ai titolari dei marchi.

Tale intuizione non può non essere foriera di conseguenze anche in materia di grossolanità della contraffazione, laddove pertanto accanto alla lesione alla pubblica fede occorre contemperare le esigenze della tutela...

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