Brevi note sul delitto di malversazione a danno dello stato

AutoreTiziana Bello
Pagine783-788

Page 783

@1. Note introduttive.

Il delitto di malversazione a danno dello Stato ha visto delinearsi, come è noto, nell'ambito delle elaborazioni dottrinali e degli sporadici interventi giurisprudenziali, differenti prospettive sull'interpretazione degli elementi di descrizione della condotta determinati, verosimilmente, dalla stessa formulazione dell'art. 316 bis c.p. 1.

I rilievi immediatamente mossi dai primi commentatori attengono alla discutibile collocazione assegnata alla fattispecie in esame nel sistema del codice (si tratta, infatti, di un reato comune inserito tra i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione) nonché alla tecnica di formulazione della fattispecie, laddove gli elementi descrittivi utilizzati non appaiono sempre conciliabili con la necessaria esigenza di determinatezza della figura criminis.

In particolare, è stata criticata la scelta della locuzione di «non destinazione» per la connotazione oggettiva del reato, in quanto tale espressione consente il richiamo a tipologie di comportamenti tra di loro differenti, potendosi riferire tanto ad una condotta omissiva di «non impiego» delle somme erogate, quanto ad una condotta commissiva di «distrazione» delle somme medesime.

Nell'ambito della descrizione della condotta penalmente rilevante, l'uso di una terminologia dai contorni così sfumati si presta, infatti, ad essere censurato sotto diversi aspetti ma, soprattutto, perché consente oscillazioni interpretative nell'individuazione del reato, in particolare con riferimento all'elemento psicologico; ed infatti, se l'effettivo impiego del finanziamento per un'opera o attività diversa, rende agevole l'accertamento della consumazione del reato (in quanto esprime con chiarezza l'intenzione di non destinare la somma allo scopo in vista del quale l'erogazione è stata ottenuta né di restituirla all'ente erogatore), qualche dubbio può sorgere nei casi in cui il privato si limiti a non utilizzare i finanziamenti ottenuti entro il termine previsto oppure li impieghi per un fine diverso da quello stabilito, ma pur sempre definibile di «pubblico interesse».

Ebbene, prima di approfondire tali rilievi, ripercorrendo brevemente l'iter storico del delitto in esame, si deve sottolineare che la fattispecie di malversazione a danno dello Stato è intervenuta ad ampliare un sistema di repressione penale dimostratosi certamente insufficiente rispetto alla vastità e gravità del fenomeno criminoso connesso al finanziamento pubblico 2, sia per le notevoli risorse interessate, che per il frequente coinvolgimento della criminalità organizzata 3.

Nell'ambito della descrizione della condotta penalmente rilevante, l'uso di una terminologia dai contorni così sfumati si presta, infatti, ad essere censurato sotto diversi aspetti ma, soprattutto, perché consente oscillazioni interpretative nell'individuazione del reato, in particolare con riferimento all'elemento psicologico; ed infatti, se l'effettivo impiego del finanziamento per un'opera o attività diversa, rende agevole l'accertamento della consumazione del reato (in quanto esprime con chiarezza l'intenzione di non destinare la somma allo scopo in vista del quale l'erogazione è stata ottenuta né di restituirla all'ente erogatore), qualche dubbio può sorgere nei casi in cui il privato si limiti a non utilizzare i finanziamenti ottenuti entro il termine previsto oppure li impieghi per un fine diverso da quello stabilito, ma pur sempre definibile di «pubblico interesse».

Ebbene, prima di approfondire tali rilievi, ripercorrendo brevemente l'iter storico del delitto in esame, si deve sottolineare che la fattispecie di malversazione a danno dello Stato è intervenuta ad ampliare un sistema di repressione penale dimostratosi certamente insufficiente rispetto alla vastità e gravità del fenomeno criminoso connesso al finanziamento pubblico 2, sia per le notevoli risorse interessate, che per il frequente coinvolgimento della criminalità organizzata 3.

In forza dei reiterati inviti ricevuti dalla Comunità europea, si è infatti assistito alla progressiva introduzione, nel nostro ordinamento, di un sistema repressivo contro le captazioni abusive di finanziamenti pubblici a carico del bilancio statale o comunitario: dapprima, attraverso l'art. 9 del D.L. n. 1051/67 in tema di indebita percezione dell'integrazione del prezzo dell'olio di oliva, poi con la fattispecie più generale ex art. 2 della L. n. 898/86, in tema di fraudolenta percezione di sovvenzioni a carico del FEOGA, infine, attraverso l'art. 640 bis c.p. introdotto all'art. 22 della L. n. 55/90, concernente la truffa in materia di «contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee».

Tale sistema sanzionatorio - recentemente ampliato dalla legge 29 settembre 2000 n. 300 - era risultato, tuttavia, inadeguato dinanzi alla necessità di reprimere penalmente non solo il fenomeno delle frodi finalizzate all'abusiva captazione di fondi pubblici ma, altresì, quello della illecita destinazione degli stessi rispetto agli scopi di pubblico interesse sottesi all'erogazione. Da qui, l'art. 3 della legge 26 aprile 1990 n. 86 che, intervenendo a colmare una evidente lacuna normativa, ha introdotto nel nostro codice penale l'art. 316 bis.

Invero, la necessità di codificare la fattispecie di malversazione a danno dello Stato era stata da tempo sottoposta all'attenzione del legislatore da un insieme di convergenti rilievi dottrinari che avevano evidenziato l'esigenza di garantire protezione penale alla fase successiva all'erogazione dei fondi, rimasta al di fuori dell'ambito di operatività della già esistente fattispecie di truffa aggravata ex art. 640 bis c.p. 4.

Ed infatti, «la finalità perseguita dall'art. 316 bis c.p. (...) è quella di reprimere, dopo il conseguimento di prestazioni pubbliche, le frodi allo scopo tipico individuato dal precetto che autorizza l'erogazione: uno scopo di interesse generalePage 784 che risulterebbe vanificato ove il vincolo di destinazione venisse eluso (...). L'art. 316 bis c.p. si presenta, perciò, nonostante qualche, peraltro trascurabile, differenza lessicale, come una prescrizione parallela all'art. 640 bis dello stesso codice, operante, però, non nel momento percettivo della erogazione, ma nella fase esecutiva». In tal senso si è espressa la Corte di cassazione nella prima decisione adottata in materia 5, dimostrandosi sostanzialmente concorde con quella parte della dottrina che, de jure condendo, aveva già rilevato l'applicabilità della truffa aggravata alle condotte successive all'erogazione dei finanziamenti, sia per irrilevanza del dolus subsequens, sia per l'impossibilità di ricomprendere il «danno da sviamento» nella caratterizzazione in senso patrimoniale dell'evento richiesta dall'art. 640 bis c.p. 6.

Peraltro, nella originaria stesura della norma, il legislatore aveva inspiegabilmente omesso di annoverare le Comunità europee tra i possibili soggetti passivi del reato, così determinando una palese incongruenza logico-sistematica rispetto alla fattispecie della truffa aggravata (introdotta solo un mese prima nel codice penale dalla legge 19 marzo 1990, n. 55) laddove, invece, erano state fin dall'inizio ricomprese nella condotta incriminata anche le percezioni fraudolente di finanziamenti comunitari.

In dottrina vi era chi, invero, aveva ritenuto di poter ovviare alla lacunosa formulazione del dettato normativo mediante il ricorso ad una interpretazione estensiva dell'art. 316 bis c.p., sul presupposto che i finanziamenti comunitari vengono normalmente ottenuti attraverso la mediazione procedimentale di organi statali e che, pertanto, l'intervento dello Stato o di altri enti pubblici nella fase istruttoria avrebbe consentito comunque di riferire agli stessi organi statali la provenienza delle suddette erogazioni 7.

Tale interpretazione non ha però incontrato il favore di altra parte della dottrina, che ha esattamente evidenziato come - a parte l'esistenza di sovvenzioni direttamente erogate dalle Comunità europee - anche nel caso della intermediazione di organi statali è pur sempre l'organismo comunitario che di fatto eroga il finanziamento e che pertanto, deve considerarsi l'esclusivo titolare del bene giuridico leso dalla condotta tipizzata dall'art. 316 bis c.p. 8.

Sotto altro profilo, occorre rilevare che una tale interpretazione risultava, comunque, difficilmente conciliabile con il principio di tassatività e con il divieto di analogia in malam partem che sottendono, tra gli altri, il nostro sistema penale.

A dirimere le incertezze ermeneutiche è così opportunamente intervenuta la legge n. 81 del 7 febbraio 1992 che ha inserito, alfine, anche le Comunità europee tra i soggetti passivi del reato di malversazione a danno dello Stato 9.

@2. Gli elementi costitutivi della fattispecie:

@@2a) Il soggetto attivo.

Il reato di malversazione a danno dello Stato può essere commesso da «Chiunque, purché estraneo alla pubblica amministrazione».

Innanzitutto, deve rilevarsi come la specificazione contenuta nella norma, in ordine alla necessaria estraneità del soggetto attivo alla pubblica amministrazione, evidenzi immediatamente la discutibile collocazione sistematica della fattispecie all'interno del titolo dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, anziché tra i delitti dei privati contro la stessa.

Tale collocazione è apparsa discutibile anche in base alla considerazione che l'interesse tutelato appartiene all'economia pubblica piuttosto che alla pubblica amministrazione e che, pertanto, l'art. 316 bis c.p. avrebbe forse trovato più consono inserimento tra i delitti relativi a tale ultimo titolo 10. È stato correttamente rilevato che l'errore sembra trarre motivo nell'articolato iter della riforma che ha introdotto la fattispecie in esame e forse anche nella circostanza che, originariamente...

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