Osservazioni sulla continuità normativa del reato di bancarotta fraudolenta impropria all'esito della pronuncia delle sezioni unite N. 25887/03

AutoreNicolangelo Ghizzardi
Pagine720-722

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Il contrasto insorto nella giurisprudenza di legittimità dopo la riforma dell'art. 223 l. fall. operata con l'art. 4 del D.L.vo n. 61/2002 è stato risolto dalle S.U. della S.C. con sentenza 16 giugno 2003 (ud. 26 marzo 2003) n. 25887. In proposito, alcune riflessioni si impongono per la importanza delle problematiche trattate.

È noto che, in conseguenza della novella legislativa, la sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta impropria richiede, oggi, un collegamento causale tra il reato societario (in primis quello di false comunicazioni sociali nella vigente formulazione degli artt. 2621 e 2622 c.c.) ed il dissesto della società.

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Nel testo precedente, invece, il reato si configurava per effetto della mera commissione di uno dei fatti previsti dagli articoli in esso richiamati cui avesse fatto seguito la dichiarazione di fallimento.

La questione di diritto che, all'indomani della entrata in vigore della riforma, era stata posta all'attenzione dei giudici di legittimità era quella di stabilire se, a causa della nuova formulazione normativa, fosse ipotizzabile una abolitio criminis o una mera successione di leggi penali.

La rimessione della risoluzione della questione alle S.U., ovviamente, è stata determinta dalla necessità di comporre il conflitto interpretativo registratosi nelle prime pronunce di legittimità, avendo, alcune di esse, affermata la discontinuità dell'incriminazione con conseguente applicazione dell'art. 2 comma secondo c.p. ed altre avendo, invece, optato, per la continuità normativa tra le due fattispecie.

La sentenza in epigrafe appare preziosa perché, attraverso un percorso motivazionale al tempo stesso articolato e chiaro, non solo ha risolto un contrasto giurisprudenziale ma ha anche approfondito le problematiche di diritto intertemporale sottese a quel contrasto cercando di fissare principi di diritto di una materia nella quale, come già evidenziato in altra occasione 1, nella stessa giurisprudenza delle Sezioni Unite della S.C. era possibile rilevare quantomeno delle disarmonie interpretative.

Innanzitutto, appare utile segnalare il richiamo deciso alle disposizioni di cui all'art. 2 c.p. da cui prendere le mosse per ricercare la soluzione delle questioni di diritto intertemporale intrinseche ad una vicenda di successione di leggi penali e, ciò con priorità rispetto ai criteri elaborati dalla dottrina che spesso hanno «messo in ombra quelli fissati legislativamente».

E, proprio alla luce di un'attenta disamina delle indicate disposizioni, reputano i giudici delle S.U. della S.C. che, sostanzialmente, per accertare la esistenza di una situazione di continuità o...

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