Brevi riflessioni sul reato di associazione mafiosa all'esito della pronuncia delle sezioni unite N. 10/2001

AutoreBarbara Colanziraghi
Pagine749-752

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  1. - La sentenza in epigrafe affronta tre aspetti particolarmente problematici relativi alla struttura ed alla disciplina del reato di associazione di stampo mafioso.

    Il primo punto riguarda la facoltà dell'organo giudicante di dedurre la prova della sussistenza del sodalizio criminoso dalla commissione dei delitti facenti parte del programma dei consociati e dalle modalità di realizzazione degli stessi.

    Le Sezioni Unite, partendo dal delitto di associazione per delinquere ed estendendo il discorso alla fattispecie qualificata di cui all'art. 416 bis c.p., affermano che, pur essendo i reati-fine totalmente indipendenti ed autonomi rispetto al delitto base, dalla loro commissione è possibile «ricavare la prova dell'esistenza del sodalizio criminoso», perché l'organizzazione dell'associazione si manifesta proprio nel momento della realizzazione dei delitti rientanti nel programma criminoso concretamente realizzato 1.

    Desta tuttavia numerose perplessità il fatto che tale affermazione di principio, non priva di molteplici implicazioni tecnico-giuridiche, non sia stata in alcun modo argomentata dalle Sezioni Unite, le quali si sono limitate solamente a richiamare due precedenti nel medesimo senso.

    In tale contesto, vista la posizione acritica che - sul punto - ha assunto la sentenza in commento, non resta che analizzare le ragioni sostenute dai precedenti richiamati nella motivazione.

    Secondo l'orientamento dominante della Cassazione da circa tre lustri: «ai fini della configurabilità del reato di associazione per delinquere non è necessario che il vincolo associativo assuma carattere di assoluta stabilità, essendo sufficiente che esso non sia a priori e programmaticamente circoscritto alla consumazione di uno o più delitti predeterminati» 2. In alcune pronunce si afferma che ciò che connota veramente tali reati e che li distingue dalla forma di manifestazione di reato del concorso di persone è l'affectio societatis scelerum 3.

    L'elemento organizzativo e quello della stabilità tempo rale paiono fortemente svilite dalla corte di legittimità secondo la quale è sufficiente, per la sussistenza dei reati associativi, un'organizzazione anche rudimentale, purché idonea alla realizzazione del programma criminoso 4. Ciò che pare connotare e stigmatizzare questi reati è l'elemento soggettivo: l'affectio societatis.

    Tuttavia la Cassazione, affrontando - parallelamente - il problema della prova della sussistenza del sodalizio criminoso ha ritenuto che «la prova dell'esistenza della volontà di assumere il vincolo associativo criminoso può e deve essere desunta da facta concludentia» 5. Non è sufficiente, secondo la Cassazione, l'accordo tra i partecipi, perché il reato associativo possa dirsi accertato, ma è necessario un quid pluris, ravvisabile appunto nella prova dell'inizio dell'esecuzione del programma criminoso, oppure della predisposizione dei mezzi necessari per la realizzazione dei delitti programmati 6.

    Più di recente, in un ulteriore sviluppo del procedimento interpretativo, la corte di legittimità, abbandonata la formula dei facta concludentia, ha affermato che: «in tema di reato associativo, gli indizi sulla sussistenza del reato possono essere legittimamente tratti dalla commissione dei reati fine, interpretati alla luce dei moventi che li hanno ispirati, quando essi valgono ad inquadrarli nelle finalità dell'associazione» 7. Tale orientamento, che le Sezioni Unite, nella sentenza che si annota, recepiscono acriticamente, pare tuttavia non aggiungere alcunché a quello precedente, poiché la prova della consumazione del reato (veniva e) viene individuata sempre nell'inizio dell'esecuzione del programma criminoso.

    Da quest'orientamento della Cassazione emerge una sorta di scollamento, di dualismo tra l'aspetto oggettivo del reato (e il suo momento consumativo) e l'aspetto probatorio, quasi siano due cose totalmente indipendenti e non connesse tra loro. Se da un lato, infatti, si ritiene sufficiente un'organizzazione rudimentale per la sussistenza del delitto di associazione (per delinquere), dall'altro si richiede per l'accertamento probatorio del medesimo elemento l'inizio dell'esecuzione del programma criminoso.

    Non resta allora che esaminare la posizione della dottrina per chiarire la struttura dei reati associativi e la loro compatibilità con i principi tradizionali del diritto penale.

    Osserva la moderna dottrina che i reati associativi (id est associazione per delinquere ed associazione di tipo mafioso) sono reati di pericolo astratto, i quali assolvono, dal punto di vista politico-criminale, ad una funzione di anticipazione di tutela, che li rende, in particolare l'art. 416 bis c.p., lo strumento più importante nella repressione della criminalità organizzata 8. Tuttavia tale funzione determina sotto il versante dommatico una carenza di tipicità e di offensività, perché proprio in quanto reati di pericolo astratto non è necessario, ai fini della punibilità, l'accertamento giudiziale dell'effettiva idoneità lesiva dell'organizzazione criminale, né della realizzazione dei delitto-scopo 9.

    Infatti, l'unico elemento tipizzante dell'associazione per delinquere è costituito dall'associazione di tre o più persone 10. L'associazione di tipo mafioso, appare arricchita da una serie di modalità della condotta, che tuttavia non paiono determinanti ai fini della tipicità e dell'offensività del reato 11.

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    Tali carenze hanno indotto la dottrina ad interrogarsi sull'effettiva necessità della sussistenza, nel nostro ordinamento, dei reati associativi 12, i quali ampliano l'ambito della punibilità al di là della effettiva messa in pericolo del bene giuridico dell'ordine pubblico, considerato un bene giuridico inafferrabile 13; pericolo che diventa tangibile solo nel momento in cui il sodalizio criminoso inizia la sua attività. Conseguentemente, nel tentativo di interpertare le predette figure delittuose in modo conforme al principio di offensività 14, è iniziato un progressivo processo di «concretizzazione» 15 di tali reati, durante il quale l'attenzione si è soffermata innanzitutto sull'elemento dell'organizzazione, considerato indispensabile per la loro tipizzazione.

    Infatti, il pericolo derivante da questi sodalizi criminosi scaturisce essenzialmente da due fattori: dalla sussistenza di un'organizzazione, intesa come distribuzione di ruoli e mansioni stabili nel tempo 16 e dalla realizzazione di taluno dei delitti facenti parte del programma criminoso oppure di qualche attività ad essi strumentale 17. Affinché il reato possa ritenersi consumato è necessario che queste associazioni criminose rappresentino un effettivo e concreto pericolo 18 per l'evanescente Rechstgut ordine pubblico 19.

    Alla luce di quanto sino ad ora detto, l'orientamento delle Sezioni Unite, appare condivisibile e in un certo senso doveroso, perché orientato verso un'interpretazione dei reati associativi conforme al principio di offensività. O meglio è condivisibile affermare che con riguardo ai predetti delitti è consentito al giudice ricavare la prova dell'esistenza del sodalizio criminoso dalla commissione dei delitti fine, in quanto tali reati si consumano nel momento in cui inizia l'attività criminosa. L'accertamento probatorio è solo una conseguenza della struttura del reato, come sopra delineata. Il principio di offensività, infatti, sarebbe svuotato qualora la punibilità venisse sganciata del tutto dall'accertamento dell'effettiva pericolosità dell'associazione 20. Posto che questa pericolosità emerge solo nel momento in cui l'associazione diviene operante attraverso l'attuazione del suo programma criminoso e/o delle attività ad esso strumentali, soltanto l'accertamento di questi fatti rende possibile individuare un'associazione per delinquere (o un'associazione qualificata). Stante, infatti, la funzione che i reati associativi svolgono, la mancanza dell'accertamento di questo elemento rischierebbe di anticipare in modo esasperato la punibilità, o meglio rischierebbe di sanzionare «fatti... addirittura innocui» 21.

  2. - Il secondo punto trattato dalle Sezioni Unite attiene all'ambito di applicabilità della circostanza aggravante di cui all'art. 7 D.L. 13 maggio 1991 n. 152, convertito in L. 12 luglio 1991 n. 203.

    Tale circostanza comune ad effetto speciale 22 dispone: «Per i delitti punibili con pena diversa dall'ergastolo commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416 bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, la pena è aumentata da un terzo alla metà».

    Essa presenta due varianti 23: una oggettiva, il c.d. «metodo mafioso» (avvalersi delle condizioni previste dall'art. 416 bis c.p.); l'altra soggettiva, c.d. «dell'agevolazione mafiosa» (al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo). La prima forma di manifestazione di questa circostanza, appare prima facie come un post-fatto della fattispecie associativa mafiosa 24, la seconda invece come un'ipotesi di concorso eventuale nel reato associativo 25.

    Le Sezioni Unite, nel tentativo di porre termine ad un annoso dibattito in ordine all'ambito di applicabilità di tale circostanza, in particolare ai partecipi dell'associazione criminosa, nella sentenza che si annota, ne affermano l'applicabilità anche ai reati fine commessi dagli appartenenti al sodalizio criminoso che abbiano partecipato alla realizzazione degli stessi. Tale conclusione viene argomentata sulla base di un attento esame delle due correnti di pensiero presenti in giurisprudenza e, dal punto di vista dommatico, sulla base dell'esclusione dell'ipotesi di un concorso apparente di norme tra l'art. 416 bis e l'art. 7 D.L. 152/91.

    L'orientamento minoritario giurisprudenziale 26, in fatti, nega l'applicabilità di tale circostanza ai partecipi dell'associazione mafiosa per due ordini di ragioni: sotto il versante dommatico, perché vi sarebbe una violazione del principio del ne bis in idem...

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