Il diritto penale dell’economia: un approccio criminologico per uno sguardo d’insieme

AutoreCristina Colombo

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1. Premessa

Lo studio del diritto penale dell’economia coinvolge numerosi ambiti. È riduttivo, pertanto, parlarne solo attraverso il riferimento ai singoli articoli del codice penale, civile e delle varie leggi sul tema senza una premessa criminologica.

E, d’altra parte, la mole di lavoro e di approfondimento non sarebbe adeguata al nostro breve excursus d’insieme se si volesse spaziare partendo dai singoli reati societari, ai fallimentari, tributari, per arrivare, poi, all’analisi dei beni coinvolti, alle tutele e alle vittime, ecc.

Per ottenere un quadro completo per l’ambito prescelto, risulta, così, opportuno analizzare le basi delle normative insieme ai fondamenti del diritto (in particolar modo del diritto penale), agli aspetti criminologici, alle modalità investigative (informatica, tecnologia ...), all’ambito politico-criminale e alle spinte psico-sociali verso l’illecito.

Ora, bisogna ricordare come i primi studi sulla criminalità d’impresa risalgono a Sutherland (1939) - già conosciuto per la teoria delle associazioni differenziali - che affrontò l’argomento nel “Il reato del colletto bianco”. L’au- tore, che riprese l’espressione colletto bianco dall’autobiografia del Capo della General Motors, rovesciò con la sua ricerca il “dogma” della criminalità dei ceti popolari, ma non poté esprimere subito e pubblicamente il suo pensiero a causa di forti pressioni politico-sociali (il lavoro metteva in luce una sconvolgente realtà di crimini economici, frodi, corruzione: la cd. criminalità dei colletti bianchi) che posticiparono l’integrale pubblicazione del libro al 1953, dopo la morte dell’autore.

Così, nonostante l’importanza e l’interesse intorno alla problematica - considerato che anche altri studiosi si dedicarono al tema e fra tutti ricordiamo il sociologo Wright Mills (“I colletti bianchi”, 1951) - si dovette aspettare addirittura fino alla seconda metà degli anni ‘70 per l’avvio di un approfondimento sulla materia grazie, soprattutto, all’attività delle Agenzie federali americane (tra le tante: la Federal Trade Commission, la Food and drug Administration, la Security Exchange Commission, numerose le relazioni pubblicate anche sul Wall Street Journal) che in quegli anni si occuparono della criminalità delle grandi imprese.

Le ragioni di questo ritardo vanno ricercate esaminando anche gli aspetti correlati (politico-sociali) al tema. I reati commessi dai colletti bianchi,1 per lo più, non vengono stigmatizzati e tale tendenza è in realtà naturale considerato che la condotta di una figura “del genere” può apparire, nell’immediato, non delittuosa. Ciò non toglie che si ha a che fare con una vera e propria criminalità mimetizzata e impunita, caratterizzata sostanzialmente dalla presenza di tre elementi: opportunità, conoscenza (come violare la legge) e possibilità di giustificare il proprio comportamento, che si concretizzano in una realizzazione del fatto delittuoso nel luogo di lavoro (produzione di beni e servizi). Si tratta di una delittuosità (apparentemente) non parassitaria, con un elevatissimo numero oscuro (attività illecite facilmente mascherabili), un elevato tasso d’impunità e una bassa reazione sociale.

Per capire questo tipo di reato nella sua struttura -esaminata anche attraverso la cd. “Molecola criminale” di Emile Durkheim (1902) che contemplava una costruzione con il crimine in posizione centrale, mentre il reo, la vittima ed il controllo (svolto dalle agenzie) erano collocati in prossimità di questo - si sono elaborati studi che correlano le fattispecie e il campo oscuro.2

Ne consegue, in definitiva, che non vale l’inquadramento utilizzato per il reato “comune” (previsto dalla mole- cola criminale) quando il legame rilevante è tra il reo ed il crimine, poiché nel caso dei colletti bianchi il crimine “conduce” al reo.

È interessante considerare, inoltre, che lo stigma criminale e i fattori di anomalie sociali e personali che solitamente coinvolgono lo studio della criminalità, in questo caso perdono importanza e significato perché il colletto bianco è (o è stato) una persona per bene e ricopre un’alta qualifica o una posizione di prestigio. Non lo vediamo come criminale e non viene stigmatizzato (abbastanza).

2. La criminalità economica

La criminalità economica è quella criminalità che si verifica nel luogo dove si producono beni e servizi.

Questo tipo di criminalità si può distinguere in criminalità dei professionisti - pubblici funzionari ( e i temi collegati sono: falsità, colpa professionale, corruzione, violazione del segreto professionale e della privacy, ecc.) e in criminalità delle imprese (anche se il termine non è del tutto corretto). In questo ultimo caso si potranno verificare illeciti compiuti, anche, per lucro “personale” (aggiotaggio, appropriazione indebita, bancarotta fraudolenta, ecc.) e fattispecie compiute per accrescere illecitamente il profitto dell’impresa (truffe ai danni di piccoli azionisti, inquinamento ambientale, inosservanza delle norme sindacali, pubblicità fraudolenta, ecc.)

Il numero oscuro di questa criminalità è elevato tanto che risulta praticamente impossibile fare un elenco di tutti i tipi di delitti delle imprese a causa delle diverse

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variabili da considerare (piccola, grande impresa, ambito di operatività, nazionalità e servizi, ecc.).

L’unico dato da non tralasciare è che il fine primo dell’impresa non dovrebbe essere quello di delinquere, ma di ottenere un profitto (produzione di beni e servizi), anche se alcune volte questo fine si vuole raggiungere “ad ogni costo”. Proprio per questo il numero oscuro è di rilevante entità: siamo di fronte a delitti facilmente mascherabili, di difficile e laboriosa identificazione, a soggetti che godono di grande potere (in primis connivenze politicogiudiziarie) ed ai quali la sanzione penale spaventa ben poco. Per ovviare a questo problema, negli Stati Uniti, si è sperimentato un sistema, il “Middleground sanctions” che prevede sanzioni a metà strada tra quelle civili e penali e un’elevata sanzione pecuniaria per l’impresa: tale sistema vorrebbe raggiungere, in maniera più rapida, gli obiettivi punitivi attraverso le sanzioni civili, ma a questo proposito sorgono dubbi rispetto alla funzione di garanzia/certezza svolta dal diritto e in particolar modo dal diritto penale che andrebbe ad etichettare in modo ambiguo le diverse fattispecie in esame.3

Ora, se si vogliono considerare anche i motivi che hanno spinto ad analizzare le attività criminose delle imprese, si rileva che l’imput dell’indagine è partito ancora una volta dalla società Americana che ha voluto esaminare i fini e le motivazioni rivolti a questo tipo di illecito. L’aumento dell’interesse dei criminologi e del pubblico verso i reati economici e il controllo dell’economia, dei tassi d’interesse, della vita lavorativa e dell’opinione pubblica da parte delle grandi imprese, sono i motivi fondamentali che hanno portato all’analisi delle attività criminali delle imprese.

Non bisogna però soffermarsi ad una sola analisi, in quanto la maggior parte delle violazioni viene effettuata per nasconderne altre (diverse) dalle quali spesso deriva un profitto illecito per l’impresa stessa (e/o anche profitti personali a scapito dell’impresa).

Per questo si afferma che l’etica delle grandi imprese risponde il più delle volte a ciò che vuole il mercato.4 Le manovre immorali delle imprese, operate per ottenere un profitto ingiusto, sono considerate dagli studiosi del diritto penale dell’economia in posizione “border line” rispetto alle effettive violazioni della legge, ossia in posizione intermedia tra l’illecito e il...

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