Apprendimento permanente e certificazione delle competenze: strategie, soggetti e funzioni

AutoreAurora Vimercati
Pagine679-706
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Apprendimento permanente e certificazione delle competenze:
strategie, soggetti e funzioni
Aurora Vimercati
Norme commentate: art. 4, commi 51-61 e
64-68, l. 28 giugno 2012, n. 92.
SOMMARIO: 1. L’inquadramento sistematico del tema e brevi considerazione preliminari per ‘ri-
pensare’ la formazione. - 2. L’importanza strategica dell’apprendimento permanente nel testo
e nel contesto: il nesso tra art. 4, c. 51 e art. 1, c. 1, tra gestione della precarietà occupaziona-
le e nuove prospettive di sviluppo. - 3. Le ragioni di una Riforma «in linea con le indicazioni
dell’Unione europea». - 4. Le nozioni e le funzioni dell’apprendimento permanente tra profili
definitori e metodo di regolazione. - 4.1 L’intento ordinatorio e le deficienze regolative nelle
definizioni dell’apprendimento permanente. - 4.2. La frammentazione della fattispecie e la
sua funzione unitaria: un’ipotesi ricostruttiva. - 5. I sistemi integrati territoriali e il sistema
pubblico nazionale di certificazione delle competenze: una visione di insieme. - 6. I livelli
essenziali delle prestazioni e gli standard minimi di servizio, ovverossia quale possibile qua-
dratura del cerchio.
1. L’apprendimento permanente – insieme a quello, intimamente connes-
so, della certificazione delle competenze – è uno tra i temi più trascurati nei
molteplici commenti e analisi che hanno accompagnato l’emanazione e, ora,
l’interpretazione ed attuazione della legge 92/2012 di riforma del mercato del
lavoro «in una prospettiva di crescita».
Peraltro, lì dove i primi commentatori se ne sono occupati1, sono emerse
valutazioni non proprio positive dell’articolato normativo racchiuso nei cc.
51-61 e 64-68 dell’art. 4. Si tratta dell’articolo di chiusura della legge in
commento, che, come capita spesso di riscontrare nella più recente produzione
legislativa, presenta un titolo – Ulteriori disposizioni in materia di mercato
del lavoro – dal tenore raccogliticcio. Ed infatti, vi si trovano disposizioni dal
contenuto vario, ma grosso modo riconducibili alla dimensione di crescita
anche sociale che informa questo (ennesimo e controverso) intervento di ri-
forma del mercato del lavoro. Almeno, questo è quanto dichiara l’art. 1, con
riferimento all’intento di realizzare «un mercato del lavoro inclusivo e dina-
mico» e, in questo modo, contribuire alla creazione di occupazione anche di
qualità, alla crescita, appunto, anche sociale, nonché alla riduzione perma-
nente del tasso di disoccupazione.
Senza addentrarsi troppo nell’analisi di sistema, è significativo che la
parte (almeno quantitativamente) preponderante dell’art. 4 sia costituita dalle
disposizioni in tema di apprendimento permanente e di certificazione delle
1 BERTAGNA, CASANO, TIRABOSCHI, 2012; DE MICHELE, 2012.
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competenze, complessivamente intese alla (ri)organizzazione del sistema di
istruzione e formazione professionale in una prospettiva di maggiore e più
effettiva integrazione. Tuttavia, come si è anticipato, questa parte dell’in-
tervento riformatore non ha suscitato l’interesse che, al contrario, sembra me-
ritare per l’importanza centrale e trasversale che riveste, sia nell’economia
della legge in commento, sia nel contesto più generale delle relazioni indu-
striali e delle dinamiche di sviluppo europeo. Del resto, da tempo la dottrina
più avvertita aveva avuto modo di denunciare come i giuslavoristi riservino
al tema generale della formazione «una attenzione inversamente proporzio-
nale alla sua rilevanza nel contesto delle discussioni che assumono al centro
di accesi dibattiti il mercato del lavoro e le sue regole»2. Ed è significativo che,
proprio in occasione della più recente riforma, siano state fortemente denunciate
le «contrapposizioni ideologiche» che «in Italia più che altrove, circondano il
tema del lavoro», tanto da influire negativamente sui contenuti e sulla scrittura
della legge3. Contrapposizioni ideologiche che, in verità, non sembrano riguar-
dare l’universo della formazione, forse per quella connaturata predisposizio-
ne ad assolvere a finalità composite, economiche quanto sociali, che finisce
per rendere questa materia meno esposta alla conflittualità che caratterizza le
più pregnanti partite che, tradizionalmente, si giocano sul versante giudizia-
rio e su quello delle relazioni industriali, con riguardo a temi di più diretta
disponibilità da parte dei soggetti (individuali e collettivi) coinvolti.
Quale che sia la ragione che porta a trascurare la formazione rispetto ad
altri istituti del mercato del lavoro nel dibattito gius-sindacale, rimane il fatto
che la c.d. legge Fornero se ne occupa in maniera ampia e con ambizioni di
riorganizzazione complessiva in una prospettiva, appunto, di maggiore inte-
grazione tra le sue componenti essenziali (istruzione e formazione professio-
nale) ed in collegamento funzionale con le politiche occupazionali. Almeno
in termini potenziali, dunque, non sembra esagerato proporre una lettura di
queste disposizioni quale tessuto connettivo per l’insieme di misure e inter-
venti «intesi a realizzare un mercato del lavoro inclusivo e dinamico» (art. 1,
c. 1). Un tessuto connettivo la cui qualità è ancora tutta da verificare e che
rappresenta una (ulteriore) occasione per ripensare la formazione in una du-
plice prospettiva: quella incentrata sulla persona e quella, più ampia, intesa a
valorizzarne l’intima e necessaria dimensione di policy. Una prospettiva du-
plice che, in quanto tale, presenta anche elementi di ambivalenza che è bene
tener presenti, onde evitare che finiscano per depotenziare la portata delle
nuove regole e/o distorcere la funzione delle strategie formative le quali, co-
me è noto, sono strettamente collegate a quelle occupazionali (infra) e, ancor
più in generale, rappresentano uno degli ultimi baluardi a garanzia dell’egua-
glianza sociale e territoriale.
2 VENEZIANI, 1998, 5.
3 TREU, 2012, 22.

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