Il reato apparentemente permanente e la cessazione giudiziale della permanenza

AutorePasquale Troncone
Pagine74-80

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@1. Premessa

La recente sentenza n. 11021 del 13 luglio - 22 ottobre 1998 resa dalla Core di cassazione a sezioni unite, sulla validità del principio della cessazione giudiziale del reato permanente al momento della sentenza di primo grado, momento da cui decorre il termine di prescrizione, ha probabilmente stabilito dei punti di solido ancoraggio alla effettiva, quanto controversa, natura di tale forma di reato.

Emblematico del grave disordine concettuale esistente in ordine alla categoria del reato permanente è il fatto che la pronuncia sia intervenuta su aspetti esclusivamente processuali e non su quelli sostanziali, come sarebbe stato auspicabile. È evidente, infatti, che l'incertezza sugli elementi di qualificazione strutturale del reato non possono non riverberarsi in tutta la loro portata sul piano dell'accertamento della responsabilità penale.

Va anche detto che nell'ampia categoria dei reati permanenti vi sono ipotesi di illecito solo apparentemente permanenti, ma sostanzialmente istantanei come si vedrà innanzi, ritenuti permanenti soltanto per la difficoltà di qualificazione strutturale che presentano.

È dunque degno di nota che la Suprema Corte a sezioni unite in commento, di fronte anche al perdurante e vivace contrasto nella giurisprudenza di legittimità, abbia inteso stabilire preliminarmente gli aspetti strutturali caratterizzanti il reato permanente 1, per poi giungere a stabilire la validità del principio della cessazione giudiziale del reato a consumazione permanente al momento della sentenza di primo grado che rappresenta anche il termine iniziale di decorrenza della prescrizione.

La questione esaminata dalle sezioni unite, peraltro, non era nuova. Essa aveva formato oggetto di giudizio di una precedente decisione sempre a sezioni unite, con la quale era stato affermato che, al di là di quanto possa essere riportato Page 75 nella denuncia di reato e nella contestata imputazione, la cessazione della permanenza si verifica con la sentenza di primo grado 2.

@@1.1.Il principio della cessazione giudiziale della permanenza

La recente pronuncia della Suprema Corte a sezioni unite n. 11021/98 nell'affermare che la sentenza di primo grado segna il momento di consumazione del reato permanente, sottolinea la singolarità di una tale forma di reato che costituisce eccezione rispetto alle regole di carattere generale del sistema penale. Ne deriva, dunque, che il termine prescrizionale decorre non già dalla sostanziale ed effettiva consumazione dell'illecito, quanto da un provvedimento giurisdizionale. È appena il caso di precisare, anche per la necessaria brevità della presente trattazione, che il termine «consumazione», per il reato permanente assume delle connotazioni particolari, poiché il momento che segna la configurazione del fatto incriminato, vale a dire quando sono realizzati tutti gli elementi tipici descritti dalla norma, non coincide con il momento di effettiva consumazione dell'illecito. Ed infatti, la cessazione della permanenza si avrà soltanto con l'esaurimento della lesività del comportamento criminoso del suo autore 3.

La questione esaminata dalla pronuncia a sezioni unite investe, quindi, ad un tempo i profili processuali e sostanziali della fattispecie di reato.

L'art. 158 c.p. stabilisce i criteri di individuazione del dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione. Nel silenzio del codice di diritto sostanziale e nella carenza di indici più precisi nel codice di rito penale, non esiste previsione normativa espressa sulla individuazione di un momento processuale di cessazione della permanenza.

Il momento iniziale di decorrenza della prescrizione è stato individuato in momenti differenti delle diverse fasi del procedimento penale. Le soluzioni discordi si registrano puntualmente sia in giurisprudenza che nelle eleborazioni della dottrina, entrambi da epoca risalente. Si è già detto che la permanenza sarebbe interrotta dalla denunzia o dalla querela 4; non è mancata una decisione che ha inteso sufficiente la sorpresa in flagranza per far cessare la permanenza 5. Significativamente viene sostenuto che, a causa della natura unitaria del reato permanente che va considerato come un fatto non frazionabile, solo la sentenza irrevocabile ha efficacia giudiziale di cessazione della permanenza 6. Viene infine ritenuto che la cessazione giudiziale coincide con la contestazione del reato, assumendosi che l'ulteriore corso dell'illecito, trattandosi di un fatto nuovo e diverso, verrebbe ingiustamente posto a carico del soggetto violando il principio del tantum judicatum quantum deductum 7.

@@1.2. La sentenza di primo grado come limite processuale e non sostanziale della permanenza

Si tratta evidentemente di verificare come, sul piano processuale, assume rilevanza un reato la cui fisionomia si sostanzia in una situazione antigiuridica determinata dalla condotta protratta volontariamente dal suo autore nel tempo. Sul punto esiste ampia letteratura, caratterizzata tuttavia da posizioni a volte inconciliabili. Tutto ciò, probabilmente, è determinato dal fatto di volere a tutti i costi elaborare una via di uscita al problema su di un piano esclusivamente sostanzialistico. Viceversa, il reato permanente è e resta nella sua struttura un unico ed ininterrotto fatto illecito 8.

La sentenza delle sezioni unite del 1998, superando un contrasto sorto sul punto all'interno della III sez. della Suprema Corte (contrasto maturato già all'indomani della decisione a sezioni unite del 1994), afferma che la cessazione del reato permanente avviene con la pronuncia della sentenza di primo grado.

Prima di ogni altra cosa va confermato che la sentenza di primo grado non «altera la permanenza» del reato 9 che continua a presentarsi come un unico segmento ininterrotto e non una sommatoria di autonomi segmenti. Cionostante le superiori istanze di punibilità impongono l'intervento del giudizio secondo esigenze che si esamineranno più avanti 10 (infra, par. 2.1 e ss.).

La sentenza di primo grado circoscrive in maniera definitiva l'imputazione in modo che l'oggetto della impugnazione, che sia appello o ricorso per cassazione, non possa essere che la cognizione del medesimo «fatto» valutato in prima istanza e «devoluto» al giudizio del giudice superiore.

Il LEONE, sostenitore del principio di cessazione della permanenza con la sentenza di primo grado, affermava che: «... nel giudizio di secondo grado e di cassazione non è deducibile, per alcun conto, l'ulteriore permanenza. La sentenza di primo grado pone il suggello al materiale antigiuridico imputato: in appello (e tanto meno in cassazione), neanche su gravame del pubblico ministero, può tenersi conto dell'ulteriore permanenza del reato» 11. A giustificare tale assunto intervengono i principi e le norme del diritto processuale: «... la sentenza di appello si riferisce sempre al fatto che ha formato oggetto della pronuncia di primo grado e sostanzialmente il giudicato risale al momento in cui è avvenuta la prima pronuncia. Le modificazioni che questa potrà subire in ordine agli apprezzamenti di fatto e di diritto fatti dal giudice ed alle conseguenti statuizioni non spostano l'elemento temporale cui si riferiscono 12.

Si è tentato, per altra via, di privilegiare l'aspetto sostanziale del reato, prescindendo dalle immanenze processuali e pervenendo in tal modo alla violazione dell'art. 158 c.p., in ordine alla cessazione della permanenza. Affermava, infatti, il CAMPUS che: «quando il nesso di materiale e morale continuità che tali atti unisce agli altri che dettero causa al giudicato non abbia sofferto interruzione io ritengo che la cosa giustificata formatasi sugli atti anteriori assorbisca anche quelli posteriori al giudizio»13. In altri termini si sosteneva che l'unicità strutturale del reato permanente imponeva di valutare l'intero fatto come mai frazionabile, neppure ad opera dei necessari interventi della giurisdizione, in modo che il giudizio sul segmento oggetto del proecsso penale, valesse anche per le contestazioni successive fino alla naturale cessazione sostanziale della permanenza. E si badi, tali concetti erano espressi sotto la vigenza del codice Zanardelli che all'art. 92, primo comma, c.p. prevedeva la medesima disciplina dell'attuale art. 158 c.p., in materia di prescrizione del reato permanente.

In definitiva, con l'ultima decisione delle sezioni unite il termine iniziale della prescrizione per il reato permanente non ancora esaurito è segnato dalla sentenza di primo grado che, rappresentando il momento di cessazione sia pure «giudiziale» della permanenza, è il momento temporale cui far riferimento per l'applicazione di tutte le altre cause del reato e della pena.

@2. Il fondamento ordinamentale della cessazione giudiziale del reato permanente

Vi sono tre presupposti di fondo per inquadrare correttamente il problema: a) la certezza dei rapporti giuridici assicurata dalle norme sulla prescrizione del reato; b) il principio della obbligatorietà e i limiti temporali dell'esercizio dell'azione penale; c) la salvaguardia delle situazioni giuridicamente rilevanti che passano attraverso l'accertamento della responsabilità penale nel processo. Page 76

@@2.1. Disciplina e funzione dell'istituto della prescrizione

L'istituto della prescrizione contribuisce ad assicurare all'ordinamento la certezza dei rapporti giuridici, facendone salve le ragioni a causa del decorso del tempo, anche per l'affievolimento delle ragioni di prevenzione.

L'art. 158 c.p., nell'intento di stabilire il dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale, individua momenti diversi, in relazione alle diverse possibili forme di illecito penale. Il riferimento obiettivo resta il criterio della cessazione del reato ovvero il momento in cui, configurato il fatto tipico, viene meno la sua effettiva lesività. L'art. 158 c.p. stabilisce che: «Il termine della prescrizione decorre, per il reato consumato, dal giorno della consumazione; per il reato tentato, dal giorno...

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