Analisi della responsabilità colposa del medico del lavoro per gli infortuni in azienda

AutoreMaurizio Parisi
Pagine140-143

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@1. La figura del medico del lavoro in ambito aziendale

Il corpus di norme regolative della sicurezza sul lavoro, riconosce attualmente un ruolo particolarmente significativo, nella prevenzione degli infortuni, alle attività di controllo dei luoghi in cui esso si svolge, tanto in forma di sorveglianza ed ispezione degli stessi, quanto di monitoraggio continuativo al loro interno, attraverso forme di insediamento permanente di personale medico particolarmente qualificato in materia. La differenza tra questi due sistemi di controlli, l'uno esterno, l'altro interno, non deve tuttavia ridursi semplicisticamente alla distinzione tra attività di repressione speciale e, potremmo dire, di «controllo normale», quasi dovendosi rimarcare una certa inclinazione a prassi di complicità padronale di queste ultime, tali da sfociare in forme di tutela ammorbidita ed «addomesticata» dei lavoratori: in realtà, ci è dato constatare, certamente, il punto massimo dell'intento legislativo di sicurezza ottimale, proprio nell'istituzione in azienda di presidi sanitari continuativi 1. Se il sistema dei controlli discontinui, tipico del modello repressivo, assume la funzione di garanzia per il lavoratore e di continuo pungolo per i datori, sempre costretti a tenere alta l'attenzione sul versante della protezione dei prestatori, è tuttavia altresì corretto evidenziare lo scarso significato di simili misure alla luce di un ben più necessario ed auspicabile controllo di normalizzazione costante della sicurezza del lavoro e degli impianti. E se, d'altro canto, la sicurezza totale, non potendo essere assunta a fanatico culto, si dimostra come un risultato, comunque, soltanto tendenziale, appare d'altro canto indubbiamente ispirato nella direzione indicata un sistema fortemente orientato al potenziamento ed all'incentivazione dei controlli interni. In realtà la doverosità della scelta ispirata verso una simile politica di tutela ha condotto in un primo tempo le stesse aziende più grandi a dotarsi volontariamente di apparati autosufficienti di controllo medico (servizi sanitari aziendali); successivamente ha spinto lo stesso legislatore ad affidare la sorveglianza sanitaria in via stabile, nei contesti produttivi, alla figura del «medico competente» 2, ossia del soggetto specializzato in medicina del lavoro o in disciplina analoga, ovvero docente o libero docente nella relativa materia, od altrimenti abilitato dalle stesse ragioni ex art. 55 del D.L.vo n. 277/1991 (art. 2, primo comma, lett. d, del D.L.vo n. 626/1994). Per lo svolgimento dell'opera di medico in ambito aziendale il datore di lavoro può avvalersi di soggetti qualificati ai sensi della normativa succitata, ora in qualità di subordinati, con l'instaurazione di un apposito contratto di lavoro, ovvero di dipendenti di struttura esterna pubblica o privata convenzionata con l'impresa, oppure i liberi professionisti (art. 17, quinto comma, D.L.vo n. 626/1994).

@2. Compiti del medico del lavoro

Le norme che disciplinano i compiti del c.d. medico competente sono essenzialmente rinvenibili in due testi fondamentali: il D.L.vo n. 277/1991 ed il D.L.vo n. 626/1994 (così come modificato dal D.L.vo n. 242/1996) 3, sebbene, ad essere presa in considerazione in questa indagine sarà soprattutto quest'ultima fonte, dovendo, infatti, essere ritenuta lex generalis nella materia di cui ci stiamo occupando. È con particolare riferimento alle norme di cui al Capo IV, Titolo I, D.L.vo n. 626/1994, sotto la denominazione omnicomprensiva di «sorveglianza sanitaria» 4, che sono rinvenibili i compiti specifici dei medici del lavoro in azienda. A questi vanno aggiunte altre funzioni, come quelle di pronto soccorso ex art. 15, nonché le altre previste dalle specifiche disposizioni relative alla prevenzione dei rischi correlati agli agenti chimici, fisici o biologici potenzialmente dannosi per la salute dei lavoratori, contenute tanto nei successivi titoli di legge (ad es. in materia di protezione da agenti cancerogeni o biologici), oltre che nel D.L.vo n. 277/1991 (esposizione a piombo metallico, amianto e rumore), senza contare, poi, le numerose altre leggi e provvedimenti regolativi della sorveglianza sanitaria 5.

La normale vigilanza sui lavoratori comprende, oltre ai consueti doveri di informazione presso gli stessi, per lo più una serie di accertamenti preventivi e periodici volti ad accertarne la c.d. idoneità al lavoro, ai quali debbono sommarsi i controlli sanitari per le assunzioni, nonché le visite mediche fuori schema per il sopravvenuto ed improvviso modificarsi dello stato di salute di singoli soggetti. In rapporto a codesti accertamenti il medico sarà poi tenuto a formulare un giudizio, il quale sarà alternativamente di idoneità assoluta o parziale, ovvero di non idoneità 6. Se appare al riguardo intuitivo che il formarsi di simili apprezzamenti assumerà rilevanza determinante al momento dell'instaurarsi del rapporto lavorativo, al fine di dettare le adeguate prescrizioni di sicurezza legate al tipo di rischio professionale, è altresì evidente che il sanitario avrà il delicato compito (rectius, dovere) di modificare il suo giudizio al mutare, tanto delle condizioni di salubrità dell'ambiente, quanto del quadro generale e particolare del soggetto, in rapporto soprattutto ai c.d. organi bersaglio, ossia di quelli maggiormente sottoposti ai pericoli derivanti dagli agenti chimici, fisici o biologici. Se giova, peraltro, rimarcare da un lato la delicatezza di tali apprezzamenti sotto il profilo della continuazione del rapporto di lavoro in caso di non idoneità, occorre pure andare a risaltarne la natura, in notevole parte discrezionale. Basti pensare, a tale ultimo riguardo alla contrapposizione tra le due forme di danno, clinico e biologico, derivanti dal contratto con l'agente dannoso per l'integrità fisica, avendo tale distinzione una pratica efficacia sotto il profilo cautelare: trattandosi della prima ipotesi (danno clinico), dinanzi ad una condizione di malattia occorrerà procedere a rimuovere il lavoratore dipendente, mentre nell'altra evenienza (danno biologico), stante una qualche incidenza prodromica di elementi tossici sulla condizione fisica generale, occorrerà intervenire mediante tecniche preventive, volte ad annullare il fenomeno di rischio (es.: prescrizione di uso di determinati mezzi di protezione, ripristino delle adeguate condizioni ambientali). A questo riguardo, comunque, in presenza di analisi complesse 7, attese le conseguenze sul piano della idoneità lavorativa, non può man-Page 140 carsi di notare la estrema importanza della facoltà del medico del lavoro di avvalersi della collaborazione di altri specialisti, di cui il datore si assumerà l'onere ex art. 17, secondo comma, D.L.vo n. 626/1994.

@3. Profili di responsabilità colposa

L'inosservanza delle regole dettate dal D.L.vo n. 626/1994, oltre a comportare l'applicazione delle contravvenzioni previste ex art. 92 per il medico 8 competente, ben dovrebbe determinare la assai più gravosa responsabilità colposa 9, eventualmente a titolo di cooperazione col datore od il preposto ex art. 113 c.p., per il caso di morte o lesioni del lavoratore. Sotto quest'ultimo profilo è, infatti di tutta evidenza, che il legislatore, se da un lato ha attribuito certi compiti di vigilanza, tutela e controllo al medico competente, dall'altro potrebbe avere introdotto nell'Ordinamento giuridico una nuova posizione di garanzia, rilevante ex art. 40, secondo comma, c.p. ai fini dell'individuazione di un garante in senso penalistico. D'altra parte la validità di una simile ultima impostazione non può ricollegarsi alla medesima ratio sottesa alla produzione legislativa in materia, giacché è proprio nella responsabilizzazione di questi specialisti che deve ravvisarsi uno dei momenti più salienti dell'ideologia preventiva che si è inteso adottare. Pertanto il medico aziendale potrà essere chiamato in sede penale a rispondere di fatti colposi 10, tanto in veste di diretto responsabile per inosservanza di misure cautelari (colpa generica 11 o colpa specifica), quanto di mero colpevole mediato, a titolo di cooperazione od agevolazione colposa con altri soggetti (essenzialmente il datore od il preposto all'impresa). Sotto il primo aspetto (medico del lavoro come responsabile diretto), appare plausibile che il sanitario possa essere sottoposto a giudizio penale, in caso d'infortuni sul lavoro, onde rispondere dei reati di omicidio o lesioni colpose, qualora sia ravvisabile una tipica forma di culpa in vigilando, la quale avrà per lo più come suo presupposto la disattenzione verso i controlli sulla salute dei prestatori. Alternativamente potrebbe accadere, in ipotesi residuali, che la responsabilità penale sia argomentabile sulla scorta del difetto di informazione sanitaria cui, per legge, è tenuto verso i lavoratori. Attesa l'importanza delle conoscenze tecniche in questo campo d'azione, non deve, peraltro, sfuggire il particolare modo in cui deve essere intesa la limitazione elaborata dalla dottrina ed accolta dalla giurisprudenza costituzionale, circa la limitazione della colpa del sanitario, in caso di imperizia, secondo il criterio di cui all'art. 2236 c.c. 12.

La natura delle mansioni affidate a questo soggetto in ambito aziendale ha, infatti, spinto il legislatore a ritagliargli una vera e propria sfera di competenza preferenziale, fino a riservargli in via esclusiva la qualifica di «medico competente». Due sono le conseguenze. Innanzitutto. tanto il datore che impieghi un individuo non specializzato in materia (culpa in eligendo 13), quanto lo stesso medico assunto, potrebbero essere chiamati in solido a rispondere degli ipotetici eventi lesivi, proprio per aver operato, mediante codesta condotta, una incondizionata «assunzione del rischio» 14. In secondo luogo, il medico specialista in questa disciplina, certo non potrà invocare nel processo il blando limite della colpa grave per imperizia, dovendo questi rispondere, per...

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